Gusti e sapori del Giappone

Da Venerdì 8 a Domenica 10 Novembre 2013
presso il Palazzo Giureconsulti
Piazza Mercanti, 2 - Milano
e presso Ristorante Osaka

Gusti e sapori del Giappone

Umami: un gusto fondamentale del cibo giapponese è una parola intraducibile nella nostra lingua. E' il quinto gusto percepito dalle papille gustative.
E proprio la cucina giapponese è il tema della manifestazione Gusti e sapori del Giappone, promossa dal MAFF - Ministry of Agriculture, Forestry and Fisheries. Le iniziative si distribuiscono su tre fronti: il programma di mostre e degustazioni presso il Palazzo Giureconsulti, le lezioni di cucina presso il ristorante Osaka (clicca qui per maggiori informazioni) e aperitivi con assaggi giapponesi presso numerosi ristoranti del centro di Milano.
Presso palazzo Giureconsulti, infatti, Sabato 9 e Domenica 10 dalle 11 alle 17 verranno presentati assaggi di menù facilmente riproducibili a casa, a base di ingredienti reperibili anche in Italia, accompagnati da un assaggio di sakè.

Programma di Palazzo Giureconsulti:

- Venerdì 8 Novembre, dalle 16 alle 17
Tavola rotonda: La ricerca della qualità del cibo, le abitudini e la cultura alimentari
Paolo di Croce, Segretario Generale di Slow Food, insieme al Prof. Hiromasa Enogashira, studioso di colture vegetali tradizionali, e alla sakè-stylist Makiko Tejima si confronteranno sul tema.

- Sabato 9 Novembre
11.30 Assaggi a base di kanikama
13.30 Assaggi a base di kamaboko
15 Degustazione di Sakè

- Domenica 10 Novembre
11.30 Assaggi a base di kamaboko
13.30 Degustazione di Sakè e cachi secchi con formaggio

Mostra espositiva:
Il Giappone e le quattro stagioni
Gli ingredienti che vogliamo far conoscere al mondo
L'orgoglio del Giappone: i servizi per la tavola - porcellane in stile Arita dello showroom Fukagawa Seiji

Ingresso libero

Evento promosso dal MAFF, Ministero giapponese dell'Agricoltura, delle Foreste e della Pesca


Intervista a Seiko Katagiri

Dopo il successo della mostra “Rispecchia e viene rispecchiata – osmosi tra il colore e il tempo” presso la sede di ArteGiappone, Seiko Katagiri ci racconta la filosofia alla base delle sue opere.

Il titolo della mostra è Rispecchia e viene rispecchiata: il soggetto è dunque il riflesso?

Non il riflesso, ma l'oggetto che rispecchia: acqua, vetro, specchi sono presenti in quasi tutte le opere qui esposte e sono elementi fondamentali per la pianificazione del quadro, il quale viene diviso fra zone in luce e in ombra, zone reali e rispecchiate.

Tuttavia, pur nascendo da un soggetto realistico, il metodo applicato è astratto, al punto che il dipinto non è più un mero ritratto dell'oggetto ma quest'ultimo viene filtrato attraverso la mia prospettiva, fino a diventare ciò che vedo attraverso la mia memoria.

Quindi non è l'oggetto in sè che vuole mostrare, ma ciò che esso rappresenta?

Sì, vorrei mostrare agli altri la felicità che mi provocano questi oggetti, una piccola felicità quotidiana. Con il tempo, i ricordi si accumulano su ciò che ci circonda, che viene irrimediabilmente legato alle memorie più preziose. Queste si sovrappongono al panorama attuale e le due dimensioni diventano tutt'una, deformando e colorando ciò che vediamo, con un effetto che ricorda quello della luna riflessa sull'acqua.

Nelle sue opere prevalgono le immagini domestiche: la cucina, il bagno, il panorama visto dall'interno della casa...A cosa è dovuto ciò?

Molte persone insistono nel voler viaggiare e vedere posti diversi rispetto alla propria routine; io al contrario ho sempre desiderato una casa sul mare perchè fosse il paesaggio a cambiare per me. E' un punto di vista sulla vita completamente diverso.

Vorrei mostrare a tutti quantà felicità ci sia nella vita quotidiana: alcuni artisti prendono spunto da luoghi ed esperienze insolite, mentre io preferisco approfondire le scene più familiari e renderle uniche attraverso la mia interiorità.

E poi, dipingere paesaggi da una prospettiva interna alla casa ha un altro vantaggio: posso usare porte e finestre come cornici nel quadro, con un effetto che sottolinea meglio il panorama.

Non si sente restia a mostrare la propria interiorità?

Al contrario, voglio aver modo di esprimere queste piccole gioie semplici senza ostacoli, che siano la rappresentazione diretta della mia interiorità senza nemmeno l'oggettività che il realismo comporta: un oggetto realistico è neutro, quindi non rispecchia per nulla ciò che una persona vede in esso.

Inoltre, provengo da una cultura che non dispone di muri dietro cui nascondersi; le case erano fatte di pannelli, carta, legno e non di mattoni come quelle occidentali, quindi c'era sempre una reciprocità nel mostrarsi all'interno della comunità, soprattutto durante la mia adolescenza.

Com'è cambiata la sua percezione da allora?

Quando ero ancora nubile, dipingevo la realtà che conoscevo allora, soprattutto donne e gatti. Da sposata, ho iniziato a ritrarre anche altri soggetti, introducendo uomini e bambini nelle mie opere. Sicuramente è rimasto il forte legame fra le mie opere e la mia vita, e il senso di compenetrazione fra passato e realtà attuale.

Si è ispirata a qualche forma pittorica del passato?

Per quanto riguarda la tradizione italiana, sono affascinata dai pittori anonimi del XIII/XIV secolo, quando nell'arte figurativa era ancora forte il senso religioso e la pittura era principalmente bidimensionale; mi ricordano alcuni stili più tipicamente orientali, come la tecnica Rinpa o gli Emakimono, i rotoli di narrazione che alternavano pittura e testo. Mi piace quel tipo di prospettiva dall'alto e la molteplicità di punti di vista che queste opere racchiudono.

D'altra parte, amo molto anche autori noti come Giotto con le sue innumerevoli tonalità di bianco e sono davvero affascinata dalle opere di Piero della Francesca.

Fra le sue opere esposte qui, presso ArteGiappone, qual'è la sua preferita?

Penso che quelle più interessanti siano Morning e Night, che ritraggono lo stesso luogo in due orari differenti. In particolare, Night è il risultato di una tecnica diversa, che ho adottato per la prima volta: in precedenza costruivo il quadro con il presupposto che dove c'è luce dev'esserci necessariamente anche l'ombra. Invece questa immagine nasce dal mio tentativo di liberarmi dalla legge della natura che obbliga i due elementi a coesistere e penso che in futuro continuerò a sperimentare in questa direzione. 


Kill la Kill

KILL LA KILL: combattimenti, batticuori e tanta fantasia!

Kill La Kill è un nuovissimo anime prodotto dall’amato Studio Trigger, uno studio televisivo relativamente nuovo nel panorama dei cartoni animati made in Japan. In genere uno studio di fondazione recente e che produce solo anime per la televisione non fa notizia con nuove serie in uscita… ma la cosa cambia quando tra i fondatori ci sono membri provenienti dagli studio Gainax e Studio 4°C, e il direttore di produzione e il direttore della sezione character designer hanno già lavorato insieme nel riuscitissimo anime Tengen Toppa Gurren Lagann (con la celebre opening "Sorairo Days", spesso cantata live da ERIKO dei K-ble Jungle).

La sigla di inizio è la bellissima "Sirius" di Eir Aoi mentre in chiusura di ogni episodio trovate "Gomen ne, Iiko ja Irarenai." cantata da Miku Sawai.

In origine il manga era concepito come una storia d’azione basata su combattimenti e battaglie, mentre durante la produzione il focus si è spostato sulla caratterizzazione dei personaggi (ma non preoccupatevi, le scene di lotta e i duelli sono ancora notevoli e ben presenti). La storia è incentrata su Ryuuko Matoi, una ragazza con una singola lama rossa, parte di una spada a forbice, alla ricerca dell’assassino del padre che è in possesso dell’altra metà della spada. Nei suoi pellegrinaggi finisce per arrivare alla Honnoji Academy, una scuola dove il potente Satsuki Kiryuuin comanda con spietata freddezza, aiutato dal potente consiglio studentesco. Gli studenti più meritevoli ricevono straordinari poteri grazie ad uniformi, che useranno senza ritegno. Ryuuko unirà le proprie forse a quelle di una speciale uniforme, un abito da studentessa dotato di propria volontà ed intelligenza, dal nome Senketsu. Questi la aiuterà a costringere Satsuki a darle delle risposte sull’assassinio del padre, e a salvare la Honnoji Academy.

La serie è online da ottobre 2013, in contemporanea mondiale alla TV giapponese sul sito www.daisuki.net e sottotitolata anche in italiano, visibile gratuitamente e legalmente grazie agli accordi tra le singole case che detengono i diritti della serie, in Giappone ed in Italia. La promozione a livello europeo conta su una serie di partnership, tra cui quella con l’associazione Italia Giappone Ochacaffè. E’ la prima volta che un anime viene messo a disposizione in contemporanea mondiale gratuitamente, grazie alla Aniplex e a diverse piattaforme.

Per visionare la serie non avete che da visitare il sito daisuki.net e godervi lo spettacolo!


Batô Kannon

Batô Kannon
馬頭観音

Scuola di Kyoto, inizio del periodo Edo (1615-1867)
XVII secolo

Legno intagliato e dorato; occhi in cristallo
Altezza totale: 66 cm
Altezza della figura: 30 cm

Il “Kannon con la testa equina” è considerato protettore degli animali. Unica manifestazione di Kannon che mostri collera, è anche conosciuto come Batō Myō-ō, una delle divinità bellicose ed iraconde del pantheon del buddhismo esoterico giapponese.

Come da tradizione, Batō Kannon viene qui raffigurato coronato da una testa di cavallo e da capelli infuocati, con tre occhi, tre teste e otto braccia. Gli occhi spalancati e la bocca aperta sono evidenti segnali di ira. Le mani frontali intrecciano le dita nel mudra bakô-in (“mudra della bocca di cavallo”), posizione peculiare di questa manifestazione di Kannon che vede i palmi uniti al centro, con indice e anulare ripiegati e le altre dita stese. Nelle altre mani la divinità regge una ruota sacra ed un rosario, mentre probabilmente mancano un bastone, un fiore di loto e una spada o un’ascia. Diversamente dalla raffigurazione tradizionale, le gambe sono incrociate nella posizione del loto anziché nella più comune anraku-za (posizione rilassata). Il piedistallo a forma di fiore di loto è di ottima qualità, con i petali intagliati singolarmente; montato su una base elaborata, incorpora una mandorla tonda decorata a motivi di nuvole.

Durante il periodo Edo Batō era venerato come protettore dei cavalli in virtù della sua tradizione iconografica e del suo antico ruolo di difensore del regno animale. Statue in pietra raffiguranti Batō venivano spesso collocate ai bordi delle strade per proteggere i viandanti e i loro cavalli da incidenti di viaggio.

Tra le sculture in legno risalenti al periodo Kamakura sono da ricordare quelle conservate a Kanzeonji, a Joururiji e a Nakayamaji. Le somiglianze della nostra statua con questi famosi esemplari suggerisce che essa sia stata prodotta nell’area di Kyoto.

Per maggiori informazioni: http://www.giuseppepiva.com/


Intervista a Kyoko Dufaux

Intervista a Kyoko Dufaux, illustratrice; le sue opere sono in esposizione presso l'Associazione Culturale Arte Giappone fino al 3 Ottobre per la mostra "Il cielo di Parigi".

Ha scelto di rappresentare Parigi da una prospettiva diversa: perchè dipingere proprio i tetti e il cielo della città?

Il vero protagonista di questa mostra è il cielo: è il soggetto che volevo rappresentare, dal momento che è una parte essenziale della nostra vita, uno spazio che ci permette di respirare e vivere.

E in un secondo momento ci si accorge degli animali disposti sui tetti e sui balconi...

Sì, gli animali sono venuti in un secondo momento, quando il paesaggio era già stato dipinto. E' sulla base dell'ambiente rappresentato che ho deciso quale animale potesse inserirsi bene nell'immagine e dove collocarlo.

Al contrario, non ci sono esseri umani.

Preferisco dipingere animali, perchè sono più semplici; penso che sia davvero difficile riuscire a rendere la complessità umana. Questo non vuol dire che io non sia interessata a ritrarre le persone, anzi, mi è già capitato in passato, ma trovo più spontaneo utilizzare gli animali come soggetto.

Scorrendo le immagini delle sue opere passate mi hanno colpito quelle di ambientazione africana. Che rapporto ha con quel continente?

Ho vissuto diversi anni in Costa d'Avorio: la visione della natura e dei paesaggi di quei luoghi mi ha profondamente colpita.

Dall'esterno sembrerebbe che la cultura giapponese e quella africana siano agli opposti. Com'è possibile farle coesistere?

A dire il vero, la cultura africana ha più legami con la cultura giapponese di quanti non ne abbia quella occidentale. Penso che un aspetto in comune molto influente sul nostro modo di pensare sia il panteismo, percepire la divinità in tutte le cose: da questo punto di vista, spesso avevo la sensazione di essere connessa alle popolazioni locali al punto di riuscire a comunicare con loro anche senza parole.

Asia, Europa, Africa - ha vissuto per molti anni all'estero. Questo la rende una vera e propria artista internazionale...

Vivere in Paesi diversi mi ha permesso di raccogliere nuovi spunti; invece di seguire fedelmente le strade tracciate dai Maestri giapponesi, ho cercato di cogliere aspetti nuovi derivanti dal viaggiare e ricevere stimoli insoliti, che ora sono parte integrante delle mie opere.

Vorrebbe dire qualcosa alle persone che leggeranno questa intervista?

Vi aspetto! La mostra "Il cielo di Parigi" è aperta a tutti e mi fa piacere ricevere quanti più commenti e reazioni differenti possibili, siete tutti i benvenuti!

 

Silvia Pagano


Gunbai in ferro

Gunbai in ferro
Ventaglio da guerra

Mei: Iga no kami Minamoto Kanemichi
Settsu (Osaka), periodo Kanbun (1661-1672)
XVII secolo
Ferro laccato, 46 x 21 cm

Esposizioni:
Tenshukaku del Castello di Okayama, 1980

Raro gunbai uchiwa in ferro forgiato da uno spadaio, laccato su entrambi i lati con un solo nascente rosso su fondo oro.

Utilizzato dai comandanti per impartire gli ordini sul campo di battaglia, il gunbai rimase anche durante il periodo Edo un simbolo di potere ed elevato status sociale. La forma e il tipo di costruzione si trovano analoghi in alcuni altri esemplari, tra i quali quello conservato al castello di Osaka, che mostra una tsuka virtualmente identica a questa.
Le montature sull'impugnatura sono in shakudo, i menuki realizzati a forma di pezzi di shogi - gli scacchi giapponesi - con iscrizioni in honzogan di oro.

Kanimichi è un fabbro spadaio classificato come chu saku e fu probabilmente allievo di Kaneyasu, autore del gunbai di Osaka. E' probabile ci siano state due generazioni di fabbri che firmavano Kaneminchi, ma solo la prima firmava antemponendo al nome il titolo "Minamoto".

Il gunbai è conservato in una antica scatola di legno con l'iscrizione "On uchiwa, hitonigiri" ed è accompagnato da una lettera di ringraziamento del sindaco di Okayama City per il prestito all'esposizione del 1980.

Per maggiori informazioni: http://www.giuseppepiva.com/


Neko Cafè

Se vi trovate in Giappone e amate i gatti, tappa obbligatoria è senz'altro un Neko Cafè, ovvero il bar dei gatti. Un'esperienza sicuramente diversa dal solito che permette di stare a contatto per qualche ora con i nostri piccoli amici a quattro zampe, sorseggiando un drink o leggendo un manga.

Un neko cafè può ospitare anche una cinquantina di gatti, tutti in completa libertà. Si tratta di locali a pagamento (circa 1000 Yen all'ora) a prima vista normali, dotati di divanetti, angolo bar scaffali con manga e libri che si possono leggere liberamente e tv con annesse consolle di videogames. Tutto l'ambiente è strutturato ad hoc per i felini: ceste, giochi dei più svariati, torrette di paglia per farsi le unghie, scatole. Pagato l'ingresso, il cliente dovrà mettere al collo un cartellino con l'orario di visita prefissato, togliersi le scarpe e lavarsi le mani, imbattendosi probabilmente in un micio che beve dal lavandino. Fatto ciò potrà tranquillamente coccolare i gatti, nel rispetto del regolamento che vieta di infastidirli o strapazzarli troppo. In Giappone i neko cafè sono circa un centinaio, di cui la metà si trova a Tokyo; i ritmi frenetici della metropoli non consentono a tutti di poter accudire un gatto, perciò molti giapponesi della capitale ripiegano sulla scelta di dedicare il loro poco tempo ai mici del Neko Cafè, comprando loro del cibo o facendo anche dei piccoli regali acquistabili al momento nel locale.

Quella dei Neko Cafè è una moda relativamente recente; infatti il primo locale, il Neko no Mise, è stato inaugurato a Machida circa otto anni fa. Da allora c'è stato un vero e proprio boom dei Neko Cafè, accompagnato anche alla nascita di blog con tanto di profili personali di alcuni gatti e foto annesse. Moda che sembra in espansione: i Neko Cafè in tempi recentissimi sono stati oggetto di interesse anche da parte di alcuni Paesi europei che hanno voluto riproporre il binomio bar-gatti. Nel 2012, dopo tre anni di trattative, ha aperto il primo Neko Cafè in Europa, a Vienna, di proprietà di un giapponese. Quest'anno ne sono stati inaugurati altri 5 in Ungheria, Germania e Inghilterra e di recente anche Parigi ha visto la nascita di un Neko Cafè all'ombra della Tour Eiffel. Per quanto riguarda l'Italia, ci sono dei progetti in corso ma si dovrà aspettare ancora; il successo sarebbe assicurato.

Non rimane che farci un salto. E se siete allergici ai gatti, non disperate: si può sempre optare per un izakaya.

Alice Santinello


Yurusarezaru Mono di Sang-il Lee

6 Settembre 2013
presso 70. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia
Fuori concorso

Yurusarezaru Mono di Sang-il Lee

Sinossi
La storia si svolge all’alba dell’epoca Meiji, nel 1880, ed è ambientata a Ezo (l’odierna Hokkaido), l’isola più settentrionale del Giappone. Lo shogunato Tokugawa è appena crollato e gli Ainu, la popolazione indigena, lottano per definire il territorio assieme al governo appena istituito. Jubei Kamata è un reduce dello shogunato Tokugawa. Durante lo shogunato, bastava il suo nome a terrorizzare Kyoto, perché l’uomo aveva trucidato innumerevoli lealisti in nome dello shogun. Dopo la caduta dello shogunato Jubei ha combattuto in una serie di battaglie e poi di lui si sono perse le tracce in seguito alla brutale guerra di Goryokaku. Sono passati più di dieci anni. Jubei vive isolato con i figli avuti da una donna di etnia Ainu, riuscendo a malapena a sfamarli. La povertà lo spinge a mettere da parte la sua decisione di seppellire la spada. Così l’uomo si ritrova ancora una volta invischiato in una vita di violenza. Con il suo vecchio compagno d’armi, Jubei affronta gli ipocriti che pretendono di rappresentare la giustizia. E ancora una volta, in questa nuova epoca, ha inizio un circolo vizioso di violenza.

Interpreti principali:
Ken Watanabe (Letters from Iwo Jima,The Last Samurai )
Jubei Kamata
Akira Emoto (Villain, Dr. Akagi
Koichi Sato (Crest of Betrayal, What the Snow Brings )
Yuya Yagira

La conferenza stampa ufficiale si terrà venerdì 6 settembre alle 14:30, presso il Palazzo del Casinò - Lido di Venezia. Il red carpet si svolgerà dalle 21:45 al Palazzo del Cinema, seguito dalla proiezione ufficiale alle 22:00 in Sala Grande. Saranno presenti, oltre al regista Sang -il Lee, Ken Watanabe, Akira Emoto e Yuya Yagira.


Le stagioni nel Kabuki: il cartellone annuale a Edo

Tradizionalmente, l’anno del kabuki seguiva la scansione stagionale perchè “solo tale periodizzazione ha il carattere cerimoniale dei riti annuali”, secondo quanto afferma lo studioso di teatro Kawatake Toshio.

Essendo prassi comune che l’ingaggio degli attori e delle compagnie presso i vari teatri avesse la durata di un anno, il primo appuntamento della stagione era dato da un programma di presentazione delle compagnie al pubblico, il cosiddetto kaomise, in cui appunto gli attori “mostravano il volto” al pubblico e ne chiedevano la cortese benevolenza. Il programma del kaomise si teneva agli inizi dell’undicesimo mese del calendario lunare (mese che andava dal 20 novembre al 20 dicembre secondo il calendario gregoriano) e costituiva l’inizio della stagione , oltre che un vero e proprio evento cittadino caratterizzato da un clima di fervida attesa in tutti gli appassionati. Data l’importanza vitale che l’appuntamento rivestiva per il buon andamento della stagione che stava per iniziare, il programma era scelto con cura, allo scopo di esaltare le caratteristiche interpretative della compagnia. Gli attori davano il meglio di sé per stupire e affascinare il pubblico, e il tutto era immerso in un’atmosfera di sfarzo e splendore come la solennità dell’occasione richiedeva. E proprio a causa della solennità dell’appuntamento, generalmente venivano scelti drammi jidaimono, ovvero drammi d’epoca ispirati ad episodi storici, oppure, a Edo, drammi in stile aragoto, in cui potevano dispiegarsi al meglio le doti interpretative della troupe in un’ampia gamma di ruoli.

Al kaomise facevano seguito periodi di rappresentazione a scadenza bimensile legati al ciclo delle feste stagionali, segno evidente dello stretto legame che un’arte popolare come il kabuki manteneva con le stagioni e le feste e i riti che le caratterizzavano. Il ciclo delle rappresentazioni accompagnava così i giorni di festa che si susseguivano nel corso dell’anno, sia sul piano cronologico come su quello della consonanza tematica. Il calendario, dunque, determinava date e scelta del repertorio.

Nel primo mese Shōgatsu, il Capodanno, portava le rappresentazioni di inizio primavera chiamate hatsuharu kyōgen, e per l’occasione venivano scelti drammi beneauguranti. Era questa l’occasione in cui venivano pubblicati gli yakusha hyōbanki, libretti contenenti critiche agli yakusha (attori) e che davano anche conto dei kaomise appena tenutisi. Dal sesto mese la lunga estate calda e umida del Giappone favoriva la chiusura dei teatri (che spesso approfittavano del periodo per gli indispensabili lavori di manutenzione) ed il riposo degli attori più celebri, ma le rappresentazioni non erano dovunque sospese. Spesso una programmazione estiva (natsu kyōgen), affidata ad attori giovani o di secondo piano e per la quale i biglietti erano proposti a prezzo ridotto, cercava di portare refrigerio al pubblico con la scelta di sewamono (drammi familiari) e di drammi che prevedevano scenografie con presenza di acqua, per comunicare al pubblico una sensazione di frescura. Inoltre molte storie di fantasmi e di spiriti venivano proposte all'approssimarsi del bon, quando il ricordo andava ai defunti. Nel nono mese l'inizio dell'autunno segnava la fine della stagione annuale del kabuki, si sceglieva allora di rappresentare drammi poderosi in cui i protagonisti si dibattevano in conflitti fra giri ninjō, fra dovere e sentimento, fra obblighi sociali e passione e in cui spesso ritorna il tema della separazione: era questa, infatti, l’epoca in cui alcuni attori si congedavano dal proprio pubblico per andare presso altri teatri e compagnie e in questo modo si alludeva a questo distacco.

Nella scelta dei drammi da inserire in cartellone era indubbia la preoccupazione circa gli effetti che il susseguirsi delle stagioni e il clima avevano sull’attenzione e i sentimenti del pubblico, ed era cura costante di zamoto (proprietari e amministratori dei teatri) e zagashira (attori capi di compagnia) di armonizzare il cartellone con le stagioni. Una preoccupazione di consonanza con il ritmo della natura che permea ancor oggi, come una corrente sotterranea, la vita in Giappone.

Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it

Articolo originariamente pubblicato sul sito di Giappone in Italia il 22 luglio 2010


Il Kabuki nel periodo Edo: le giornate di teatro

Nel periodo Edo, durante i programmi stagionali del kabuki, rappresentazioni di drammi diversi si susseguivano nel corso dell’intera giornata, alternando generi e registri in modo eterogeneo: il gioco della varietà era molto apprezzato dal pubblico. Presentare un programma giornaliero composito non faceva altro che assecondare il gusto per l’alternanza di registri e di generi, per la varietà anche stilistica raccomandata nella messiscena del kabuki: un certo grado di disarmonia avrebbe garantito allo spettacolo profondità e respiro, e rispondeva al canone estetico fondamentale dell’asimmetria che da sempre permea ogni espressione artistica giapponese. Secondo lo studioso Georges Banu, in questi programmi era d’obbligo l’alternanza dei registri: “Ciò che è separato dai generi si trova riunito nella costellazione di una giornata : il tragico e il comico, la danza e il canto. Si individua il percorso di una giornata non secondo le norme di una coerenza, ma, al contrario, secondo quelle di una eterogeneità apparente che deve articolarsi secondo un movimento in cui l’accellerazione è legge. Si riuniscono forme e approcci distinti che si succedono mantenendo la loro autonomia : non si fondono l’un l’altro. Alla fusione preferiscono la contiguità, che è l’ipotesi antica della coesistenza dei contrari.”

Tradizionalmente il pubblico giapponese amava le “giornate di teatro” perché costituivano un momento di puro divertimento, un’occasione per stare insieme, per spostarsi in gruppo da una località all’altra al seguito della compagnia preferita, uscendo all’alba da casa illuminandosi il cammino per mezzo delle chōchin (lanterne di carta), mangiando e chiacchierando secondo il costume dell’epoca (è da ricordare che erano invece proibiti da un’ordinanza dei Tokugawa gli spettacoli notturni).

Il pubblico accorreva fin dalle prime ore del mattino, a volte alzandosi alle 4, per poter assistere a questo rito collettivo di puro divertimento, capace di colpire l’immaginazione degli spettatori che spesso provenivano dalle campagne (erano capi villaggio e ricchi agricoltori) e per l’occasione si recavano in città. Una volta tornati a casa, tentavano con entusiasmo di riprodurre questi spettacoli, la cui fama raggiungeva persino i più remoti villaggi di pescatori ed agricoltori, utilizzando piccole compagnie amatoriali, quasi sempre itineranti, che realizzavano i loro spettacoli negli innumerevoli ji shibai (piccoli teatri) situati in provincia, nelle jōkamachi (città-castello) dei daimyō, nei villaggi, o davanti ai più importanti templi buddhisti e shintō. Le produzioni cui si ispiravano questi più modesti spettacoli erano quelle di Edo e dell’area di Kamigata (Ōsaka e Kyōtō), vale a dire degli ōshibai (i grandi teatri con licenza ufficiale), ma poichè ai contadini era proibito dalla censura dei Tokugawa dare rappresentazioni di kabuki in quanto tali, le produzioni locali venivano autorizzate come teodori (danza di gesti) e ammesse come offerte ai templi durante i matsuri. Il divertimento era così, in ogni caso, garantito.

Rossella Marangoni
www.rossellamarangoni.it

Articolo originariamente pubblicato il 7 settembre 2010 sul sito di Giappone in Italia