Intervista a Masashi Hirao - Parte II

Alberto Moro, Presidente dell'Associazione Culturale Giappone in Italia, intervista il Maestro di bonsai Masashi Hirao, nominato Ambasciatore Culturale dall'Agenzia degli Affari Culturali del Governo Giapponese. La sua missione? Diffondere la passione per il bonsai.

La prima parte dell'intervista è disponibile a questo link.

Qual è la percezione del bonsai in Giappone e come mai è praticato principalmente da uomini?

A livello sociale, il bonsai è considerato un'attività accessibile solo a pochi fortunati, praticata per tradizione, e pertanto non rientra fra le occupazioni più comuni. Questo aspetto inibisce molto i giovani, che percepiscono il bonsai come un'arte incompatibile con il proprio stile di vita. Inoltre, diversamente da altre pratiche, il lavoro del bonsaista non rappresenta uno status symbol, e questo in parte lo rende meno attraente come percorso da intraprendere.

I media non sono interessati a colmare questa distanza dal grande pubblico e contribuiscono a mantenere la sua aura di eccezionalità, trattando il mondo del bonsai solo in riferimento a qualche giardino famoso o per far conoscere l'esistenza di qualche apprendista straniero.

Il livello di chiusura di questo ristretto gruppo di praticanti, storicamente maschile, è tale da tenere le donne al di fuori di esso: infatti, occuparsi di una pianta comporta anche sforzi fisici come sollevare vasi pesanti e non ha nulla della ritualità e del prestigio sociale della cerimonia del tè o dell'ikebana, dove è possibile sfoggiare kimono preziosi od oggetti pregiati.

Vorrei riuscire a infrangere questa barriera: tutte le arti dovrebbero essere passioni in grado di aiutare a essere liberi e a stare bene.

Il legame delle arti con logiche economiche e consumistiche appare sempre più evidente. Questo avviene a scapito della dimensione artistica?

Spesso il bonsai viene maggiormente considerato un hobby piuttosto che una forma culturale o, ancora peggio, come una pratica per anziani; questo avviene anche a causa di un mancato rinnovamento delle forme divulgative.

Non solo: intorno al bonsai si è creato un vero e proprio business che porta a privilegiare la quantità rispetto alla qualità, a scapito dei prezzi. Questa tendenza purtroppo danneggia chi si sostiene grazie alla sua pratica.

Una possibile via d'uscita potrebbe essere innalzare gli standard qualitativi ed elevare la pratica del bonsai ad arte, ma finchè continua a prevalere l'ottica commerciale, noi bonsaisti siamo chiusi in un circolo vizioso.

In alcune arti, come il sumi-e, è possibile realizzare un'opera tecnicamente perfetta ma incapace di comunicare lo spirito dell'artista. Si corre lo stesso rischio con il bonsai?

Per la creazione di un buon bonsai non esistono delle tecniche universalmente valide, ma è piuttosto necessario applicare l'esperienza acquisita: si tratta soprattutto di piccoli gesti quotidiani di cura e attenzione verso un essere vivente e pertanto è difficile cadere in un eccesso di formalità. Un bonsaista calcola automaticamente quali siano i bisogni della pianta in termini di acqua, o di esposizione al sole e in base ad essi cerca di portare la pianta a svilupparsi nella direzione voluta.

Si potrebbe paragonare questo procedimento alla tecnica di Picasso, il quale sapeva disegnare benissimo, ma ha deciso di spezzare la linearità del disegno e andare oltre a esso. Con un processo simile, il bonsaista decide di rompere la norma per dar vita a determinati effetti, che permettono alla pianta di esprimersi al meglio.

Perchè i Maestri del bonsai sono ancorati al Giappone, quando molte arti tradizionali orientali hanno visto la diffusione in Occidente come garanzia per la loro sopravvivenza?

In effetti, i Maestri di bonsai si spostano in altri Paesi solo se invitati. La situazione sta migliorando con l'istituzione dell'Associazione Mondiale del Bonsai, ma spesso i Maestri di bonsai giapponesi sono troppo legati alla propria tradizione, e così fanno fatica a scendere a compromessi con altre culture e altri linguaggi.

Spesso in Giappone siamo talmente concentrati a guardare la bellezza degli altri Paesi che riscopriamo il valore della nostra tradizione solo quando viene riflessa dall'ammirazione dell'Occidente. Spero dunque che, portando in Europa l'arte del bonsai, essa possa essere rivalutata anche nel mio Paese.

La tradizione del bonsai nasce in Cina: che rapporto ha con questa nazione?

In effetti, il bonsai è nato dal bonkei cinese, utilizzato un tempo per ricreare dei piccoli paesaggi naturali su vassoio, così da mostrare la progettazione di un territorio.

Si parla di un'arte sviluppatasi in più di 1200 anni, con origini anche precedenti a giudicare dai 2000 anni d'età del più vecchio bonsai conosciuto. Esistono anche testimonianze scritte risalenti a 1300 anni fa che raccontano dell'abitudine di trasportare alberi mignon in vasi. Tuttavia, non si sa a quel tempo che valore gli venisse attribuito, se venisse considerata una pratica artistica o meno.

A causa del boom economico, i cinesi hanno ricominciato a comprare i bonsai, anche se hanno un modo diverso di approcciarsi a essi: i giapponesi infatti sono attenti ai piccoli dettagli che possono cambiare l'atmosfera, mentre in Cina hanno una sensibilità diversa, che li spinge a preferire un primo impatto più scenografico.

Che impressione ha avuto della pratica del bonsai in Italia?

Il bonsai si è diffuso anche in Italia da moltissimo tempo, ormai.

Quello che mi ha colpito positivamente dei bonsaisti italiani è la capacità di divertirsi mentre lavorano. Il mio progetto consiste nel dimostrare a tutti quanto sia divertente fare bonsai, ma spesso sono talmente concentrato su quello che sto facendo che non riesco a far trasparire quanto sia per me piacevole come attività. Negli italiani invece la gioia derivante dalla pratica è palese, riescono a chiacchierare e ridere mentre lavorano senza perdere la concentrazione.

Quali zone consiglia di visitare in Giappone agli appassionati di bonsai italiani?

Senz'altro consiglio The Omiya Bonsai Art Museum e la regione di Omiya nel suo complesso. Si tratta di una zona storica ricca di giardini e particolarmente accessibile anche ad appassionati di altri Paesi, visto che le guide sono abituate all'afflusso di stranieri. I bonsai del luogo sono riconosciuti a livello nazionale, al punto che l'unione bonsaisti giapponese ha creato apposta un marchio di qualità per identificarli.

Qui a Milano ha scelto di esibirsi in performance molto originali, che abbinano quasi sempre il bonsai alla musica dal vivo. Esiste un genere di musica che meglio si adatta al suo lavoro?

Preferisco musiche ben ritmate, che mi diano la carica necessaria per terminare una performance in un paio di ore e che permettano di tenere viva l'attenzione del pubblico. Quindi propendo per la musica dance e rock piuttosto che per il jazz.

Tuttavia, è essenziale che in queste performance il bonsai e la musica abbiano lo stesso valore. Mi piace creare un lavoro di squadra, dove il gruppo che mi accompagna sia parte integrante del progetto. In questo modo divento membro della band stessa, lavorando in perfetta sintonia con loro.

C'è stato qualche episodio che l'ha colpita particolarmente durante la sua permanenza in Italia?

E' sempre entusiasmante quando dei bambini passano davanti ai miei bonsai e urlano 'Che bello!' C'è sempre una tale naturalezza nel loro modo di esprimersi che sono veramente gratificato dal fatto che trovino davvero belle le mie creazioni. 

Intervista a cura di Alberto Moro
Testi a cura di Silvia Pagano

Si ringraziano Emma Akiko Mercante,Raffaella Nobili e Basilio Sileno per il preziosissimo contributo.


Intervista a Masashi Hirao - Parte I

Alberto Moro, Presidente dell'Associazione Culturale Giappone in Italia, intervista il Maestro di bonsai Masashi Hirao, nominato Ambasciatore Culturale dall'Agenzia degli Affari Culturali del Governo Giapponese. La sua missione? Diffondere la passione per il bonsai.

Maestro Masashi, come si è avvicinato all'arte del bonsai?

Penso che il primo passo sia stato inconsapevole, quando, prima di interessarmi al bonsai, sono rimasto colpito dai giardini dei templi che si potevano ammirare nella zona di Kyoto, dove frequentavo l'università. Solo qualche tempo dopo, a un'esposizione di bonsai, ho pensato che avrei potuto riprodurre e reinterpretare quei bellissimi paesaggi e ho deciso di rivolgermi a un Maestro.

E' così che è avvenuto l'incontro con il suo Maestro, Sabuto Kato?

Un amico mi ha consigliato di parlare con lui per avere qualche indicazione sul mondo del bonsai: non sapevo nulla di lui, della sua fama e neppure della sua arte. Ed è stato proprio questo mio essere un foglio bianco in materia che ha colpito il Maestro Kato, perché gli ha permesso di trasmettermi la sua esperienza senza che io avessi alcuna nozione pregressa.

Secondo lei, qual è il significato del fare bonsai?

ll bonsai comporta una rivalutazione della natura tramite l'arte, e ci tengo a sottolineare che si tratta di curare e osservare la crescita di un albero, e quindi un essere vivente all'interno di un vaso, non di materia passiva o di un oggetto, e ciò costituisce uno dei presupposti principali per avvicinarsi a questa pratica. Per bonsai non si intende solamente la pianta, ma la pianta posizionata nel suo vaso.

Semplificando, il bonsai comporta il prendere una pianta cresciuta in condizioni svantaggiate e portarla a esprimere il suo pieno potenziale tramite la scelta del vaso, il suo posizionamento all'interno di esso e le cure quotidiane ad essa dedicate, in un processo che parte dalla scelta degli strumenti di lavoro e non si conclude mai veramente. Le attenzioni dedicate alla pianta infatti vanno portate avanti quotidianamente, tenendo conto di quali siano la sua personalità e i suoi punti di forza, in modo che tutti gli sforzi siano mirati a farla esprimere al meglio e permetterle così di sopravvivere più a lungo.

Al contempo, il continuo dialogo con essa permette anche al bonsaista di rivelare se stesso e la propria sensibilità. Insomma, proprio questo equilibrio delicato fra la capacità di mettere in risalto le qualità intrinseche della pianta, l'espressione personale del bonsaista e il gusto del futuro acquirente porta questa attività a essere più vicina all'artigianato che all'arte nel senso classico del termine.

Lei si trova in Europa per proseguire l'opera del suo Maestro. Qual è il suo obiettivo?

La parola d'ordine è incuriosire. Voglio diffondere l'arte del bonsai, portarla al di fuori della cerchia ristretta in cui ora è praticata e renderla accessibile al vasto pubblico. E' proprio per questo che sto provando a sperimentare nuove forme di performance, più appetibili a un pubblico giovane e a nuovi ambienti: ad esempio, fare una presentazione in discoteca e riuscire ad attirare anche uno solo dei presenti è un buon risultato, perchè magari quella persona deciderà in futuro di approfondire la sua conoscenza in merito. Ovviamente sono ancora in una fase sperimentale e resto aperto a nuove forme di collaborazioni e di eventi.

Queste forme innovative di performance trovano in Milano un suolo fertile: in quanto capitale della moda e del design. E' senza dubbio una città pronta ad accogliere forme d'arte meno collaudate.

Qual è il processo che la porta a creare un bonsai? Riesce a visualizzare la sua forma finale prima di iniziare a lavorare o modifica progressivamente l'aspetto della pianta?

Come dicevo prima, la mia priorità è identificare le caratteristiche uniche della pianta e farle risaltare: la prima fase è interamente di studio della pianta e dei suoi tratti dominanti.

In base a questo, decido quali lati nascondere e quali sviluppare maggiormente, come disporre i rami...Insomma, raggiungere una determinata forma non è il risultato solo di scelte estetiche, ma anche funzionali.

Più in generale, cerco di visualizzare come si svilupperà la pianta nel tempo e non solo nell'immediato, dal momento che il bonsai è una forma artistica che ha nel mutamento continuo la sua essenza.

Ci tengo a precisare che la scelta di quale approccio adottare è molto personale e varia da bonsaista a bonsaista: io ad esempio preferisco non utilizzare strumenti elettrici o meccanici per non perdere la naturalezza della composizione, mentre altri preferiscono dare alle opere una forma scultorea, a costo di imporre forzature alla struttura iniziale della pianta.

Che rapporto ha con i suoi strumenti di lavoro?

Quando lavoro devo diventare tutt'uno con gli strumenti, quindi non sarebbe sbagliato definirli un'estensione di me stesso. Dal momento che li utilizzo fino a 20 ore al giorno, si sono sagomati in base al mio utilizzo, tanto che riesco sempre a capire se qualcuno li ha usati, quasi sentissi un senso di estraneità, e proprio per questo mi riesce difficile prestarli ad altri.

Per la Forbice d'Oro che mi ha lasciato il mio Maestro vale un discorso diverso. Essa è un simbolo, più che uno strumento, quindi la uso in maniera cerimoniale per il taglio del primo rametto, come atto preliminare all'effettiva lavorazione della pianta. E' una maniera per mostrare al mio Maestro che sto operando in suo nome, portando avanti la missione che mi ha assegnato.

C'è qualche pianta in particolare su cui preferisce lavorare?

No, lavoro bene con qualsiasi pianta tranne le azalee, che in Giappone sono considerate una categoria di bonsai a parte.

Dopo che ha creato la pianta, che rapporto ha con essa? Le capita di tenere i bonsai che ha creato?

Purtroppo il nostro lavoro è sempre destinato a terzi, ai giardini privati o ai vivai delle famiglie di bonsaisti che si tramandano la proprietà di padre in figlio. Una volta creato, il bonsai acquisisce un certo valore ed è tramite la sua vendita che l'artigiano si mantiene.

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Intervista a Seiko Katagiri

Dopo il successo della mostra “Rispecchia e viene rispecchiata – osmosi tra il colore e il tempo” presso la sede di ArteGiappone, Seiko Katagiri ci racconta la filosofia alla base delle sue opere.

Il titolo della mostra è Rispecchia e viene rispecchiata: il soggetto è dunque il riflesso?

Non il riflesso, ma l'oggetto che rispecchia: acqua, vetro, specchi sono presenti in quasi tutte le opere qui esposte e sono elementi fondamentali per la pianificazione del quadro, il quale viene diviso fra zone in luce e in ombra, zone reali e rispecchiate.

Tuttavia, pur nascendo da un soggetto realistico, il metodo applicato è astratto, al punto che il dipinto non è più un mero ritratto dell'oggetto ma quest'ultimo viene filtrato attraverso la mia prospettiva, fino a diventare ciò che vedo attraverso la mia memoria.

Quindi non è l'oggetto in sè che vuole mostrare, ma ciò che esso rappresenta?

Sì, vorrei mostrare agli altri la felicità che mi provocano questi oggetti, una piccola felicità quotidiana. Con il tempo, i ricordi si accumulano su ciò che ci circonda, che viene irrimediabilmente legato alle memorie più preziose. Queste si sovrappongono al panorama attuale e le due dimensioni diventano tutt'una, deformando e colorando ciò che vediamo, con un effetto che ricorda quello della luna riflessa sull'acqua.

Nelle sue opere prevalgono le immagini domestiche: la cucina, il bagno, il panorama visto dall'interno della casa...A cosa è dovuto ciò?

Molte persone insistono nel voler viaggiare e vedere posti diversi rispetto alla propria routine; io al contrario ho sempre desiderato una casa sul mare perchè fosse il paesaggio a cambiare per me. E' un punto di vista sulla vita completamente diverso.

Vorrei mostrare a tutti quantà felicità ci sia nella vita quotidiana: alcuni artisti prendono spunto da luoghi ed esperienze insolite, mentre io preferisco approfondire le scene più familiari e renderle uniche attraverso la mia interiorità.

E poi, dipingere paesaggi da una prospettiva interna alla casa ha un altro vantaggio: posso usare porte e finestre come cornici nel quadro, con un effetto che sottolinea meglio il panorama.

Non si sente restia a mostrare la propria interiorità?

Al contrario, voglio aver modo di esprimere queste piccole gioie semplici senza ostacoli, che siano la rappresentazione diretta della mia interiorità senza nemmeno l'oggettività che il realismo comporta: un oggetto realistico è neutro, quindi non rispecchia per nulla ciò che una persona vede in esso.

Inoltre, provengo da una cultura che non dispone di muri dietro cui nascondersi; le case erano fatte di pannelli, carta, legno e non di mattoni come quelle occidentali, quindi c'era sempre una reciprocità nel mostrarsi all'interno della comunità, soprattutto durante la mia adolescenza.

Com'è cambiata la sua percezione da allora?

Quando ero ancora nubile, dipingevo la realtà che conoscevo allora, soprattutto donne e gatti. Da sposata, ho iniziato a ritrarre anche altri soggetti, introducendo uomini e bambini nelle mie opere. Sicuramente è rimasto il forte legame fra le mie opere e la mia vita, e il senso di compenetrazione fra passato e realtà attuale.

Si è ispirata a qualche forma pittorica del passato?

Per quanto riguarda la tradizione italiana, sono affascinata dai pittori anonimi del XIII/XIV secolo, quando nell'arte figurativa era ancora forte il senso religioso e la pittura era principalmente bidimensionale; mi ricordano alcuni stili più tipicamente orientali, come la tecnica Rinpa o gli Emakimono, i rotoli di narrazione che alternavano pittura e testo. Mi piace quel tipo di prospettiva dall'alto e la molteplicità di punti di vista che queste opere racchiudono.

D'altra parte, amo molto anche autori noti come Giotto con le sue innumerevoli tonalità di bianco e sono davvero affascinata dalle opere di Piero della Francesca.

Fra le sue opere esposte qui, presso ArteGiappone, qual'è la sua preferita?

Penso che quelle più interessanti siano Morning e Night, che ritraggono lo stesso luogo in due orari differenti. In particolare, Night è il risultato di una tecnica diversa, che ho adottato per la prima volta: in precedenza costruivo il quadro con il presupposto che dove c'è luce dev'esserci necessariamente anche l'ombra. Invece questa immagine nasce dal mio tentativo di liberarmi dalla legge della natura che obbliga i due elementi a coesistere e penso che in futuro continuerò a sperimentare in questa direzione. 


Intervista a Kyoko Dufaux

Intervista a Kyoko Dufaux, illustratrice; le sue opere sono in esposizione presso l'Associazione Culturale Arte Giappone fino al 3 Ottobre per la mostra "Il cielo di Parigi".

Ha scelto di rappresentare Parigi da una prospettiva diversa: perchè dipingere proprio i tetti e il cielo della città?

Il vero protagonista di questa mostra è il cielo: è il soggetto che volevo rappresentare, dal momento che è una parte essenziale della nostra vita, uno spazio che ci permette di respirare e vivere.

E in un secondo momento ci si accorge degli animali disposti sui tetti e sui balconi...

Sì, gli animali sono venuti in un secondo momento, quando il paesaggio era già stato dipinto. E' sulla base dell'ambiente rappresentato che ho deciso quale animale potesse inserirsi bene nell'immagine e dove collocarlo.

Al contrario, non ci sono esseri umani.

Preferisco dipingere animali, perchè sono più semplici; penso che sia davvero difficile riuscire a rendere la complessità umana. Questo non vuol dire che io non sia interessata a ritrarre le persone, anzi, mi è già capitato in passato, ma trovo più spontaneo utilizzare gli animali come soggetto.

Scorrendo le immagini delle sue opere passate mi hanno colpito quelle di ambientazione africana. Che rapporto ha con quel continente?

Ho vissuto diversi anni in Costa d'Avorio: la visione della natura e dei paesaggi di quei luoghi mi ha profondamente colpita.

Dall'esterno sembrerebbe che la cultura giapponese e quella africana siano agli opposti. Com'è possibile farle coesistere?

A dire il vero, la cultura africana ha più legami con la cultura giapponese di quanti non ne abbia quella occidentale. Penso che un aspetto in comune molto influente sul nostro modo di pensare sia il panteismo, percepire la divinità in tutte le cose: da questo punto di vista, spesso avevo la sensazione di essere connessa alle popolazioni locali al punto di riuscire a comunicare con loro anche senza parole.

Asia, Europa, Africa - ha vissuto per molti anni all'estero. Questo la rende una vera e propria artista internazionale...

Vivere in Paesi diversi mi ha permesso di raccogliere nuovi spunti; invece di seguire fedelmente le strade tracciate dai Maestri giapponesi, ho cercato di cogliere aspetti nuovi derivanti dal viaggiare e ricevere stimoli insoliti, che ora sono parte integrante delle mie opere.

Vorrebbe dire qualcosa alle persone che leggeranno questa intervista?

Vi aspetto! La mostra "Il cielo di Parigi" è aperta a tutti e mi fa piacere ricevere quanti più commenti e reazioni differenti possibili, siete tutti i benvenuti!

 

Silvia Pagano


Intervista con Kaori Miyayama

Intervista con Kaori Miyayama. La sua mostra, "Scendendo verso il cielo", rimarrà in esposizione presso la galleria 3001Lab presso il Bed&Breakfast RossoSegnale fino al 7 Luglio, dalle 17 alle 19.

Qual è il concetto alla base della mostra?

L'ispirazione per questa mostra è stato il concetto di relazione, che può essere inteso sia fra opere e persone sia fra opere e ambiente. In quest'ottica, tutti gli elementi possono interagire fra loro, al punto che anche il contrasto fra opposti diventa relativo; “sopra” e “sotto” sono dei riferimenti che dipendono dal punto di vista del soggetto e non vanno intesi come assoluti.
E' un tema chiave della tradizione del Buddhismo Zen che permea la cultura giapponese, la quale ci ha abituati a pensare che tutti gli elementi sono parte di un insieme più vasto, dove gli opposti coesistono e non si oppongono.
Partendo da questo presupposto, è molto più facile accettare la pluralità delle prospettive e interiorizzarla, fino a abituarsi ad assumere l'ottica altrui.

Questo cambiamento del punto di vista è consapevole o avviene per caso?

Come dicevo prima, la nostra cultura ci abitua a considerare sempre svariati punti di vista, quindi è uno stato costante che ci accompagna e porta a riflessioni interessanti.
Basti pensare che, dopotutto, la Terra è una sfera inserita nel cielo, il quale dunque non si trova solamente sopra di noi, ma anche al di sotto del nostro pianeta, sotto di noi. Da questo nasce il titolo della mostra, "Scendendo verso il cielo".

E' proprio il principio di "Scendere verso il cielo" che caratterizza la disposizione della mostra: si sviluppa partendo dal cielo, rappresentato al livello del suolo, fino alla terra, le cui opere sono raccolte ai piani più elevati. Ci sono alcuni elementi ricorrenti su vari piani...

Ci sono degli elementi che trovo particolarmente simbolici. Le nuvole rappresentano il mutamento, dal momento che cambiano forma e colore in relazione all'ambiente; i funghi invece sono dei parassiti, che vivono di una relazione che può essere sia positiva che negativa e diventano quindi un tramite fra la terra e il cielo.

Personalmente, mi ha colpito che sia le opere della terra che quelle del cielo utilizzano dei colori molto simili,come il bianco e l'azzurro. Come mai?

Non l'ho pensata in termini di toni ma di densità del materiale: le opere del cielo infatti si basano tonalità azzurro e bianco trasparenti, che entrano in sintonia con lo sfondo e lasciano trasparire la luce. La terra invece è rappresentata dai materiali densi, che si oppongono alla leggerezza dell'aria.

Le opere entrano quindi in sintonia con l'ambiente...

Gran parte delle opere esposte è stata creata apposta per l'ambiente in cui è stata installata, la galleria particolare 3001Lab, partendo dal buco sotterraneo dell’ex auto officina, per arrivare all’esterno, fino al terrazzo e al giardino, passando per le tre camere - tutti gli spazi di RossoSegnale B&B. Entrano quindi in un gioco di relazioni con ciò che le circonda: a seconda della luce, dell'orario etc cambia completamente il modo di percepire l'insieme ed è proprio questo che rende la mostra viva.

Ha vissuto a cavallo fra Giappone e Italia per anni ormai. C'è stato un elemento culturale particolarmente influente nella sua espressione artistica?

Il tema parincipale della mia ricerca è l’esplorazione dello spazio che risiede fra le cose, lo spazio vuoto che io chiamo “frammezzo”. Questo elemento è molto rappresentativo della differenza culturale.
Per esempio, la distanza è un valore molto legato alla cultura di un Paese, basti pensare che la relazione fra due persone in Italia è dimostrata anche dalla vicinanza fisica fra di esse, mentre in Giappone non è necessaria la prossimità dei corpi. Basti pensare alla cerimonia del té: è assolutamente priva di contatto fisico ma è carattarizzata da un clima di ospitalità, apertura e accoglienza quasi palpabile che sono il presupposto fondamentale della cerimonia.
Dal punto di vista artistico, questo si traduce in una riflessione sul cambiamento di percezione di un'opera a seconda della posizione dello spettatore rispetto ad essa, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista intellettuale. E' un aspetto molto interessante, tanto che è stata oggetto della mia mostra precedente.

Come vive il cambiamento culturale?

Quando ci si immerge in un ambiente culturale diverso aumenta la comprensione e la valorizzazione della propria cultura di partenza, perchè vivere in un contesto regolato da norme nuove rende più consapevoli di abitudini che passano inosservate finchè si rimane nel proprio Paese natale. Da questo da un lato deriva un senso di spaesamento, dall'altra ti costringe ad assumere punti di vista nuovi e più flessibili.

Immagino la cultura giapponese e quella italiana come due uomini schiena contro schiena, vicinissimi fra loro ma con lo sguardo rivolto in due direzioni opposte.
In questo senso il mio soggiorno in Italia è servito molto a allargare l’orizzonte della vita.

 

Silvia Pagano


Intervista a Niki Francesco Takehiko

Intervista con Niki Francesco Takehiko, autore della mostra “Social Network diary”, in esposizione fino al 10 Luglio in vicolo Ciovasso, 1 – Milano.

Da dove viene l'idea della sua mostra, Social network diary?

Ci ho pensato a lungo e penso che l'idea iniziale venga dai Timeline dei social network, dove sono completamente assenti i confini temporali e tematici: una mancanza di categorizzazione che permette una percezione immediata e non gerarchizzata. Questo principio si trasmette anche all'esterno della pagina: se un tempo i rapporti nella comunicazione erano piramidali, con un'emittente e uno o più destinatari, oggi chiunque può essere la fonte delle informazioni, rilanciare i contenuti e commentarli.

Questo comporta un cambio di percezione del tempo?

Il presente è l'unico momento tangibile. Fotografie passate possono inserirsi nel presente di qualcuno nel momento in cui le tagga, anche ad anni di distanza dalla pubblicazione del post. Questo contribuisce all'annullamento dei confini temporali e, di conseguenza, riconduce tutto nell'ambito attuale, a un pubblico che risponde nell'immediato.
Da questo punto di vista, i social network si contrappongono ai mass media precedenti all'epoca di Internet. Chi lavora come me nell'ambito delle riviste ha bene in mente il sistema delle scadenze e come questo proietti tutto nel futuro: gli articoli su cui stiamo lavorando ora verranno pubblicati fra una settimana, un mese, quindi sono confezionati per un pubblico ancora immateriale.

Dove si colloca la fotografia fra passato e presente?

La fotografia coglie un momento unico, valido per la prospettiva della singola persona; questo la rende un'opera strettamente soggettiva. Ricordo un episodio avvenuto qualche anno fa, quando ho trovato per caso un cavalletto abbandonato in Piazza Duomo a Milano e l'ho utilizzato la sera stessa per scattare alcune fotografie della Madonnina con la luna piena. In qualsiasi altro momento, quegli scatti non sarebbero esistiti, perchè sono nati da circostanze irripetibili o quasi.
Riguardare vecchie fotografie è dunque un modo per rivivere quei momenti unici nel presente, così non svaniscono nel passato ma restano attuali.

Che rapporto hanno le immagini esposte fra di loro?

In questa mostra ho cercato di abbandonare qualsiasi progettazione: la scelta delle fotografie da esporre è avvenuta per analogia, senza criteri cronologici o razionali, ma piuttosto è stata guidata dalla presenza di una certa poesia trasmessa da esse. Sono presenti immagini pubblicate, non pubblicate, fotografie che sono tutt'ora vive per me e altre che rappresentano un momento importante del passato.
Mentre ne stampavo una, ricordavo improvvisamente un altro soggetto importante, immortalato anni prima, e stampavo anche l'altra fotografia, fino a raggiungere la quota di 108 opere esposte. Un numero simbolico per la filosofia orientale che rappresenta il numero degli Attaccamenti.

Quali sono le immagini che ricevono più like?

Le fotografie di donne e quelle di angeli.

Mentre il suo soggetto preferito?

Gran parte dei soggetti non sono scelti razionalmente, ma mi attirano perchè possiedono una forma di energia, o mi colpiscono per la luce. Altri scatti sono ricordi di momenti che mi hanno cambiato la vita.
Una delle poche eccezioni sono le rappresentazioni di angeli, che ricerco intenzionalmente: fotografarli rappresenta una mia forma di preghiera.

 

Silvia Pagano


Intervista con Maya Quaianni, WOW Spazio Fumetto

Intervista con Maya Quaianni di WOW Spazio Fumetto, seconda sede espositiva del Milano Manga Festival. Sarà possibile visitare la mostra sui Doujinshi, curata dallo studioso Osamu Takeuchi, fino al 15 Giugno.
Ingresso gratuito.

Cosa sono i doujinshi?

I doujinshi sono opere giapponesi auto prodotte; riviste pubblicate privatamente a mediobassa tiratura che vengono distribuite al di fuori del sistema editoriale “ufficiale”.
E' importante sottolineare che non si distinguono dai manga per criteri qualitativi, anzi, il confine è molto permeabile: accade spesso che autori noti che lavorano per le case editrici decidano di pubblicare autonomamente delle opere e, viceversa, che alcuni dei disegni nati come doujinshi vengano acquisiti dalle case editrici.

In cosa si caratterizzano i doujinshi?

In realtà è difficile individuare delle caratteristiche comuni, perché le scelte stilistiche e tematiche variano da autore a autore. E' possibile trovare opere satiriche o temi impegnativi, storie che coinvolgono personaggi presenti in altri manga o completamente originali. Esteticamente, alcune si rifanno strettamente ai canoni del manga, altre invece sono il prodotto di scelte più innovative.

Com'è organizzata la mostra?

Le tavole sono disposte in due aree tematiche in base alla manifestazione in cui sono state presentate, Comiket o COMITIA.
Il COMITIA è riservato esclusivamente alle opere originali. L'ingresso è gratuito, previo l'acquisto di un catalogo – entrambe le manifestazioni sono facilmente accessibili. Si caratterizzano entrambe per un rapporto 'alla pari' fra gli artisti e i visitatori.
Il Comiket, invece, nasce nel 1975 come luogo di ritrovo alternativo agli eventi organizzati dalle case editrici e da allora è cresciuto, fino a raggiungere quota 560.000 visitatori. Il raduno ospita sia opere originali che revisioni comiche o erotiche di personaggi noti.

560.000 visitatori? Un bel successo...

Sì, il fatto che siano prodotti indipendentemente non implica che siano create da autori meno noti. Alcune delle opere qui esposte hanno ricevuto riconoscimenti e premi al Japan Media Arts Festival, organizzato dal ministero della cultura in Giappone; a volte queste opere vengono pubblicate a livello internazionale e sono acquistabili nel mercato occidentale.

Sulle didascalie è indicato un circolo per ogni tavola. Di cosa si tratta?

Spesso un gruppo di autori si riunisce in uno di questi “circoli” (in originale 同人サークル dojin saakuru) per pubblicare le proprie opere e come tali si presentano ai ritrovi. Sia COMITIA che Comiket possono accoglierne un numero limitato per ogni edizione, quindi le piazze d'esposizione vengono assegnate tramite sorteggio.

Quali sono le tavole esposte che trova più interessanti?

Koori no Te, Siberia Yokuryuu-ki (Frozen Hands: Tales of a Siberian Prison Camp Survivor) di Yuki Ozawa per il tema: l'autrice illustra la storia del padre, detenuto nei campi di prigionia siberiani. L’opera ha vinto il New Face Award all’edizione 2012 del Japan Media Arts Festival. Per l'estetica, invece, Goodchild di Yuka Watanuki e Kanzen Shootengai di Panpanya, hanno uno stile grafico molto particolare.

 

Silvia Pagano


Intervista al Prof.Shimizu e al Prof.Takeuchi

Quali sono i valori tradizionali trasmessi tramite il Manga?

Il Manga, sia ora che in passato, rappresenta gli stili di vita e la quotidianità dei giapponesi; grazie ad esso le nuove generazioni del nostro Paese, ma anche i lettori di tutto il mondo, possono scoprire i modelli della società giapponese. Le storie che i manga raccontano sono spesso rielaborazioni di storie, racconti, credenze, al punto che sembrano rappresentare l'essenza della nostra cultura.

In particolare, quali opere consiglierebbe di leggere a chi vuole avvicinarsi alla cultura giapponese?

Sazae-san per vedere la vita quotidiana del popolo. Ma anche opere come ペコロスの母に会いに行く (NdTIncontrare la mamma di Pecoros) possono essere interessanti per affrontare i nuovi problemi della società contemporanea. Anche in Giappone l'età media si sta alzando, e questo Manga racconta della difficile convivenza con una madre anziana che sta perdendo la memoria.

Quindi i manga vengono utilizzati anche come strumento di comunicazione...

Sono state disegnate serie complete su chimica, matematica, economia, ad esempio, grazie alle quali il Manga diventa uno strumento di formazione.

Non solo. I periodi di maggiore diffusione del Manga sono sempre conseguenti a grandi catastrofi naturali, come terremoti o incendi. Leggere queste opere ci aiuta a risollevarci nei momenti di massima tristezza e tornare a ridere della vita. Anche per questo sono una forma artistica molto importante.

Basti pensare che l'influenza culturale del Giappone sull'Occidente si è articolata in tre fasi: la prima, il Giaponismo, ha visto gli autori europei prendere ispirazione dagli ukio-e, mentre la seconda, avvenuta nel 1911, è dovuta alla diffusione delle opere letterarie come il Gengi Monogatari e gli Haiku. Se non si considera una brevissima fase di apprezzamento del cinema giapponese dopo la Seconda Guerra Mondiale, il fenomeno Manga si può considerare la terza fase. Questo dato rende bene la sua importanza.

Ma a sua volta il Manga prende elementi tipicamente Occidentali e li rielabora.

La prospettiva adottata è completamente diversa. Opere come Lady Oscar o Thermae Romae riprendono la storia Occidentale con occhio diverso: è il punto di vista interiore di uno dei personaggi, che esprime le proprie emozioni e i propri sentimenti e dunque il lettore è più portato a immedesimarsi. Le persone si innamorano dei personaggi.

Questo racconto della realtà tramite la soggettività di un personaggio ricorda la tecnica usata nel Romanzo dell'Io, lo Shishosetsu.

Nel Manga è la trasmissione dei sentimenti a dover prevalere: questo avviene tramite la rielaborazione e l'utilizzo di tecniche provenienti da altri mezzi d'espressione, come la letteratura e il cinema, tramandandone così la tradizione.

Il Manga e la letteratura sono sempre più intrecciati - basti vedere l'influenza dello Shojo Manga in Banana Yoshimoto...

Ma esiste anche il processo inverso. Eimi Yamada è passata dall'ambito Manga alla letteratura. Esiste quindi uno scambio fra le due forme artistiche.

A proposito di Mangaka, come sono inseriti nella società? Ricevono la stessa considerazione degli idol?

Fino agli anni '70 il rapporto fra Mangaka e i propri lettori era più stretto: era possibile inviare loro lettere o anche incontrarli in pubblico. Al giorno d'oggi la maggior parte di loro protetti dalle case editrici, anche se esistono le eccezioni come il maestro Takahashi, che preferiscono andare incontro al pubblico. 

Silvia Pagano


J + I - 6 Intervista con Kaori Shiina

J + I - 6 Designers Giapponesi + grandi Artigiani Italiani

In occasione del Fuori Salone 2013, si svolgerà un nuovo evento all'insegna del design orientale in uno dei luoghi più rappresentativi della comunità cinese in Italia. Dal 9 al 14 Aprile, infatti, si terrà il Sarpi Bridge, presso il quale giovani artisti di Cina, Giappone e Corea esporranno le proprie creazioni; un vero e proprio crocevia di personalità che proporrà al pubblico, milanese e non solo, una vasta scelta di opere.

Fra le iniziative cui hanno collaborato personalità dell'arte giapponese, ad esempio la mostra Portrait e l'installazione Insectida, spicca "J + I - 6 Designers Giapponesi + grandi Artigiani Italiani", in cui sono esposte le opere nate dalla collaborazione di Sakura Adachi, Tomoko Azumi, Kazuyo Komoda, Kuniko Maeda, Kaori Shiina e Shinobu Ito e i grandi nomi dell'artigianato italiano. Sei designer di fama internazionale, ma soprattutto sei donne talentuose che hanno messo a confronto la propria creatività con tecniche e materiali lontanissimi dalla propria tradizione.

Per comprendere meglio l'iniziativa, abbiamo chiesto a Kaori Shina, una delle organizzatrici del Sarpi Bridge nonchè autrice di alcune delle opere in esposizione, di parlarci della sua esperienza.

Come guardare la collezione? Con una visione aperta e personale, ha risposto. Collaborare con degli artigiani italiani è stata un'esperienza unica, in cui si è allontanata dal suo background di designer aziendale. Se nel quotidiano la sua creatività è limitata dai vincoli di produzione, entrare di persona nella tradizione manifatturiera italiana le ha offerto la possibilità di realizzare opere uniche, in cui traspaiono gli ideali di semplicità e onestà che caratterizzano il suo lavoro.

Fra le conseguenze della collaborazione con gli artigiani ci sono i costi elevati: le opere hanno prezzi che risultano quindi necessariamente più alti di una normale produzione di serie. Dall'esterno era quasi impossibile valutare la difficoltà nella lavorazione di materiali come il vetro di Murano, sottolinea la signora Shiina. Tuttavia questa nuova esperienza ha aperto un nuovo percorso di pensiero e nuove possibilità per il futuro.

Designer, straniera, donna. Tre caratteristiche che indicano implicitamente un percorso difficile, un percorso che ha formato dei caratteri determinati e decisi. Non è facile emergere in questo settore, confessa. Ma la sfida di trovare una mediazione fra dei punti di vista così forti è stata superata e alla fine ha prevalso il fine comune. Ognuna ha creato con il proprio stile personale un oggetto gentile e onesto, che deriva dalla capacità di mettere da parte l'autocelebrazione, e aprirsi ad una discussione alla pari.

Non resta che invitarvi al Sarpi Bridge e ammirare di persona il frutto di questa collaborazione straordinaria. 


Philippe Daverio intervista Kenjiro Azuma

dsc_32112A Passepartout, Philippe Daverio intervista il grande artista Kenjiro Azuma sul suo sentimento dell'arte e della vita. (Foto di Giuseppe De Francesco)