Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (5)

Numeri dispari e Sukiya

Come dichiarato in precedenza, i giapponesi hanno dimostrato un’affinità per i numeri dispari sin dai tempi antichi. Collegando le riserve di potere implicite nelle rimanenze dei numeri dispari alla religione, arrivano a connettersi con il potere supernaturale dell’assistenza divina. Questo concetto di potere è stato ulteriormente collegato all’estetica giapponese, dando origine all’affinità emotiva per la bellezza della rimanenza espressa nello spazio vuoto e nella risonanza.

Potrebbe essere che, grazie al pensiero ironico degli entusiasti del chanoyu e dei sensualisti di oggi,  questo significato dei numeri dispari abbia cambiato significato, risultando in un’architettura chiamata sukiya. Invertendo i kanji della parola kisu, che significa “numeri dispari”, si producono i kanji di suki (lo “ya” in sukiya significa “casa”), implicando un’origine che deriva dai numeri dispari. La parola “suki” è stata scritta originariamente utilizzando il kanji altrimenti pronunciato ko, che indica il voler bene o l’attaccamento. In seguito, quando l’abitudine del tè importata dalla Cina dai monaci Zen raggiunse una popolarità tale durante il periodo Muromachi (1336-1573) che bisognava avere padronanza nel chanoyu per essere considerati “qualcuno”, “suki” incominciò a riferirsi all’avere una profonda affinità per il sentiero verso la raffinatezza, la “sensualità” e il chanoyu. Questo utilizzo della parola incominciò a diventare scritto usando i caratteri inversi per “numero dispari”. Lo Yamanoue Sōji Ki {Scritti di Yamanoue Sōji (1544-90)] elenca tre proprietà richieste a una “persona suki”; un portamento dignitoso anche in assenza di importanti utensili del tè (ciò in un’epoca in cui la regola era possedere gli utensili cinesi più raffinati), l’originalità e una resa decente del servizio. Suki significa così indifferenza nei confronti degli standard della maggioranza della società, fede nel valore degli oggetti come è dettato dalla propria sensibilità e la creazione di nuove forme di bellezza. Non è un mondo oggettivo di bellezza ma, piuttosto, è una questione di sensibilità soggettiva della persona che apprezza la bellezza nei propri termini.Leggere di più


Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (4)

“Il godimento risiede nel non fatto”

Zeami, (1363?-1443?), nell’opera Kakyō che egli scrisse per trasmettere i segreti del teatro noh, parla del fatto che “il godimento risiede nel non fatto.” “Il non fatto” si riferisce alla cessazione di tutte le espressioni, musicali o vocali, durante brevi e silenziosi intervalli che si realizzano quando un passaggio di danza o di canto si muove verso quello successivo. Non è né un vuoto arresto né una pausa silenziosa, ma l’utilizzo di un breve intervallo in cui trasuda la tensione interiore dell’artista ed è trasformata in qualcosa dal forte impatto come un’espressione senza espressione. L’arte di un maestro deve includere l’espressione dell’inespresso e “il godimento risiede nel non fatto” è la spiegazione di Zeami di questa estetica dell’intervallo nel teatro noh.

La parola “omoshiro(ki)” che Zeami utilizza per esprimere il godibile è scritta oggi con i kanji di “faccia” e “bianco” ed è utilizzata di solito per esprimere una sensazione piuttosto superficiale di divertimento o piacere. L’antica raccolta di poesie Manyō Shū, comunque, scrive “omoshiro” utilizzando due kanji che denotano l’emozione, il cui significato combinato si traduce con qualcosa come “pietoso”. “Omoshiro” esprime così un movimento emotivo del cuore che coinvolge l’amore della bellezza e una tenera sensazione di pathos. “Il non fatto” di Zeami connota un filtrare verso la tensione interiore, così questo “godimento” denota chiaramente il significato più antico e più profondo di omoshiro utilizzato nel Manyō Shū.

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Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (3)

L’estetica del negativo

La sensibilità del poeta di haiku Bashō può essere descritta come quella del silenzio e del negativo. Notate questo esempio:

kono michi ya

yuku hito nashi ni

aki no yūgure

Questa strada

Ah, senza una persona che viaggia

Nel crepuscolo autunnale.

Mentre “senza una persona che viaggia” (meno) e l’autunno, che indica l’avvicinarsi dell’inverno (meno), esprimono un cuore solitario attraverso negativi multipli, esprimono anche la forza spirituale di continuare a forgiare indipendentemente (meno x meno = più). Ciò dimostra perfettamente l’essenza dell’estetica del negativo, costituendo non una semplice debolezza negativa ma una forza interiore nascosta.Leggere di più


Il senso della bellezza giapponese e l'architettura sukiya (2)

Definire la cultura

I giapponesi esprimono costantemente il desiderio che la propria nazione e le città non siano meramente civilizzate ma acculturate, tuttavia le città che costruiscono in realtà sono una manifestazione del primo aspetto e non del secondo. La ragione di ciò risiede nell’incapacità di distinguere con chiarezza fra civiltà e cultura.

Watsuji Tetsurō spiega allegoricamente che: “quando condiamo una verdura appena colta con l’olio e la mangiamo, questa è civiltà. Quando mettiamo della verdura appena colta in un contenitore e la lasciamo in salamoia per giorni, facendo emergere il corpo del suo sapore nascosto, e poi la mangiamo, allora quella è cultura.” (Leggermente modificato ai fini del presente articolo.)

Il sapore della civiltà espressa dall’insalata di Watsuji è superficiale e monodimensionale. Ma nel caso nella cultura, prendersi il tempo di mettere in salamoia la verdura fa emergere il suo intero “corpo”, o sapore nascosto. Nella tesi di Watsuji, è questo “sapore nascosto” che costituisce la cultura.Leggere di più


Shirakawa-go

A Ogimachi, nella regione montagnosa di Shirakawa-go, parte della prefettura settentrionale di Gifu, sono presenti diverse decine di case coloniche in stile gassho-zukuri risalenti a circa 250 anni fa. Molte di esse sono diventate ristoranti, piccoli musei o minshuku, ovvero suggestive soluzioni abitative per tutti coloro che desiderano trascorrere un breve soggiorno in case che uniscono al fascino estetico il valore storico. Dal 1995 sono state inserite nell’elenco dei siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Il valore storico di questo insediamento non riguarda solo l’aspetto costruttivo ma anche lo stile di vita adottato dai suoi abitanti, la cui principale attività è la coltivazione degli alberi di gelso e l’allevamento dei bachi da seta.Leggere di più


Un salto nella meravigliosa Tokyo sotterranea

Chilometri e chilometri di metrò. Shopping center, ristoranti, negozi di ogni genere. Ecco cosa caratterizza il sottosuolo di Tokyo. Nel tentativo di combattere inquinamento e sovraffollamento, la nuova sfida della capitale giapponese è sfruttare il suo spazio sottostante, per creare una città parallela che offra servizi e spazi amplificati per rendere Tokyo più vivibile.

Mentre la Tokyo “di sopra” si espande verso l’alto con la costruzione di nuovi ed innovativi edifici che ospitano uffici all’avanguardia, gli stessi giapponesi chiedono strutture sotterranee funzionali per il poco tempo libero che gli rimane durante la giornata. Tempo libero che, per la maggior parte, trascorrono, proprio sottoterra per spostarsi da un capo della città all’altro.Leggere di più


La pagoda: capolavoro di filosofia e proporzioni

Tempio di Kofuku-ji

Un’alta torre che svettante racchiude in sé tutto il mistero della filosofia e della cultura del sol levante… la pagoda.

Le origini di questo tipico simbolo orientale risalgono attorno al I secolo a. C. in India come stũpa, monumento commemorativo di matrice buddhista.

Una breve descrizione delle sue parti costitutive ci aiuterà a comprendere le assonanze metaforiche tra forma e significato che donano a quest’elemento armonia ed equilibrio e lo rendono così affascinante nella sua semplicità: un solido basamento sorregge l’intera struttura costituita dal corpo (anda), un lungo pilastro (yasti) che dalla cima del corpo si erge slanciato verso il cielo, e una serie di anelli concentrici (chattraveli) che si sviluppano attorno ad esso; all’interno sono solitamente poste le ceneri del defunto. Con lo sviluppo e l’evolversi del culto religioso lo stũpa viene in seguito ad identificarsi esclusivamente con la figura specifica dell’Illuminato (il Buddha storico Shakyamuni) e in alcune culture orientali, come quella tibetana, gli stessi elementi architettonici ne rappresentano metaforicamente le parti del corpo, con l’usanza di dipingerne ad esempio gli occhi sinuosi e penetranti sulla parte superiore. Il più antico e completo esempio di primo stũpa buddhista rimasto in sito è lo Stũpa di Sanchi. Leggere di più