Ennesime inesattezze della stampa sul Giappone

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Sono socia dell’AIRC dal gennaio 1991, codice 2296047P e scrivo a voi perché ho ricevuto e letto il numero di Fondamentale (allegato al Corriere della Sera, Sette, il 10.11.11) dedicato a “I più buoni del mondo - Il meglio della cucina internazionale”.
Sono ogni volta sorpresa (ma ormai dovrei essere preparata) e dispiaciuta per l’imprecisione e l’inesattezza di ciò che si scrive su un argomento che conosco bene: il Giappone. Se questa superficialità è alla base di tutto ciò che troviamo sui giornali, allora non c’è da credere a nulla di ciò che dicono e conviene smettere di leggerli e usare meglio il nostro tempo.
Mi chiedo anche se gli articoli dedicati sul fascicolo a India, Cina  e così via contengano altrettanti errori.
Sarebbe bene che le persone incaricate di scrivere su argomenti a loro poco noti non si fidassero troppo di internet (che offre possibilità di conoscenza, ma anche bufale tremende) e cercassero di documentarsi, oltre che di far controllare a esperti della materia prima di mandare alle stampe. Il lettore in genere crede “come Vangelo” ciò che legge su giornali e riviste e quindi contribuisce al propagarsi di notizie errate.
Si dà il caso che io mi dedichi agli studi giapponesi dal 1966, abbia vissuto in Giappone quasi sei anni, sia laureata in lingua e letteratura giapponese e sia autrice di quattro libri sulla cucina di quel Paese (di cui uno sulla cucina vegetariana zen). Ogni volta che leggo notizie approssimative o inesatte vengo colta da scoramento perché questi scritti vanificano il lavoro di tutti noi amici e studiosi del Giappone, che ci dedichiamo da anni a sfatare leggende metropolitane, idee preconcette, frasi fatte e luoghi comuni sparsi a piene mani sulla carta stampata o in televisione (recentissima: Benedetta Parodi, “scrittrice di cucina” (!) che vende milioni di copie, ha presentato con grande enfasi in una sua trasmissione, un VERO cuoco giapponese, che si è poi rivelato essere un brasiliano di origine cinese!
Non ne possiamo più.Leggere di più

Antonio Fontanesi, pittore e maestro dall'animo giapponese

Il Kobū bijutsu gakkō

Nel 1876 il governo fondò il Kobū bijutsu gakkō (Scuola tecnica d’Arte) poiché aveva la necessità di istituire un’accademia nella quale si insegnasse la pittura per puri scopi pratici. Essa fu inserita nelle competenze del Kōbushō (Ministero della Tecnica) dal momento che l’arte veniva considerata una tecnica al servizio della scienza.

All’epoca il governo impiegava diversi stranieri, i quali avevano il compito di contribuire alla formazione della futura potenza giapponese: l’Italia fu scelta come maggiore rappresentante della “grande” arte. Il conte Alessandro Fè, allora ambasciatore italiano in Giappone, inviò un bando che, attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione, pervenne all’Accademia Albertina di Torino nella quale insegnava paesaggio da sei anni Antonio Fontanesi. Il bando giunse anche all’Accademia di Brera dove furono scelti Vincenzo Ragusa per rappresentare la scultura e Giovanni Vincenzo Cappelletti per l’architettura.Leggere di più


Confronti tra Italia e Giappone durante la Restaurazione Meiji (1868-1912)

Primi passi verso l’Occidente

Ė noto il periodo di infatuazione collettiva che ha avuto l’Europa per l’arte giapponese alla fine dell’Ottocento: l’immaginario artistico comune riconduce il Giappone a quelle stampe in cui il mondo nipponico appare etereo, poetico, fatto di geisha e paesaggi nitidi. Tuttavia in pochi conoscono il fenomeno opposto: la sete di conoscenza e di contatti con l’Europa che hanno caratterizzato il periodo della Restaurazione Meiji.

Ancor meno conosciuto è l’apporto fondamentale che hanno dato personalità italiane allo sviluppo artistico giapponese. Ė straordinario osservare l’esperienza di Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone e trovare in essi una tale curiosità intellettuale. Tre uomini distanti per formazione e provenienza, eppure così affini per spirito di osservazione, hanno lasciato un’impronta profonda nella storia giapponese, a loro volta toccati dalle modalità di espressione artistica nipponica.

La Restaurazione Meiji determina forti cambiamenti in Giappone. Un paese che fino a quel momento aveva fatto della chiusura e della tradizione un punto di forza, decide di entrare nella competizione economica e di supremazia con le altri grandi potenze mondiali. Per raggiungere questo obiettivo stabilisce di affrontare il tutto in maniera accademica: comprende infatti che per battere un avversario è necessario prima studiarlo da vicino. Ciò sfocia in un periodo di indagine e di confronto con le maggiori potenze straniere in ogni ambito, dalla guerra all’economia per giungere alla cultura, e in particolar modo, all’arte. Il confronto artistico avviene con la nazione considerata maggiormente rappresentativa in questo campo: l’Italia.  La conoscenza dell’arte occidentale viene quindi veicolata dal nostro Paese e, in particolar modo, da tre personaggi, Antonio Fontanesi, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone, i quali lasceranno un’impronta ben visibile del loro contributo.Leggere di più