Contemporaneità e polistilismo

Spesso associato al termine “eclettismo” il polistilismo diventa popolare in musica solo dagli anni ’70 grazie al compositore russo Alfred Schnittke ed al suo testo “"Polystylistic Tendencies in Modern Music”. Proprio a Schnittke il compositore Kano Sohei si rifà direttamente, riprendendone i canoni base per trovare uno stile personale. Conosciuto relativamente ancora poco e noto soprattutto per una sola produzione per l’animazione, Fractale, anime di 11 episodi diretto da Yamamoto Yutaka nel 2011, nonostante questo suo unico exploit nel mondo animato, la sua partitura si distingue dalle altre proprio per l’approccio estremamente innovativo che la sua esperienza come compositore contemporaneo riesce a dare. Fatto ancor più singolare se si pensa che non ci si trova all’interno di una produzione sperimentale, anzi, prodotta da uno degli studi di animazione più importanti in Giappone quale la A-1 Pictures, già nota per serie mainstream come “Sword Art Online” e “Valkyra Chronicles”. L’Anime, nato da un’idea originale del regista, che già aveva lavorato all’interno dello studio Kyoto Animation, e dello scrittore e critico letterario Azuma Hiroki, narra la storia di un mondo futuribile, paragonabile nei paesaggi all’Irlanda a cui la canzone finale, scritta nel secolo scorso da William Butler Yeats “Down by the Salley Gardens”, fa esplicito riferimento. In questo mondo immaginario ma non troppo, la vita di tutti i giorni viene gestita attraverso pseudo avatar che si muovono in città ed ambienti ricreati da un sistema dal nome, appunto, Fractale, e dove agli uomini è dato stare senza lavorare in quanto è il sistema stesso a provvedere a tutti i loro fabbisogni, questo sino a che l’intero stile di vita non rischia di collassare su se stesso per ragioni che a poco a poco scopriremo in corso d’opera. Tralasciando l’aspetto grafico e del character design, che si discosta non poco da altre produzioni coeve, musicalmente parlando l’opera è ricca di spunti e di richiami tra loro più diversi, oltre allo stile proprio del compositore, numerose brani si rifanno a periodi storici e stilistici diversi, che all’interno dell’intervista ci vengono spiegati dallo stesso autore come inserti voluti o necessari ai fini anche e non solo della riuscita dell’Anime da un punto di vista drammatico e finanziario. Lascio quindi la parola al compositore Kano Sohei che oltre che a guidarci all’interno del mondo di Fractale, ci da l’opportunità di seguire da vicino l’approccio di un autore non specificatamente legato al mondo dell’animazione e che quindi, più di altri, è in grado di spiegarcene i meccanismi interni che lo guidano.

Edmondo Filippini: Lei ha scritto una sola colonna conora per uno degli anime più interessanti dedicati ad un possibile futuro, Fractale. Mi piacerebbe sapere come e perché ha scelto questo soggetto come sua prima partitura per questo genere.
Kano Sohei: Il regista dell’Anime, Yutaka Yamamoto, ascoltò il mio lavoro "Scherzo for Wind Orchestra No.2 - The Summer" e gli piacque tanto da contattarmi richiedendomi di lavorare a questo progetto. In realtà non ci conoscevamo direttamente, mi ha contattato infatti attraverso il mio blog. Lo "Scherzo for Wind Orchestra No.2 "The Summer"" era una delle composizioni per un concorso di ensemble di fiati in Giappone e Mr. Yamamoto aveva una profonda comprensione sia della musica classica, sia per la musica per fiati.
n.d.a.: L’autore permette l’ascolto di questa partitura al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=QvJ25bCeKhM (la musica inizia a 1:08)

E.F.: Com’è stato il suo approccio drammaturgico alla storia come compositore?
K.S.: Avevo due cose in mente mentre lavoravo al progetto. La prima cosa era l’idea di uno stile di vita antico ed uno altrettanto razionale di un futuro di mille anni da oggi coesistenti l’uno con l’altro. La seconda cosa che avevo in mente era prendere il sistema razionale (che sperimenti anche mentre lavori) ed andare contro di esso, pensando alla domanda “cosa significa diventare indipendenti o sostenersi da soli?”. Mi sono avvicinato al primo pensiero utilizzando sia la tecnica classica che la “fredda” tecnica dodecafonica, mentre nel secondo caso usando melodie violente ed effetti sonori. Penso che stavo guardando a me stesso con l’idea di: “guadagnarsi da vivere con la musica”. E.F.: Lei ha mischiato vari stili musicali come il contemporaneo in Hibi no Kate nomi no Roudou to Kueki kara, l’antico e l’elettronico...come pensa questi stili possano dialogare all’interno del mondo musicale contemporaneo? K.S.: Penso che il polistilismo, come può essere anche compreso dalla musica del mio mentore Shuko Mizuno e da compositori quali Schnittke e Zimmerman, sia la chiave. Sono stato devoto al concetto di polistilismo sin dal college e penso che la sua influenza si possa ascoltare nella colonna sonora. Penso inoltre che la musica contemporanea sia stata interamente esplorata in termini di creazione e destrutturazione, sebbene ci possa ancora essere qualcosa ancora da studiare, ed ora noi viviamo in un era in cui la adattiamo e la mixiamo. Io rimango su queste posizioni ed ho ottenuto alcuni successi sino ad ora, lo “Scherzo” prima menzionato è uno di questi.

E.F: All’interno della partitura di Fractale c’erano molti riferimenti alla musica sia neoclassica che barocca, per esempio vari brani eseguiti con un quartetto d’archi, come Nessa no Waltz, Satoyama no Koukei e ancora Ittoki no Ansoku. Come mai ha scelto questo particolare ensemble?
K.S.: Le opere da lei citate sono state registrate come aggiunta sotto richiesta del regista. Egli voleva più musica con gli archi e poiché il budjet rimasto era abbastanza basso si è optato per il quartetto d’archi. Quindi era l’esigenza del momento la ragione principale, sebbene alla fine questi brani in qualche modo caldi e calmi contrastino bene con quelli più vasti e seri.

E.F.: In Dias no prelude lei ha usato uno stile prettamente bacchiano. C’è una ragione speciale per cui ha voluto usare uno stile così antico?
K.S.: Dias è ritratto come una persona fredda. Piuttosto che scrivere qualcosa di melodico pensavo quindi di usare una successione di arpeggi che avrebbe funzionato meglio. Il fatto poi che il regista amava le Suite per violoncello di Bach ha costituito un elemento determinante per questo.

E.F.: Per il brano Kozeriai, Oosawagi ha scelto una musica molto ironica con alcune reminiscenze dalla musica del cinema muto. E’ stata una scelta intenzionale? Si è ispirato proprio a quel periodo?
K.S.: Nella maggior parte dei casi ho seguito lo schema drammatico collegato con l’immagine, impiegando anche le tecniche di Shostakovich e Yasushi Akutagawa. Comunque ho visto molti film di Chaplin quindi potrebbe essere che mi abbiano influenzato un po’.

E.F.: La canzone Hiru no hoshi è una sorta di dolce lullaby molto importante all’interno della storia. La melodia è originale o ha voluto usare una canzone per bambini preesistente?
K.S.: "Hiru no Hoshi" non è stato scritto da me ma da Satoru Kosaki. Credo che sia una sua canzone originale.

E.F.: Ci può dire qualcosa della sua attività compositiva al di fuori del mondo dell’animazione?
K.S.: Quest’anno è stato premiato un mio brano per orchestra di fiati “Five Combination" ed anche il mio brano Prelude for Ground Reviving è stato pubblicato.

E.F.: Ha nuovi progetti per il future a proposito di un possibile anime, film o Drama?
K.S.: Sfortunatamente non ho ricevuto ancora un nuovo progetto. Come progetto da me creato personalmente mi piacerebbe trasformare alcuni anime in opera. "Higurashi no naku koro ni" è stato una produzione personale del 2010 come "Dojin".

Edmondo Filippini


Tsuji You, dove l'anima classica incontra l'immagine

Photo by Eiji Kikuchi

Compositore tra i più apprezzati dalla critica cinematografica e sicuramente tra i più amati dal pubblico giapponese, oggi Tsuji You è sicuramente una delle figure di riferimento nel panorama della composizione sia per il cinema che per l’animazione, nonostante i lavori per quest’ultima produzione, si limitino ad alcuni esempi tra i più musicalmente significativi della produzione Anime degli ultimi anni.

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Edmondo Filippini


Kawai Kenji, la ricerca di una nuova via musicale tra passato e futuro

Kawai Kenji rappresenta nella cultura giapponese ed in particolare nel mondo dell’animazione, un nome quasi leggendario per le numerose partiture prodotte in oltre venti anni di carriera ma soprattutto per i grandi titoli cinematografici che l’hanno visto coinvolto. Compositore la cui carriera compositiva sin dalle origini è sotto il segno della poliedricità e dell’insofferenza alle regole prestabilite, dopo solo alcuni mesi alla Shobi College of Music di Tokyo infatti decide di staccarsi dal mondo accademico ufficiale per intraprendere una carriera di chitarrista fondando una sua band ancora oggi attiva AGG. Il suo primo lavoro per l’animazione risale al 1986 in collaborazione con i registi Kazuo Yamazaki e Takashi Annō per la stesura della colonna sonora della nota serie in 96 episodi, Maison Ikkoku, diventata serie di culto in quasi tutto il mondo. Lo stile però non è ancora perfettamente definito e sarà soprattutto dall’incontro con il regista Mamoru Oshii per il film “Gli Occhiali Rossi” [Akai Megane], con cui stabilirà un sodalizio stretto, che gli permetterà di esprimersi al meglio dando inizio ad una ricerca che sempre maggiormente farà emergere uno stile riconoscibile ed autonomo. La collaborazione proseguirà anche con la serie Mobile Police Patlabor sempre diretta da Oshii. Gli anni ’80 lo vedono anche coinvolto in alcune serie di successo come Ranma ½ e gli OVA di Davilman, serie animata tratta dal manga di Go Nagai.

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Articolo, Intervista e Traduzione

Edmondo Filippini

Sabato prossimo, sempre a cura del Dott. Edmondo Filippini, pubblicheremo l'articolo: "Dal Manga all'Anime: trasformazione e movimento"

 

 

 

 

 


Il canto dei carri: Saibara

Poche volte, anche in Giappone, si incontra il termine Saibara quando si guarda superficialmente alla storia della musica giapponese e spesso viene erroneamente confuso o associato ad altri repertori vocali afferenti il composito universo del Gagaku. Eppure tale tipologia di canti sono sicuramente tra i più rappresentativi e antichi della tradizione giapponese, risalenti ad origini, secondo l'ipotesi oggi più accreditata, popolari. Il termine, per quanto non con una traduzione univoca, fa riferimento infatti ai "conducenti di carri", funzionari che in epoca Heian erano principalmente addetti alla riscossione dei tributi nelle varie regioni del paese.

Portato al suo massimo splendore da Minamoto no Masanobu (920 - 993), si ritrovano echi di tale genere ancora nel Genji Monogatari, grazie ad una tradizione continuata a corte, che inserì il Saibara nel repertorio vocale del Gagaku garantendone anche la sopravvivenza. Dei cinquantacinque canti oggi superstiti però soltanto sei fanno ancora parte di tale repertorio di cui soltanto due eseguiti ancora in maniera quasi stabile. Proprio il fatto di appartenere oggi ad un repertorio di origine non autoctona rende però difficile la possibilità di ricostruire la loro forma popolare, poiché rimasti soggetti, loro come molte altre composizioni, ad una riscrittura che adattò la musica e i testi alla nuova funzione di corte. Le musica ed il canto, oggi ricostruibili solo attraverso due "intavolature" musicali, si caratterizza per un allungamento vocalico con l'aggiunta di formule decorative che danno varietà al canto mentre l'orchestra è costituita dall'ensemble classico normalmente utilizzato nel Gagaku con l'aggiunta di quello che in occidente potrebbe essere chiamato "maestro di coro", Kutou, che da il tempo con il battito degli Shakubyoshi.

Edmondo Filippini


I periodi Jōmon, Yayoi e gli albori della musica Giapponese

 

I primi periodi della storia musicale giapponese sono irti di problemi e controversie che a tutt'oggi sono ben lungi dall'essere risolti a causa della mancanza di fonti valide e dalla contaminazione col mito che gli stessi giapponesi, stanziatisi nello Yamato (le attuali prefetture di Osaka, Nara e Wakamiya) costruirono successivamente. A differenza di quanto accade in occidente, di cui ci rimangono una cinquantina di minuti del repertorio musicale greco (peraltro molto discutibili) dei periodi antichi le uniche testimonianze a cui possiamo affidarci in maniera incontrovertibile sono gli strumenti musicali sopravvissuti. Del periodo preistorico, che finisce nel300 A.C. ci sono rimasti solo alcuni fischietti di pietra forata, chiamati ishibue,in grado di emettere non più di quattro o cinque note, rintracciabili in fattura simile anche in altri scavi della vicina Corea, mentre altrettanto interessante è un altro strumento oggi conservato al Gakkigaku Shiryōkan del Kunitachi College of Music, una dorei (fig.1), campana, la cui datazione al Jōmon, nonostante le decorazioni tipiche, è profondamente messa in discussione; infatti nessun altro esemplare simile o assimilabile a questo tipo è stato sino ad ora rinvenuto, rendendo impossibile esprimersi in maniera certa.

Con la successiva civiltà che prenderà il nome di Yayoi (il suo nome deriva dalla zona di Tōkyō, Yayoi-chō, in cui per la prima volta vennero rinvenuti i primi manufatti di questo periodo) che si concluderà nel 250 D.C., grazie soprattutto alle migrazioni delle popolazioni del continente sull'arcipelago giapponese, si iniziarono ad impiegare attrezzi di metallo e di bronzo, nonché a fare dell'agricoltura uno dei punti di forza dell'economia interna, avviando un processo che porterà il Giappone sulla via di una stratificazione gerarchica che da lì a qualche secolo avrebbe visto nascere in Yamato la prima dinastia regnante. Anche gli annali cinesi, in particolare il Wei Chih del 297 e lo Hou Han Shu del 445, restituiscono oltre all'immagine in una terra solcata da divisioni sociali anche quella di una popolazione dedita soprattutto Associazione Culturale Italo Giapponese Fujiall'agricoltura ed amante delle pantomime, dei canti e delle danze. E proprio a questo periodo risale una controversia musicale che dura ancora oggi: nel1943, aToro, vicino alla città di Shizuoka, venne rinvenuto un wagon, cetra giapponese, databile intorno al 250 D.C.,che farebbe di questo strumento, anticamente ritenuto di origine continentale, un prodotto genuino delle popolazioni giapponesi antiche. Ma questa non è l'unica testimonianza della vita musicale nello Yayoi, proprio grazie alla migrazione delle popolazioni straniere si rese possibile la forgiatura delle dōtaku (fig. 2) o nuride, particolari tipi di campane, costruite in bronzo, spesso usate senza batacchi e, forse, utilizzate anche come simbolo d’autorità.

Il luogo di ritrovamento nelle zone del Kantō, nel Kansai (zona di ōsaka), nello Shikoku ed in misura minore nella regione di Chōgoku, ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi, tra cui Harich-Schneider, di una possibile immigrazione che entrasse dal nord del Giappone e proseguisse verso sud, senza arrivare alle isole Kyōshō, andando in controtendenza all'idea di una possibile popolazione dell'arcipelago proveniente da sud, che comunque non spiega la completa assenza di manufatti di questo periodo nelle isole sopra citate e nel sud dello Shikoku. Anche uno degli antichi annali giapponesi, lo Shoku Nihongi, riporta come nel sesto anno dell'epoca Wadō, il 713 D.C.,un uomo del villaggio di Namusaka, di nome Udagōri, ritrovò una dōtaku nella terra di Nagaokanu, alta tre shaku (90 cm) e di uno shaku di diametro (30 cm) con una forma non ordinaria (per lo standard del periodo in cui viveva l'uomo) ed un suono in accordo con la scala musicale a quel tempo vigente, il che apre ulteriormente la possibilità a nuove ipotesi, essendo le scale musicali tutte di importazione cinese non prima del VI-VII secolo. Per decreto imperiale venne ordinata la sua preservazione negli anni ma non è oggi identificabile, ammesso l'episodio come veritiero, con quelle in nostro possesso e purtroppo nulla rimane su come queste avessero parte nella reale pratica musicale dōtaku.

Al di là dell'aneddoto, il fatto riportato rimane comunque curioso, soprattutto perché è facile chiedersi come mai queste campane venivano trovate in luoghi isolati, lontane dai centri abitati e vicino ai pendii delle montagne invece che preservate in templi o altre istituzioni dell'epoca. Molto probabilmente queste erano utilizzate nei templi solo durante le festività e per il resto dell'anno dovevano rimanere nascoste come oggetti segreti, sino a quando tale pratica non venne completamente abbandonata, decretando contemporaneamente anche lo smarrimento ed il non recupero delle campane ancora sepolte. Le forme di queste campane sono riassumibili in due tipologie, entrambe con decorazioni inerenti la natura. La prima, che è anche la più antica e di dimensioni ridotte, è stata rinvenuta anche in alcuni luoghi della Corea mentre la seconda, più diffusa ed a volte di dimensioni maggiori, è stata fino ad ora rinvenuta solo su territorio giapponese.

L'ultimo strumento certamente risalente a questo periodo è lo tsuchibue, di forma ovale con un numero di fori variabile da quattro a sei, simile Feimoall'ocarina e derivante quasi certamente dal flauto cinese xun. A conferma di questa parentela vi è un ritrovamento del 1966 di uno strumento in tutto uguale a quello cinese ad Ayaragi no Godaichi nella prefettura di Yamaguchi. Chiamato in tempi più recenti ken o kon, ma con uguale scrittura, la sua origine in Cina è ben più antica della sua prima comparsa e si attesterebbe tra il 6000 ed il5000 A.C. circa.

Edmondo Filippini


Il periodo Asuka Il Gigaku

 

Introdotto durante l’era dell’Imperatore Kinmei (539 - 571), così secondo il Nihonshoki, il Gigaku non è esattamente una forma musicale in senso stretto, bensì una forma teatrale elaborata il cui nome significa, se tradotto letteralmente, musica dell'atto. Chiamato con molti nomi, tra cui kuregaku e kure no utamai dal nome della terra da cui derivava oggi non ancora identificata in maniera univoca, fu introdotto inizialmente da un monaco di nome Chisō, proveniente dalla regione cinese di Wu, che portò in Giappone in quegli anni l’intero organico strumentale per l’esecuzione di questo repertorio.

Solo durante l'era dell'Imperatrice Suiko, nell’anno 612, vi fu la definitiva introduzione di tutto l'apparato sia musicale che scenico grazie soprattutto all'incessante lavoro di promozione delle arti e  della religione del continente operata dal Principe Shōtoku Taishi che allo scopo fece trasferire una persona naturalizzatasi giapponese di nome Mimashi proveniente dal regno di Paekje. Questi era, secondo quanto riportano gli annali, uno “studioso di gigaku nella terra di Kure, insegnante poi ai giovani di Sakurai, nella terra di Yamato”, di questi giovani noi oggi conosciamo solo il nome di Mano no Obitoteishi e Imaki no Aya no Saimon.

Andato via via scomparendo già dall'epoca Heian, riuscì a sopravvivere come repertorio autonomo sino agli inizi del periodo Edo all'interno dei templi buddisti per poi scomparire completamente.
Studiosi come Tanabe Hisao sono però convinti che alcuni brani di Gigaku siano arrivati sino ad oggi grazie al repertorio che di fatto inglobò questo ed altri stili quali ilGagaku, più precisamente egli rintraccia nei brani ShinshōtokuDaishōtokuNasori eChikyū del lato destro probabili discendenti di quelle antiche danze e musiche.
Se da un punto di vista uditivo le informazioni sono scarse, diverse sono invece le fonti iconografiche: tra queste, il Dankyu (fig.1), un arco conservato anch'esso allo Shosoin di Nara, rappresenta sicuramente la fonte più importante. In esso vi sono infatti riportate varie figure di danzatori vestite con foggia non Giapponese impegnate proprio nel repertorio Gigaku e da questo è possibile ricavare alcune informazioni anche sugli strumenti impiegati tra cui spiccano gli Dōbyōshi, castagnette, il Sasara, specie di frusta fatta con asticelle di legno ancora oggi in uso nelle campagne, il Narabishō, simile alla syrinx greca più altri strumenti a percussione quali il Gigakutsuzumi e loYoko.

Sono inoltre sopravvissute varie maschere di grande formato sia in legno che in tela (Fig.2) che confermano come questo repertorio fosse principalmente usato nell'accompagnamento di processioni e pantomime e celebrato principalmente all'aperto.

Si è quasi certi che tale rappresentazione si aprisse con una danza di leone, Shishimai, prima rappresentazione di quest'animale sentito come creatura mitica poiché non presente sul territorio e proseguiva poi con una danza che questa aveva personaggio principale il Dio Susanō chiamata Oroshi taiji di cui si è persa completamente traccia.
Nell'attuale ricostruzione del repertorio, condotto anche grazie alle descrizioni contenute nel Kyōkunshō, uno spettacolo completo di gigakucomprende al massimo ventitre attori, e viene diviso in due parti, una processione e la rappresentazione vera e propria messa in scena nel seguente modo:
Durante la processione appare è il Chidō la cui funzione è quella di purificare la strada che conduce al tempio e di controllare il luogo della rappresentazione a tempo di musica a cui segue la già citata Shishimai.
Si susseguono quindi una serie abbastanza lunga di danze che oscillano tra il serio ed il parodico, come la danza che racconta la storia dell'uccello Karura, in indiano Garuda, una delle otto divinità protettrici del buddismo ed altre due immediatamente successive a questa che raccontano di un barbaro ed una fanciulla importunata dal primo in maniera oscena e salvata dall'intervento di due guardiani del tempio e di un Brahmino messo completamente in ridicolo.
Dopodiché si ritorna al serio grazie all'introduzione del personaggio di nome Taikofu, grande padre degli orfani, che effettua varie benedizioni e preghiere rivolgendosi infine anche ai defunti.
La rappresentazione si chiude nel grottesco con la danza Suikoō o Suikojū, nient'altro che una satira nei confronti dei regni stranieri.
Questa è purtroppo solo una ricostruzione sulle fonti che ci sono pervenute comunque scarse, però è chiaro come un repertorio che conteneva una tale commistione di generi fosse destinato via via a scomparire con l'avanzare di forme ben più raffinate quali ilGagaku prima ed il  ed il Kabuki poi che avrebbero portato la cultura teatrale e musicale Imperiale e Shogunale giapponese ad un livello di raffinatezza ed astrazione filosofica cui il Gigaku non avrebbe mai potuto sperare.

Edmondo Filippini


TAIKO - Vicenza

Caratterizzato da una coreografia di grande potenza questo concerto dal ritmo incalzante è in grado di trasmettere forte energia per una rappresentazione di grande valenza estetica e alta sensualità.

Un Concerto di Taiko
una vera e propria Scarica di Adrenalina
ed Energia

VICENZA

Prenotazioni e Vendita:

- Online: entra qui
- Biglietteria Teatro Comunale Città di Vicenza:
Viale Mazzini, 39 (Vicenza) Tel.: 0444.324442; email: biglietteria(at)tcvi.it
- Presso gli sportelli della Banca Popolare di Vicenza

Storia del Taiko

La leggenda del tamburo giapponese va indietro nel tempo, quando la terra era governata dagli antichi dei.
Si racconta che un giorno la Dea del Sole si infuriò a causa delle violenze di suo fratello e si nascose in una grotta.
Così la terra fu avvolta dal buio totale.
La vita delle persone divenne più triste e volendo richiamare il Sole fuori dalla grotta, iniziarono a danzare, a fare musica, a pregare ed, alla fine, a suonare tamburi di fronte alla grotta.

La Dea del Sole, incuriosita da ciò che stava accadendo, guardò fuori. In quel momento le persone la presero e la tirarono fuori dalla grotta. Immediatamente tornò la luce e la terra si scaldò.
Da quella volta il Taiko è suonato in occasione di importanti eventi, celebrazioni dell’estate e feste popolari.



La musica del periodo Kofun e la preparazione per il nuovo stato giapponese

Successivo al periodo Yayoi si colloca il periodo Kofun che prende il nome dalle sepolture megalitiche tipiche dell'area soprattutto del Kansai (fig.1) ed è compreso tra gli anni  250 D.C. al 552 D.C., inizio del periodo Asuka.
Questa fu l'epoca in cui tutte le importanti innovazioni dei precedenti periodi, tra cui soprattutto quelle in ambito agricolo e militare, contribuirono a far nascere una nuova idea di unità nazionale dando il via a quell'unificazione, la prima della storia giapponese, che si sarebbe concentrata soprattutto attorno ad un piccolo gruppo di individui che si staccarono sempre più significativamente dalle popolazioni agricole, andando a fondare un nuovo stato che oggi generalmente identifichiamo con il termine Yamato, situato oggi nell'area del Kansai.

Le teorie su come avvenne questa formazione, tralasciando il mito narrato negli annali giapponesi, sono molte e varie, quella che viene oggi comunemente accettata ci deriva dal testo cinese Wei-Chih che farebbe risalire ad una principessa-sacerdotessa di nome Himiko, o Pimiko, la creazione del primo grande clan che attraverso un sistema di alleanze riuscì a creare un primo stato di nome Yamatai, identificato, anche se con molte riserve, proprio con lo stato Yamato (alcuni storici, pur confermando la validità di tali eventi, contestano che Yamatai potrebbe essere un'antica regione situata nel Kyūshū).
Inoltre in ambito religioso apparirono per la prima volta gli uji gami, Dei degli uji, antichi guerrieri o personalità di rilievo che nel tempo, venerati di generazione in generazione, si trasformarono in divinità locali.

Se precedentemente si era ravvisato negli strumenti la maggiore fonte di conoscenza del mondo sonoro dell'antico Giappone, l'oggetto di maggiore interesse di questo periodo risiede in una serie non molto amplia di piccole statue chiamate haniwa, statue di terracotta facenti parte del corredo funerario degli imperatori e dei dignitari di corte, poste vicino ai Kofun, che solo nella fase di mezzo iniziarono a essere prodotte con fattezze umane (ancora molto rudimentali in verità) abbandonando l'abitudine iniziale di riprodurre templi e case, conservate oggi in vari musei del Giappone (Tōkyō e Kyōto National Museum, Fukushima ed Aikawa Museum Castello di Hikone,) ed esteri (Metropolitan Museum of Art di New York).

Nonostante la loro qualità storica sorpassi nettamente la qualità artistica, soprattutto se messa in raffronto alla coeva tecnica cinese di modellazione della terra cotta, di queste statue sono sopravvissute sino ai giorni nostri un centinaio di guerrieri, che rappresentano sicuramente la categoria più cospicua ed un numero esiguo di suonatori e danzatori.

Alcuni esempi tra i più significativi sono le statue raffiguranti delle Miko, sacerdotesse, nell'atto della danza, come quella rinvenuta a Kokai, Oizumi-machi, prefettura di Gunma, risalente al VI secolo D.C. che fa ancora riferimento ad un passato sciamanico perfettamente rappresentato dalla danza della Dea Ame no Uzume no Mikoto nel mito della Caverna di Amaterasu (narrata da Kojiki e Nihon Shoki) o la coppia di statue chiamate Odoru-danjo (rinvenuti a Nohara, Konan-machi, prefettura di Saitama) (Fig.2) che mostrano un tipo di danza che usava accompagnarsi col canto e con l'utilizzo del proprio corpo quale strumento musicale.

Tra queste statue rappresentanti figure di sacerdotesse vi sono anche alcuni esempi di  rappresentazioni di strumenti musicali quali un danzatore seduto nell'atto di suonare un wagon (rinvenuto a Mōka-shi, prefettura di Tochigi) (Fig.3), tra le prime testimonianze visive pervenuteci di questo strumento ed un'altra sacerdotessa che regge un frammento di strumento a percussione, waritake, costituito da due aste di bambù percosse l'una sull'altra diffuso ancora oggi in alcune zone di campagna dell'arcipelago giapponese.

Gli Haniwa descritti sopra offrono non solo una panoramica di un mondo perduto ma permettono alcune ulteriori riflessioni sul ruolo della musica all'interno del rito religioso qual'era la sepoltura, dove la mondanità, rappresentata dagli strumenti a fiato, di gran lunga più diffusi in questo periodo, era completamente bandita, infatti, in nessun caso è stata rinvenuta una statua raffigurante un suonatore di un qualsivoglia tipo di flauto, tranne in un caso particolare di dubbia identificazione.
Successivamente al contato con il continente asiatico e soprattutto con lo stato cinese, tutto in Giappone subirà una modifica radicale che ne muterà per sempre le sorti sia politiche che musicali.

Edmondo Filippini da Pagine Zen N. 78

 


Biwa Hoshi: la cecità dell’arte

Uno degli aspetti più interessanti legati alla musica per biwa nelle sue origini storiche risiede negli esecutori stessi. Come si accennava nel precedente articolo, i Biwa Hoshi erano monaci erranti, ciechi, che si muovevano di paese in paese vivendo della propria arte, raccontando/cantando di guerrieri che contribuirono a rendere leggendari e di guerre tra clan, in alcuni casi accompagnati da un giovane aiutante che li aiutava nelle situazioni di tutti i giorni. Da un punto di vista organizzativo sembrerebbero quindi un insieme disomogeneo di personalità, di diversa grandezza artistica, che si muovevano singolarmente. Nel XIV secolo, però, grazio soprattutto all’attività di Akashi Kakuichi, riuscirono ad associarsi tra loro a tal punto da costituire una vera e propria corporazione che nel periodo Edo ebbe la sua ufficiale, nonché ultima, approvazione prima della loro definitiva scomparsa.Leggere di più


Il Biwa: dalla Corte di Heian allo Shogunato di Edo

Conclusosi il ciclo dedicato al Gagaku, vorrei cominciare un'altra serie di interventi, più ridotti, dedicati ad una delle realtà più curiose e affascinanti della cultura sviluppatasi successivamente alla fine dell'epoca Heian.

Con la caduta della supremazia Fujiwara e l'ascesa delle grandi famiglie, Taira e Minamoto su tutte, l'assetto politico del Giappone subì un profondo mutamento che l'avrebbe avviato verso quel processo di trasformazione  sfociato nel primo shogunato di Kamakura (1185–1333). Al cambio politico corrispose anche un sostanziale cambio di gusto, legato non più in maniera stretta alla cultura della corte di Kyoto e via via sempre più vicino alle nuove caste guerriere.Leggere di più