Le storie erranti del Giappone

 

LE STORIE ERRANTI DEL GIAPPONE                                 

 Un'introduzione al Kamishibai                               

Era una scena piuttosto usuale nel Giappone del primo novecento vedere un gruppo di ragazzini accorrere al suono dello hyoshigi, strumento formato da due battenti in legno che veniva percosso per annunciare che era giunto il kamishibaiya, il narratore che da lì a poco avrebbe dato vita alla magia del Kamishibai.

Si tratta di un teatro di strada che ebbe un'enorme diffusione in tutto il Giappone tra gli anni '30 e gli anni '50 del secolo scorso. Iniziò il suo declino con l'avvento della televisione, che inizialmente   era  indicata con il termine  Denki Kamishibai  ( kamishibai elettrico ), il che ci dà la misura di quanto questa forma espressiva rappresentasse un fenomeno culturale ben radicato nel tessuto sociale, superando di gran lunga – in termini di pubblico -  altre forme di intrattenimento come il cinema o il teatro.

Consiste in un teatrino in legno di misure ridotte ( butai ) all'interno del quale il kamishibaiya faceva scorrere delle immagini disegnate che illustrano una storia in sequenza.

In questa efficace sintesi di immagini e parole consiste la peculiarità e la forza espressiva del kamishibai. Come in tutte le situazioni in cui c'è qualcuno che narra e qualcuno che ascolta, fondamentale è la qualità del contatto che si stabilisce.  In Giappone si usa il termine  Kyokan per indicare “ il cerchio della condivisione dei sentimenti ” tra chi narra e chi ascolta, Nella mia esperienza di narratore questo spazio affettivo e di empatia si è sempre manifestato, in particolar modo con i bambini, che sono sempre riusciti a rendere unico ogni evento.

 

Passato

Alcuni studiosi fanno risalire le origini del Kamishibai al XII secolo, collegandolo ad altre forme di narrazione visiva come i famosi rotoli dipinti chiamati emakimono. Inoltre il kamishibai si è distinto in  Gaito Kamishibai  ( Kamishibai di strada ) e  Kamishibai Kyoiku  ( Kamishibai educativo ),  ma qui ci occuperemo del Kamishibai  nelle forme in cui si diffuse come teatro di strada.

 

Il termine kamishibai nasce dall'unione delle parole kami (carta) e shibai (teatro, drammatizzazione), e si può tradurre come “ teatro di carta ”.

Il narratore sfilava la prima immagine  rivelando al pubblico quella successiva, e così via fino alla conclusione. La sua abilità consisteva nel creare il giusto equilibrio tra lo scorrere delle immagini e l'incedere della narrazione, tenendo desta l'attenzione del pubblico. Per esempio in alcuni passaggi poteva far scorrere molto lentamente un 'immagine e scoprire solo parzialmente quella successiva,

suscitando curiosità e prolungando la suspence. Il fatto che le immagini scorressero da sinistra a destra ne determinava la costruzione, in termini di inquadratura e composizione. Le immagini dovevano risultare leggibili anche a distanza, il che comportava che i disegni fossero sintetici, efficaci e privi di inutili dettagli. Solitamente sul retro delle immagini era trascritto il testo della storia, anche se molti kamishibaiya la eseguivano a memoria.

 

Come già detto, si trattava di un teatro di strada, i narratori si spostavano di villaggio in villaggio o da un quartiere all'altro delle città a bordo di biclette sulle quali era montato il butai. Si guadagnavano da vivere vendendo caramelle e altre leccornìe ai bambini. Non c'era nessun obbligo di acquistare la loro merce per assistere allo spettacolo, semplicemente facevano disporre più vicino  chi aveva acquistato e più lontano gli altri  Si stima che nella sola Tokyo - nel periodo di massima diffusione - operassero circa tremila kamishibaiya, tra i quali si riciclarono diversi Benshi, i narratori del cinema muto che si ritrovarono senza lavoro al sopraggiunger del sonoro.   Nel drammatico periodo della grande depressione,  un gran numero di persone riuscì a sopravvivere e avere un reddito grazie al kamishibai. Bisogna considerare infatti che era un'attività che oltre al kamishibaiya coinvolgeva molte altre figure: dagli artisti che dipingevano le storie – e delle  quali vi era una continua richiesta - al  Kashimoto,  una specie di “ boss” che si occupava di diversi aspetti organizzativi, come il noleggio delle biciclette, la commissione agli artisti della realizzazione dei disegni per le storie che poi faceva circolare tra i kamishibaiya per rinnovare il loro repertorio.

Bisogna sottolineare che le storie erano tutte costituite da disegni originali, e rappresentavano   perciò dei pezzi unici. E' verosimile che in una produzione di numero così elevato vi fossero dei prodotti dozzinali, ma tanti altri rappresentavano dei piccoli capolavori. Purtroppo di questo enorme patrimonio ne sopravvive oggi solo una piccola parte adeguatamente custodita.

I generi narrati spaziavano dal comico al drammatico e le storie non erano rivolte esclusivamente ai bambini e ragazzi, ma ad un pubblico di tutte le età. La formula adottata era quella di concludere l'episodio rimandando la fine della storia agli incontri successivi, in modo da garantirsi una nuova affluenza di pubblico incuriosito da come sarebbero proseguiti gli eventi. Perciò ogni racconto si componeva di più episodi, ognuno dei quali in media era composto da una dozzina di disegni.

Spesso i protagonisti erano giovani eroi che dovevano affrontare prove e tribolazioni, combattendo contro animali feroci o terribili  alieni alla conquista del mondo. In queste storie sono apparsi i primi personaggi in costume con identità segrete, prototipi dei moderni superoi.

In assoluto uno dei personaggi più popolari fu Fantaman ( Ogon Bat : Pipistrello dorato ). Grazie alla sua enorme popolarità  sopravvisse al declino del kamishibai, trasmigando nei Manga e successivamente alle Anime.

A proposito dei Manga, a buon diritto  il Kamishibai può esserne considerato un precursore. Nel suo libro “ Manga Kamishibai” Eric P. Nash scrive : “ Se la maggior parte della cultura pop giapponese [ … ] ha origine dai Manga, il Manga ha le sue radici nel Kamishibai ” Oltretutto esistono dei collegamenti diretti, poiché diversi kamishibaiya si dedicarono ai Manga  divenendone in breve figure chiave, come Sanpei Shirato e Shizero Mizuki.

Conclusa la sua parabola, il Kamishibai rimase per lungo tempo solo un motivo di nostalgia per le generazioni che avevano avuto la possibilità di assistervi.

 

Futuro

All'incirca dalla metà degli anni '80 il kamishibai è stato oggetto di un crescente interesse riapparendo non più come teatro di strada ma nel contesto di scuole e centri di cultura, e si è avviato  un nuovo periodo di diffusione che è partito dal Giappone per  allargarsi ad altri paesi del mondo.

Questo rinnovato interesse ha portato alla nascita, nel 2001, dell' IKAJA : “ The International Association of Japan”, che si propone di favorire la comunicazione in tutto il mondo tra chi si occupa di Kamishibai e promuoverne lo studio. A questo proposito, uno degli ultimi eventi organizzati dall'Associazione, in collaborazione con la “Petite Bibliothèque Ronde “ è stato il meeting europeo di Kamishibai dal titolo “ Un Kamishibai pour la Paix”, organizzato nell'aprile 2012 in Francia presso la sede dell' Unesco.  Si susseguono nel mondo eventi come workshop e conferenze,  in Giappone periodicamente si tiene un raduno nel quale gli artisti eseguono le storie da loro stessi create e realizzate : tutti segnali  che fanno ben sperare che il Kamishibai possa emanciparsi dal concetto  di revival e guadagnarsi a pieno titolo  un posto permanente

accanto ad altre forme espressive della nostra epoca, come il cinema o il fumetto, avendo tutti i requisiti per potersi considerare  un'arte senza tempo.

 

Pino Zema

pinozema@libero.it

www.kamishibai.mi.it

www.facebook.com/pages/Kamishibai-Milano/305261769588406

 

Tratto da Pagine Zen n.96.

 


Contemporaneità e polistilismo

Spesso associato al termine “eclettismo” il polistilismo diventa popolare in musica solo dagli anni ’70 grazie al compositore russo Alfred Schnittke ed al suo testo “"Polystylistic Tendencies in Modern Music”. Proprio a Schnittke il compositore Kano Sohei si rifà direttamente, riprendendone i canoni base per trovare uno stile personale. Conosciuto relativamente ancora poco e noto soprattutto per una sola produzione per l’animazione, Fractale, anime di 11 episodi diretto da Yamamoto Yutaka nel 2011, nonostante questo suo unico exploit nel mondo animato, la sua partitura si distingue dalle altre proprio per l’approccio estremamente innovativo che la sua esperienza come compositore contemporaneo riesce a dare. Fatto ancor più singolare se si pensa che non ci si trova all’interno di una produzione sperimentale, anzi, prodotta da uno degli studi di animazione più importanti in Giappone quale la A-1 Pictures, già nota per serie mainstream come “Sword Art Online” e “Valkyra Chronicles”. L’Anime, nato da un’idea originale del regista, che già aveva lavorato all’interno dello studio Kyoto Animation, e dello scrittore e critico letterario Azuma Hiroki, narra la storia di un mondo futuribile, paragonabile nei paesaggi all’Irlanda a cui la canzone finale, scritta nel secolo scorso da William Butler Yeats “Down by the Salley Gardens”, fa esplicito riferimento. In questo mondo immaginario ma non troppo, la vita di tutti i giorni viene gestita attraverso pseudo avatar che si muovono in città ed ambienti ricreati da un sistema dal nome, appunto, Fractale, e dove agli uomini è dato stare senza lavorare in quanto è il sistema stesso a provvedere a tutti i loro fabbisogni, questo sino a che l’intero stile di vita non rischia di collassare su se stesso per ragioni che a poco a poco scopriremo in corso d’opera. Tralasciando l’aspetto grafico e del character design, che si discosta non poco da altre produzioni coeve, musicalmente parlando l’opera è ricca di spunti e di richiami tra loro più diversi, oltre allo stile proprio del compositore, numerose brani si rifanno a periodi storici e stilistici diversi, che all’interno dell’intervista ci vengono spiegati dallo stesso autore come inserti voluti o necessari ai fini anche e non solo della riuscita dell’Anime da un punto di vista drammatico e finanziario. Lascio quindi la parola al compositore Kano Sohei che oltre che a guidarci all’interno del mondo di Fractale, ci da l’opportunità di seguire da vicino l’approccio di un autore non specificatamente legato al mondo dell’animazione e che quindi, più di altri, è in grado di spiegarcene i meccanismi interni che lo guidano.

Edmondo Filippini: Lei ha scritto una sola colonna conora per uno degli anime più interessanti dedicati ad un possibile futuro, Fractale. Mi piacerebbe sapere come e perché ha scelto questo soggetto come sua prima partitura per questo genere.
Kano Sohei: Il regista dell’Anime, Yutaka Yamamoto, ascoltò il mio lavoro "Scherzo for Wind Orchestra No.2 - The Summer" e gli piacque tanto da contattarmi richiedendomi di lavorare a questo progetto. In realtà non ci conoscevamo direttamente, mi ha contattato infatti attraverso il mio blog. Lo "Scherzo for Wind Orchestra No.2 "The Summer"" era una delle composizioni per un concorso di ensemble di fiati in Giappone e Mr. Yamamoto aveva una profonda comprensione sia della musica classica, sia per la musica per fiati.
n.d.a.: L’autore permette l’ascolto di questa partitura al seguente link: http://www.youtube.com/watch?v=QvJ25bCeKhM (la musica inizia a 1:08)

E.F.: Com’è stato il suo approccio drammaturgico alla storia come compositore?
K.S.: Avevo due cose in mente mentre lavoravo al progetto. La prima cosa era l’idea di uno stile di vita antico ed uno altrettanto razionale di un futuro di mille anni da oggi coesistenti l’uno con l’altro. La seconda cosa che avevo in mente era prendere il sistema razionale (che sperimenti anche mentre lavori) ed andare contro di esso, pensando alla domanda “cosa significa diventare indipendenti o sostenersi da soli?”. Mi sono avvicinato al primo pensiero utilizzando sia la tecnica classica che la “fredda” tecnica dodecafonica, mentre nel secondo caso usando melodie violente ed effetti sonori. Penso che stavo guardando a me stesso con l’idea di: “guadagnarsi da vivere con la musica”. E.F.: Lei ha mischiato vari stili musicali come il contemporaneo in Hibi no Kate nomi no Roudou to Kueki kara, l’antico e l’elettronico...come pensa questi stili possano dialogare all’interno del mondo musicale contemporaneo? K.S.: Penso che il polistilismo, come può essere anche compreso dalla musica del mio mentore Shuko Mizuno e da compositori quali Schnittke e Zimmerman, sia la chiave. Sono stato devoto al concetto di polistilismo sin dal college e penso che la sua influenza si possa ascoltare nella colonna sonora. Penso inoltre che la musica contemporanea sia stata interamente esplorata in termini di creazione e destrutturazione, sebbene ci possa ancora essere qualcosa ancora da studiare, ed ora noi viviamo in un era in cui la adattiamo e la mixiamo. Io rimango su queste posizioni ed ho ottenuto alcuni successi sino ad ora, lo “Scherzo” prima menzionato è uno di questi.

E.F: All’interno della partitura di Fractale c’erano molti riferimenti alla musica sia neoclassica che barocca, per esempio vari brani eseguiti con un quartetto d’archi, come Nessa no Waltz, Satoyama no Koukei e ancora Ittoki no Ansoku. Come mai ha scelto questo particolare ensemble?
K.S.: Le opere da lei citate sono state registrate come aggiunta sotto richiesta del regista. Egli voleva più musica con gli archi e poiché il budjet rimasto era abbastanza basso si è optato per il quartetto d’archi. Quindi era l’esigenza del momento la ragione principale, sebbene alla fine questi brani in qualche modo caldi e calmi contrastino bene con quelli più vasti e seri.

E.F.: In Dias no prelude lei ha usato uno stile prettamente bacchiano. C’è una ragione speciale per cui ha voluto usare uno stile così antico?
K.S.: Dias è ritratto come una persona fredda. Piuttosto che scrivere qualcosa di melodico pensavo quindi di usare una successione di arpeggi che avrebbe funzionato meglio. Il fatto poi che il regista amava le Suite per violoncello di Bach ha costituito un elemento determinante per questo.

E.F.: Per il brano Kozeriai, Oosawagi ha scelto una musica molto ironica con alcune reminiscenze dalla musica del cinema muto. E’ stata una scelta intenzionale? Si è ispirato proprio a quel periodo?
K.S.: Nella maggior parte dei casi ho seguito lo schema drammatico collegato con l’immagine, impiegando anche le tecniche di Shostakovich e Yasushi Akutagawa. Comunque ho visto molti film di Chaplin quindi potrebbe essere che mi abbiano influenzato un po’.

E.F.: La canzone Hiru no hoshi è una sorta di dolce lullaby molto importante all’interno della storia. La melodia è originale o ha voluto usare una canzone per bambini preesistente?
K.S.: "Hiru no Hoshi" non è stato scritto da me ma da Satoru Kosaki. Credo che sia una sua canzone originale.

E.F.: Ci può dire qualcosa della sua attività compositiva al di fuori del mondo dell’animazione?
K.S.: Quest’anno è stato premiato un mio brano per orchestra di fiati “Five Combination" ed anche il mio brano Prelude for Ground Reviving è stato pubblicato.

E.F.: Ha nuovi progetti per il future a proposito di un possibile anime, film o Drama?
K.S.: Sfortunatamente non ho ricevuto ancora un nuovo progetto. Come progetto da me creato personalmente mi piacerebbe trasformare alcuni anime in opera. "Higurashi no naku koro ni" è stato una produzione personale del 2010 come "Dojin".

Edmondo Filippini


Furoshiki: cento usi di un quadrato di stoffa

Volantino ufficiale distribuito dal Ministero per l’Ambiente nel 2006

 

L’arte giapponese di avvolgere contenere, trasportare oggetti di ogni forma: un’alternativa elegante ed ecologica per preparare originali pacchi dono.

La sensibilità verso l’ambiente cresce e tornano in voga materiali e abitudini antiche, di cui si riscopre la modernità. Dal Giappone si fa strada anche in Europa, tra le altre cose, l’interesse per il FUROSHIKI, l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa.

Il furoshiki non è altro che un quadrato di stoffa; piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.

È un oggetto che dimostra la raffinatezza e il gusto estetico così sviluppati della cultura giapponese. Scegliere e annodare un furoshiki è diventata un’arte che si tramanda di generazione in generazione.

Non basta un pezzo di stoffa qualsiasi, è importante scegliere il colore, il disegno e il tessuto secondo l’occasione. Un regalo, ad esempio,  richiede un furoshiki di seta, magari decorato con motivi tradizionali.

Dalle dimensioni della tela al disegno che lo impreziosisce, dalla tipologia del tessuto fino alle sfumature del suo colore, ogni dettaglio risponde a un preciso significato: la scelta del furoshiki, insomma, non si può improvvisare.

Originariamente utilizzato come fagotto per trasportare gli abiti puliti al bagno pubblico, esistono traccie storiche dell’esistenza del furoshiki già a partire dal periodo Muromachi (1392-1573) quando i cortigiani erano soliti portarlo con sé al grande edificio termale costruito dal Generale Yoshimitsu Ashikaga. Noto con il termine di hirazutsumi, questo antenato del furoshiki serviva a contenere il cambio di abiti da indossare dopo il bagno.

È nel periodo Edo (1683-1868) però che diffondendosi ormai anche tra i semplici cittadini l’abitudine di frequentare i bagni pubblici, il fagotto per i vestiti  assume il nome di furoshiki, combinando appunto la parola furo (bagno) e una forma del verbo shiku che significa stendere. Il grande fazzoletto conserva anche nelle epoche successive la sua funzione principale ma lentamente le sue dimensioni cambiano, adeguandosi alle misure di qualunque oggetto si voglia donare o trasportare in modo pratico. Una curiosa abitudine era anche quella di tenere un furoshiki allestito con articoli di prima necessità sotto al futon, per essere pronti ad una rapida fuga in caso di incendio o terremoto.

Le dimensioni  di questo quadrato di stoffa variano dai 50 cm fino a più di due metri, per riporre i futon invernali durante l’estate.

Di solito l’oggetto da avvolgere viene posto al centro del furoshiki, diagonalmente. Se ha una forma allungata, la stoffa che avanza ai lati viene piegata per bene attorno ad esso, prima da una parte e poi dall’altra nella direzione opposta.

C’è una legatura per trasportare bottiglie, una per i libri, gli oggetti tondi come l’anguria, la spesa giornaliera, un regalo e mille altre cose. Il furoshiki  può essere di cotone, di seta, di tessuto sintetico. Multicolore o in tinta unita, double face, dipinto a mano, stampato con le fantasie inesauribili della tradizione nipponica. Cucito a mano o a macchina, a buon mercato o costosissimo data la varietà dei tessuti.

Il revival del furoshiki ha anche una dimensione ufficiale, è stato infatti promosso dal Ministro per l’Ambiente giapponese, che ne ha suggerito l’uso quotidiano come alternativa ecologica all’utilizzo delle borse di plastica. L’iniziativa è stata denominata “Mottainai Furoshiki”.

L’espressione “mottainai” significa “non sprecare”; si tratta di un termine ripreso da buddihsmo che fa riferimento all’essenza delle cose: tutte le cose  hanno un anima, sono lo spirito (kami) del materiale di cui sono state create; gettarle o sprecarle vuol dire non rispettare la loro anima. Dopo lo sfrenato consumismo dell’epoca moderna, la campagna pubblicitaria della Ministra Yuriko Noike rientra nell’obiettivo di aumentare la consapevolezza contro gli sprechi e promuovere il riciclaggio, rifiutando nei negozi le confezioni in eccesso, riducendo gli sprechi dell’imballaggio con un oggetto riutilizzabile.

Avvicinarsi alla filosofia del furoshiki, inoltre, non è solo un vantaggio per l’impatto ambientale ma significa anche ritrovare la bellezza nei gesti  semplici e quotidiani con fantasia e creatività.

Così il furoshiki non è soltanto un pratico accessorio eco friendly, ma può diventare un’alternativa elegante e originale anche alle classiche borse di pelle.

La Libreria Azalai di Milano propone già da un anno serate-laboratorio dedicate a imparare le principali piegature e legature del furoshiki secondo la tecnica tradizionale giapponese.

Iscrizioni e informazioni presso:

Libreria Azalai, Via G.G. Mora, 15, 20121 Milano, tel. 02 58101310

I metodi base di avvolgere gli oggetti con il furoshiki sono tre:

Hirazutsumi (avvolgere) è il modo più elegante, indicato per fare pacchetti-regalo;

Hitotsumusubi (con un nodo);

Futatsumusubi (con 2 nodi).

questi metodi base prevedono numerose variazioni

Otsukaizutsumi , per oggetti quadrati.

Binzutsumi , per le bottiglie.

Makizutsumi , per oggetti cilindrici, come rotoli.

Honzutsumi , per libri.

Suikazutsumi , per avvolgere oggetti tondeggianti, come le angurie.

 


Vestire con arte o arte del vestire?

 

Un itinerario storico, sociale e culturale attraverso il mondo del kimono, per capire e approfondire alcuni aspetti della civiltà giapponese, attraverso uno dei suoi simboli più emblematici. L’abbigliamento, in genere, costituisce un’interessante questione culturale e benché la sua funzione primaria sia quella di ricoprire il corpo, ciò che è più importante è che definisce la nostra persona e rappresenta uno dei più ricchi aspetti della cultura materiale. Il kimono racchiude in sé molte informazioni riguardanti la struttura sociale, la mentalità e la sensibilità estetica del Giappone.

Susanna Marino

 

La Professoressa Susanna Marino terrà domani sabato 1 dicembre alle ore 21.00 nella Sala Conferenze del Palazzo delle Paure a Lecco una conferenza dal titolo: "Un viaggio virtuale nel mondo del Kimono".


I ritmi dello Zen Shiatsu

 

Il ritmi biologici caratterizzano e scandiscono i nostri tempi durante la giornata e durante lo ore del riposo. Se le nostre energie sono globalmente equilibrate, i nostri ritmi si snoderanno in maniera armonica durante l’arco delle 24 e si adatteranno anche ai movimenti più lenti o veloci che la vita ci richiedere di variare in base agli accadimenti.

Anche nel trattamento zen shiatsu l’aspetto del ritmo è fondamentale. Mantenerlo nel trattamento ricalca l’espressione primaria dei ritmi vitali.

Ogni meridiano esprime la sua pulsazione, il suo scorrere energetico, mostrandosi nella sua natura del momento.

E’ opportuno sintonizzarsi in maniera appropriata sul meridiano, rispondendo  all’ascolto con opportune pressioni, in maniera duttile e flessibile,  adattandosi al ritmo che sentirà sotto le mani. Ogni pressione  portata sarà quindi variabile e adattata in base alle risonanze energetiche.

Ecco perché durante il trattamento, pur essendo in una condizione globalmente rilassante, saranno avvertite pressioni  che varieranno nella modalità d’ingresso e di uscita, nella profondità o superficialità del contatto.

Bilanciare l’energia nel corpo, segue il principio giapponese Ho –Sha, rinforzare il Kyo (vuoto) e disperdere il Jitsu (pieno).

Non basta sapersi destreggiare con le tecniche, è importante l’atteggiamento del riequilibrio che deve esserci non per quello che faccio, ma attraverso quello che faccio! Con questo atteggiamento si promuoverà l’aspetto della resilienza del ricevente: disponibilità al cambiamento per auto correggersi, per ritrovare in maniera naturale la capacità di bilanciare le forze nel proprio corpo.

In giapponese il concetto corrispondente è Kibun-o-kaete, la cui traduzione è “cambiare il ki” inteso come cambiamento di atteggiamento o “dirigere il Ki” inteso come cambiare attenzione.

Attraverso l’espressione delle mani, che  è l’espressione dell’energia del cuore, aiuteremo il ricevente a spostare l’attenzione dalla preoccupazione verso una direzione nuova, verso nuovi spazi, aiutandolo ad abbandonare vecchie preoccupazioni, trasformandole in nuove, sane e fresche energie da spendere nel vivere.

Joshin Galani

KAILA

 


Tsuji You, dove l'anima classica incontra l'immagine

Photo by Eiji Kikuchi

Compositore tra i più apprezzati dalla critica cinematografica e sicuramente tra i più amati dal pubblico giapponese, oggi Tsuji You è sicuramente una delle figure di riferimento nel panorama della composizione sia per il cinema che per l’animazione, nonostante i lavori per quest’ultima produzione, si limitino ad alcuni esempi tra i più musicalmente significativi della produzione Anime degli ultimi anni.

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Edmondo Filippini


Per non dimenticare: viaggio a Hiroshima e Nagasaki


I nomi di Hiroshima e Nagasaki riportano alla mente uno dei capitoli più cruenti della storia mondiale e di solito sono delle mete ambite non tanto per il puro gusto del turismo, ma piuttosto per un senso di dovere intellettuale.

Due città accomunate da un unico destino, però ben distinte nel loro modo di vivere e di presentarsi agli stranieri: Nagasaki è una piccola perla del Kyūshū dove si avverte la forte presenza degli europei, tantoché lungo le strade dei portici non sembra neanche di trovarsi in Giappone. A Hiroshima, invece, sembra che il tempo si sia fermato a quella mattina del 1945 e, né un limpido cielo azzurro né la presenza di giovani scolari alla ricerca di gaijin ai quali poter rivolgere delle domande in inglese contribuiscono a dare alla città un’immagine serena. Il ricordo di quel 6 agosto è tuttora vivo e fortemente impresso in ogni angolo del Memoriale della Pace: si percepisce nei coloratissimi origami a forma di gru, nella fiamma della pace accanto al cenotafio e nel museo alla vista dell’orologio le cui lancette segnano 8:15 (l’ora in cui è stata lanciata la bomba). Il silenzio e la “tranquillità” di quel luogo sono tali da far perdere la concezione del tempo e pur volendo andare a esplorare più a fondo la città ci si rende conto che non vi è più rimasto nulla da visitare: al di fuori del parco della pace Hiroshima sprofonda nella monotonia della normale vita quotidiana.

Nagasaki, al contrario, è come un labirinto di luoghi nascosti: dai piccoli dettagli architettonici europei al Sōfuku-ji (un tempio zen che spicca per la sua imponente entrata di colore rosso), dal profumo della kasutera, ovvero un delizioso dolce di pan di spagna, alle immense sculture del Parco della Pace. Nagasaki può essere visitata senza mappa, lasciandosi trasportare dalle piccole stradine che portano inaspettatamente ai luoghi più interessanti, i quali spesso non vengono neanche menzionati. E se per caso uno si dovesse perdere, ci si può sempre affidare alla gentilezza di un anziano che, vedendo tre straniere in difficoltà, non esita ad avvicinarsi con un enorme sorriso, dal quale emerge la gioia di poter condividere con delle gaijin delle informazioni sulla sua cara città.

 

Giulia Bianco


Il Maestro Shizuto Masunaga

 

Nasce nel Giugno del 1925 a Kurè.

Nel 1930 la famiglia Masunaga lascia la provincia di Hiroshima per trasferirsi a Tokyo.

Nella formazione di Masunaga legata allo shiatsu, hanno grande rilievo i genitori, che intrattenevano rapporti con i Maestri  Shiatsu dell’epoca; in particolar modo la madre, shiatsuka, con la quale Masunaga acquisisce tecniche nei diversi corsi di shiatsu.

Si laurea nel 1949 in psicologia, presso la Facoltà di lettere di Tokyo. Segue il suo percorso professionale di shiatsu, proseguendo negli studi dei testi antichi.

Studia con il Maestro Namikoshi e nel 1959 entra come insegnante nella facoltà di Psicologia Clinica alla scuola Shiatsu di Namikoshi, ruolo che ricoprirà per una decina d’anni.

Continua la sua incessante ricerca, con un lavoro su testi ma fondamentalmente con un lavoro sulla percezione; la sua sensibilità non comune lo porterà a dare una direzione netta alla sua ricerca, portando un forte spirito di cambiamento a quello che era stato lo shiatsu sino a quel momento.

Nel 1960 fonda associazione Iokai.

Nel 1965 pubblica “Zen Shiatsu”, successivamente “Zen per immagini”.

Nel 1968 si stacca da Namikoshi e fonda l’istituto Iokai Shiatsu Kenkiusho, portando l’insegnamento non solo nella sua sede ma oltre i confini del Giappone: Europa, Stati Uniti, Canada, Corea, Hawai, Hong Kong.

Nel 1980 viene eletto Consigliere alla Società Giapponese di medicina Orientale.

Nel 1981 muore all’età di 57 anni.

Nel 2007 viene pubblicato, postumo “Manuale di Sesshin”.

In base alle caratteristiche fondamentali del lavoro di Masunaga, credo che si possa parlare dello suo shiatsu come “arricchimento” “evoluzione e “rivoluzione” .

- Masunaga diede allo shiatsu una connotazione fortemente legata alle tradizioni orientali, da un punto di vista culturale, filosofico, in particolar modo alla tradizione Zen. Contribuì, con elementi di psicologia moderna, a rendere il suo shiatsu, unico ed originale, trovando relazioni tra il sistema dei meridiani e gli aspetti mentali. Masunaga, proponeva, come nella tradizione del modello giapponese, la considerazione dell’individuo nella sua interezza, superando la visione dell’essere unicamente in relazione al suo disturbo o alla sua malattia ma in relazione alla sua totalità di struttura energetica, fisica, psichica, legata al movimento del ki.

- Non mancò di considerare anche l’elemento spirituale dell’operatore, la sua crescita e trasformazione; vivere lo zen shiatsu come percorso di una via, mettendo attenzione all’atteggiamento mentale, il modo di porsi, favorendo un processo di cambiamento interiore. Coltivare se stessi, mettersi nella disposizione del “vuoto” per entrare in contatto profondo con l’energia del ricevente. “Lo Zen si propone fondamentalmente il raggiungimento dell’illuminazione totale attraverso la scoperta del proprio Sé. … la comprensione può essere raggiunta attraverso la meditazione, però indipendentemente dal pensiero. La stessa cosa vale per lo shiatsu. Inizia con la pressione digitale, però è difficile spiegare perché la pressione del punto curi la malattia. Sia nello Zen che nello shiatsu abbiamo a che fare con fenomeni che non possono essere spiegati razionalmente, ma dei quali l’organismo vivo si rende conto in modo diretto”. “Lo shiatsu può rappresentare un mezzo per stabilire rapporti umani migliori, che sono essenziali per la buona salute”

-  il “sistema dei meridiani” (ossia l’estensione dei canali energetici) segnalato nella sua mappa dei meridiani, pubblicata nel 1970, (con versione definitiva nel 1977) all’epoca suscitò non poche perplessità perché i  meridiani di riferimento fin ad allora erano quelli degli agopuntori; Masunaga estende ogni percorso del singolo meridiano su tutto il corpo: “Ho riscontrato la presenza di 12 meridiani negli arti inferiori e altrettanti negli arti superiori. Il trattamento di questi meridiani ha fornito risultati migliori di quelli registrati in passato”

Joshin Galani

 

 

 

 

 

 


Dal Manga all'Anime trasformazione e movimento

Durarara!!

 

La maggior parte di coloro non abituati al mondo dell'animazione hanno solitamente in mente un punto di riferimento da cui partire nel momento in cui visionano un prodotto dell’animazione, il manga. Opinione diffusa è infatti che ad ogni anime corrisponde più o meno un manga, quindi una versione cartacea da cui partire da cui poi attraverso un processo produttivo legato alla logica del successo si arriva alla serie animata. In linea di massima la deduzione è corretta ma non tiene in debito conto le decine di varianti cui la produzione giapponese è legata e come ogni regola standard che si rispetti il numero di eccezioni sorpassa di gran lunga la sua applicazione, soprattutto nell'ultimo decennio che ha visto fiorire commercialmente nuovi media legati al mondo non solo del videogame, di cui saranno spiegate in seguito le diverse tipologie legate all'animazione, ma anche letteratura, Light Novel (che come vedremo di letteratura non si tratta), film, gadjet e molto altro ancora. Il tutto coinvolto in un processo di continua trasformazione di un'opera in un'altra e che in Giappone permette la fruizione di un singolo titolo nei più diversi media.

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Articolo di Edmondo Filippini


Kawai Kenji, la ricerca di una nuova via musicale tra passato e futuro

Kawai Kenji rappresenta nella cultura giapponese ed in particolare nel mondo dell’animazione, un nome quasi leggendario per le numerose partiture prodotte in oltre venti anni di carriera ma soprattutto per i grandi titoli cinematografici che l’hanno visto coinvolto. Compositore la cui carriera compositiva sin dalle origini è sotto il segno della poliedricità e dell’insofferenza alle regole prestabilite, dopo solo alcuni mesi alla Shobi College of Music di Tokyo infatti decide di staccarsi dal mondo accademico ufficiale per intraprendere una carriera di chitarrista fondando una sua band ancora oggi attiva AGG. Il suo primo lavoro per l’animazione risale al 1986 in collaborazione con i registi Kazuo Yamazaki e Takashi Annō per la stesura della colonna sonora della nota serie in 96 episodi, Maison Ikkoku, diventata serie di culto in quasi tutto il mondo. Lo stile però non è ancora perfettamente definito e sarà soprattutto dall’incontro con il regista Mamoru Oshii per il film “Gli Occhiali Rossi” [Akai Megane], con cui stabilirà un sodalizio stretto, che gli permetterà di esprimersi al meglio dando inizio ad una ricerca che sempre maggiormente farà emergere uno stile riconoscibile ed autonomo. La collaborazione proseguirà anche con la serie Mobile Police Patlabor sempre diretta da Oshii. Gli anni ’80 lo vedono anche coinvolto in alcune serie di successo come Ranma ½ e gli OVA di Davilman, serie animata tratta dal manga di Go Nagai.

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Articolo, Intervista e Traduzione

Edmondo Filippini

Sabato prossimo, sempre a cura del Dott. Edmondo Filippini, pubblicheremo l'articolo: "Dal Manga all'Anime: trasformazione e movimento"