Conosci i nostri soci: Chiara Lorenzetti e il restauro kintsugi
Chiara Lorenzetti e il restauro kintsugi
Un’intervista in vista della prossima diretta Instagram di Giappone in Italia

Nella cornice di una nuova rubrica dedicata a conoscere meglio i soci convenzionati dell’Associazione Giappone in Italia, incontriamo Chiara Lorenzetti, restauratrice da oltre trent’anni e riconosciuta dal 2007 Eccellenza Artigiana dalla Regione Piemonte. Nel suo laboratorio Chiaraarte, fondato a Biella nel 1991, si occupa di restauro conservativo ed estetico di ceramiche e oggetti lignei policromi e dorati, con una particolare attenzione al restauro tradizionale giapponese kintsugi.
Cos’è il kintsugi? Nelle parole di Chiara:
Kintsugi 金継ぎ – kin 金: oro, tsugi 継ぎ: riparare – è una tecnica artistica ideata alla fine del 1400 da ceramisti giapponesi per riparare tazze tenmoku in ceramica per la cerimonia del tè, Cha no yu. Le linee di rottura, unite con lacca urushi, sono lasciate visibili, evidenziate con polvere d’oro. Gli oggetti in ceramica riparati con l’arte Kintsugi diventano vere opere d’arte: l’impreziosire con la polvere d’oro ne accentua la loro bellezza, rendendo la fragilità un punto di forza e perfezione.
L’arte Kintsugi vede la sua origine in Giappone nel periodo Muromachi, sotto lo shogunato di Ashikaga Yoshimasa (1435-1490). Yoshimasa ruppe una delle sue chawan per la cerimonia del tè, e i maestri ceramisti giapponesi cercarono di mettervi riparo usando l’estetica del wabi sabi e i materiali a loro disposizione: lacca urushi per incollare e oro per coprire le rotture. Il risultato ottenuto fu apprezzato da Yoshimasa; la sua tazza non solo era stata riparata ma aveva preso una vita nuova, carica delle sue imperfezioni e proprio per questo ricca di bellezza: era diventata unica.
La tecnica è complessa: abbisogna di elevata manualità e precisione, nonché di calma e pazienza. I materiali usati sono lacca urushi, estratta dalla pianta Rhus Verniciflua, farina, argilla e polvere d’oro puro. Il processo di polimerizzazione della lacca avviene nel muro, un ambiente caldo (20°) con umidità relativa intorno al 70 – 90%.
L’arte kintsugi non è solo un concetto artistico ma ha profonde radici nella filosofia Zen; partendo dal wabi sabi, tre sono i concetti in essa racchiusi: mushin, mujō e mono no aware. Mushin, “senza mente”, è un concetto che esprime la capacità di lasciar correre, dimenticando le preoccupazioni e liberando la mente dalla ricerca della perfezione. Mujō si traduce con “impermanenza”; l’esistenza, senza eccezioni, è transitoria, evanescente, incostante e tutte le cose sono destinate alla fine. Accettare tale condizione è avere un approccio sereno e consapevole della vita. Mono no aware, “empatia verso gli oggetti”, è una malinconia triste e profonda per le cose; apprezzandone la loro decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza.
In previsione di una diretta Instagram sul canale ufficiale dell’Associazione, in data giovedì 3 luglio alle ore 12:00, dedicata ad approfondire le diverse tecniche del kintsugi – non solo oro, ma anche argento, lacche urushi, yobitsugi, raden e maki – Chiara si racconta ai nostri lettori in questa intervista, condividendo il suo percorso professionale e umano e offrendo uno sguardo lucido e appassionato su un’arte che in Italia è ancora poco conosciuta o compresa.
Al telefono, Chiara è estremamente gentile e disponibile, e dalla sua voce traspare non solo una grande passione per la propria attività e per la cultura a tutto tondo, ma anche il desiderio di fare chiarezza sul significato autentico del kintsugi, una tecnica di restauro artigianale, creativa e complessa. Proprio di questo ci parlerà più nel dettaglio in occasione della diretta, durante la quale ci sarà spazio anche per una sessione Q&A: invitiamo quindi lettrici e lettori a preparare eventuali domande, riflessioni e curiosità da rivolgere a Chiara durante l’incontro.
Chi è Chiaraarte e di cosa si occupa oggi?
Chiaraarte è il mio laboratorio d’arte e restauro, nato nel 1991 a Biella con l’intento di essere un punto di riferimento per il restauro di bambole antiche.
Ora, a distanza di più di trent’anni, mi occupo di restauro ceramiche, sia con restauri estetici, conservativi che kintsugi; eseguo restauro di oggetti in legno policromi e dorati, con dorature a guazzo.
Mi occupo di restauro kintsugi dal 2015: dai miei studi è nato il libro “Kintsugi, l’arte di riparare con l’oro” che, oltre ad essere un manuale tecnico, esplora la cultura e la storia giapponese del periodo Higashiyama bunka.
Nel corso dell’anno conduco corsi di kintsugi tradizionale e contemporaneo, team building aziendali, conferenze; ultimamente ho creato nuovi corsi di restauro ceramiche.
È questo un modo nuovo di intendere il restauro che mi appaga e mi spinge ad approfondire le mie conoscenze.
Nel suo sito racconta di essere cresciuta circondata dall’arte, all’interno del negozio d’antiquariato del padre, e di aver poi frequentato l’Istituto per l’Arte e il Restauro “Palazzo Spinelli” a Firenze. Come è nata, da questo percorso, la sua passione per la cultura Higashiyama ed in particolare per il kintsugi?
L’inizio è stato abbastanza casuale: nel 2015 un’amica pubblicò sulla mia pagina Facebook l’immagine di una tazza restaurata con l’oro. Approfondii, nonostante la difficoltà nel reperire informazioni all’epoca, e decisi – vista la mia natura di restauratrice – di approcciarmi alla tradizione, con materiali e strumenti giapponesi. Curiosamente, però, attratta principalmente dalla bellezza della tecnica, tralasciai la cultura e l’arte giapponese, concentrandomi più sui passaggi (all’epoca davvero difficili e sperimentali) che sul contesto culturale.
Solo nel 2018, dopo essere stata ospite in Giappone di TvTokyo, aver conosciuto e lavorato con il mio maestro Hiroki Kiyokawa e aver potuto raccogliere personalmente la lacca urushi a Daigo, nella prefettura di Ibaraki, mi sono sentita parte di un tutto più grande e armonioso, che non era più solo tecnica, ma Arte.
L’incontro con il Giappone è stata la svolta nel mio modo di lavorare al restauro, con un approccio più poetico, profondo, quasi meditativo: la ceramica non è un numero ma ogni volta una storia a sé, personale, intima e creativa.
In che modo l’arte del kintsugi si declina oggi nel contesto italiano, e in particolare nella sua produzione artistica?
Se parliamo strettamente di restauro, l’arte kintsugi è vista con diffidenza: in Italia noi professionisti del settore seguiamo le linee guida della Teoria del Restauro di Brandi, che presuppone che il restauro non danneggi in alcun modo l’opera, sia reversibile e poco invasivo sulla leggibilità dell’opera stessa, tutte caratteristiche che non si trovano nel restauro kintsugi. In Italia il kintsugi è visto più come la realizzazione di una nuova opera d’arte che per quello che realmente è: una tecnica, creativa, di restauro. Ecco, la parola creativa e la parola restauro in Italia non vanno assolutamente d’accordo!
Come detto prima, oltre al restauro mi occupo quindi anche di formazione e divulgazione nella speranza che i due mondi possano incontrarsi nel rispetto reciproco.
Il mio approccio all’arte kintsugi è un approccio legato, ove possibile, alla tradizione, con l’utilizzo di materiali e strumenti tradizionali giapponesi. Non nego di aver fatto fatica anch’io, all’inizio, ad accettare questa visione creativa, ma ultimamente mi sto aprendo a tecniche sempre tradizionali, che però offrono una visione più ampia rispetto al solo utilizzo dell’oro: argento, lacche urushi colorate, yobitsugi, raden, maki.
Insomma, anche le restauratrici hanno un’anima estrosa!

In occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020 ha collaborato con atleti come Gabriele Detti, Bebe Vio e Vanessa Ferrari. Ritiene che questa esperienza possa rappresentare un esempio di come un’arte apparentemente “alta” e radicata nella cultura giapponese riesca invece a veicolare messaggi universali e contemporanei?
Certamente. In questi anni ho collaborato con psicologi, psichiatri, counselor, coach; ho partecipato a team building aziendali, a eventi presso ospedali nei reparti oncologici, presso strutture di accoglienza per disabili, per donne vittime di abusi, giovani con disturbi della personalità; sono stata ospite di programmi televisivi su Report, Rai2, RSI1 Svizzera.
L’oro nelle crepe non è solo oro che impreziosisce una ceramica e la rende adatta a usi alimentari ma assume un altissimo valore simbolico di valorizzazione della fragilità, della capacità di superare le difficoltà, del condividere e mostrare la fatica, il dolore e la rinascita. Io, mentre restauro, sento spesso questa forza così potente e cerco, nei miei gesti lenti, di interpretarne la cura.
Se potesse sfatare un luogo comune particolarmente diffuso sul kintsugi, così come viene percepito in Italia, quale sceglierebbe e perché?
In Italia, come nel resto del mondo (e sì, anche in Giappone!) si è diffusa, a fronte della difficoltà nell’apprendere l’arte kintsugi tradizionale, dei suoi tempi lunghi e del costo dei materiali, una versione moderna, contemporanea, immediata, semplificata, e con utilizzo di materiali non naturali. Questa versione non è univoca, ma molteplice per materiali e modalità di esecuzione.
È da intendersi kintsugi o no? La mia opinione è che lo sia, che sia un’evoluzione, e che sia così per ogni forma d’arte: senza innovazione saremmo fermi ai tempi della pietra.
E quindi a cosa dobbiamo fare attenzione? A capire se è stata usata la tecnica tradizionale o no. Spetta a chi pratica quest’arte essere onesto nella descrizione dei materiali usati e dei passaggi effettuati.
Ma soprattutto dobbiamo essere attenti a cogliere la bellezza della perfezione dell’oro, la semplicità delle linee, la preziosità delle mani sapienti degli artigiani.
Perché kintsugi insegna il rispetto e la forza, potente e sommessa, del silenzio. E non è, ahimè, una linea d’oro buttata in malo modo su una ceramica solo per marketing.
Ringraziamo ancora Chiara Lorenzetti per aver condiviso con noi il suo percorso.
Vi aspettiamo numerosi giovedì 3 luglio alla diretta Instagram e vi invitiamo a scoprire di più sul suo lavoro attraverso i suoi contatti ufficiali:
CHIARAARTE DI CHIARA LORENZETTI
RESTAURI D’ARTE DAL 1991
Indirizzo: Via Novellino 16, 13900 Biella
E-mail: info@chiaraarte.it
Sito web: www.chiaraarte.it ┃ kintsugi.chiaraarte.it