Il Giappone che non ti aspetti: alla scoperta delle sue spiagge 

Se si chiedesse a un campione eterogeneo di persone cosa venga loro istintivamente in mente pensando al Giappone, le risposte più comuni sarebbero probabilmente “i ciliegi in fiore”, “i giardini zen”, “il Monte Fuji” o “i grattacieli e le luci al neon di Tōkyō”.

Eppure, il Giappone è un arcipelago bagnato dall’Oceano Pacifico, e le isole della prefettura di Okinawa offrono spiagge di sabbia bianca che possono tranquillamente competere con quelle di Honolulu. 

Scopriamo dunque insieme uno degli aspetti meno conosciuti – ma non per questo meno affascinanti – di questo Paese: il suo meraviglioso mare.

Umi biraki

Pur trattandosi di un paese dalle dimensioni relativamente contenute, il Giappone sorprende per un’incredibile varietà regionale. Esteso in lunghezza per circa 3000 chilometri e composto da ben 430 isole abitate, offre paesaggi naturali estremamente diversi. 

La stagione balneare riflette questa varietà: l’apertura ufficiale delle spiagge, chiamata Umi biraki (letteralmente “apertura del mare”), varia radicalmente a seconda delle località. A inaugurare la stagione sono le isole dell’arcipelago di Ogasawara, nel mezzo del Pacifico: qui, sulle isole Chichijima e Hahajima, è possibile fare il primo tuffo dell’anno già dal 1° gennaio, grazie al clima tropicale e a temperature che si aggirano intorno ai 20° anche in pieno inverno. All’estremo opposto troviamo lo Hokkaidō, prefettura settentrionale poco distante dalla Russia, dal clima rigido, dove le spiagge aprono solo verso la fine di luglio.

Molto più accessibile dall’isola principale dello Honshū – dove si trovano i grandi centri urbani come Tōkyō, Ōsaka e Kyōto – è la prefettura di Okinawa: una vera e propria perla tropicale amata dai turisti locali e internazionali, dove è possibile nuotare in acque cristalline da marzo a novembre.

La giornata dell’Umi biraki non rappresenta però soltanto l’apertura ufficiale degli stabilimenti: soprattutto nel sud del Giappone, infatti, viene celebrata con cerimonie shintō in cui si pregano gli spiriti del mare affinché garantiscano la sicurezza dei bagnanti. In alcune spiagge, in particolare quelle frequentate da famiglie, è ancora oggi possibile assistere alla tradizionale benedizione delle acque: sacerdoti shintō, vestiti di bianco, lanciano ramoscelli di sakaki (albero considerato sacro) tra le onde, accompagnati da canti rituali.

Il mare occupa da sempre un posto centrale nell’immaginario giapponese e le divinità marittime sono numerose nel pantheon shintō. Secondo i miti della creazione, la prima isola del Giappone, Onogoroshima, nacque quando le divinità Izanami e Izanagi – rispettive incarnazioni dell’energia femminile e maschile – agitarono una lancia ornata di gemme nel mare. Le gocce d’acqua salata che ne caddero si solidificarono, dando origine alla terra.

Questa centralità del mare si riflette anche nella storia del Paese: già le antiche popolazioni Jōmon (10.000 – 300 a.C.) costruivano imbarcazioni in legno per la pesca, facendo del mare una fondamentale risorsa alimentare. Nei secoli successivi, le vie marittime furono cruciali per lo scambio culturale, come testimonia l’arrivo in età antica – attraverso la penisola coreana – delle tecniche di risicoltura e delle nozioni sul sofisticato sistema burocratico cinese.

Ma il mare, nel pensiero giapponese, è anche spazio spirituale e simbolico, legato al viaggio e alla purificazione. Non a caso, il kanji 海 (umi, “mare”) compare in moltissimi toponimi, proverbi e componimenti poetici. Persino uno dei più celebri monaci buddhisti, calligrafi e letterati giapponesi, Kūkai, scelse questo carattere come parte del proprio nome: 空海 unisce i kanji di “vuoto/cielo” e “mare”, a simboleggiare l’immensità del mondo naturale e l’ideale di liberazione della mente tipico del buddhismo tantrico. Kūkai è ricordato per aver fondato la scuola Shingon e per aver visitato gli ottantotto templi che oggi costituiscono il celebre pellegrinaggio dello Shikoku.

Spuntini e giochi sulla spiaggia 

Nonostante il mare sia una meta molto amata dai giapponesi, prendere il sole sul bagnasciuga non rientra tra le attività più apprezzate. Contrariamente a quanto accade in Italia, dove l’abbronzatura è spesso ricercata, è molto comune per le donne giapponesi portare un ombrello parasole, e la protezione solare viene applicata anche d’inverno. Proprio per questo motivo, lungo le coste giapponesi sorgono le umi no ie (“case marittime”), strutture temporanee in legno allestite durante l’estate presso gli stabilimenti balneari.

Queste casupole offrono punti di ristoro e terrazze coperte dove rifugiarsi dai raggi ultravioletti, gustare una fetta di anguria fresca, acquistare bevande rinfrescanti o dolci tipici estivi come il kakigōri, dessert simile alla granita a base di scaglie di ghiaccio, sciroppo e latte condensato o evaporato. 

Questo dolce, all’apparenza semplice, affonda le sue radici nella raffinata tradizione culinaria del periodo Heian (794–1185), quando veniva preparato per i membri della corte imperiale, utilizzando blocchi di ghiaccio conservati con cura nelle zone montuose appena fuori Kyōto. Un’elegante testimonianza di questa usanza si trova nel celebre Makura no Sōshi (Note del Guanciale, inizio XI sec.), scritto dalla cortigiana e dama di compagnia Sei Shōnagon. Nella sezione dedicata alle “cose eleganti”, l’autrice menziona precisamente “ghiaccio tritato mescolato con sciroppo di liana, servito in una nuova ciotola d’argento”.

Durante l’epoca Meiji (1868 – 1912), il kakigōri iniziò a diventare più accessibile, seppur riservato inizialmente ai ceti benestanti. Ciò fu reso possibile soprattutto grazie a un intraprendente mercante, Kahei Nakagawa, che ebbe l’idea di produrlo usando ghiaccio proveniente direttamente dallo Hokkaidō.  La diffusione del dolce in questo periodo è testimoniata anche all’interno dell’immaginario artistico. Nel film Sayuri (Memorie di una Geisha, 2005), una celebre scena mostra la protagonista bambina mentre assaggia un kakigōri offertole da un elegante direttore generale. Dopo essersi tinta le labbra con lo sciroppo rosso, incrocia lo sguardo di una geisha adulta che indossa un rossetto del medesimo colore e, in una sorta di epifania, prende la decisione di diventarne una. 

Oggi, il kakigōri è uno degli spuntini prediletti dalla maggior parte dei giapponesi durante il periodo estivo, immancabile nei pressi di qualsiasi spiaggia; talvolta, viene consumato a fine pasto per rinfrescare il palato dopo una corroborante grigliata estiva. 

Nelle umi no ie, infatti, non è raro trovare anche spazi attrezzati per organizzare un barbecue in compagnia, ideale per recuperare le energie dopo una partita di badminton o pallavolo sulla spiaggia, gli sport di squadra più popolari in questa stagione.

Il gioco estivo giapponese per eccellenza è però senza dubbio il suika wari, (“spaccatura dell’anguria”). Si tratta di una sorta di pignatta in cui i partecipanti, bendati e armati di bastone, devono cercare di colpire e spaccare a metà un’anguria sistemata davanti a loro, dopo aver girato su sé stessi per tre volte. Gli amici si sfidano tentando a turno l’impresa, finché il vincitore non riesce ad aprire il frutto così da poterlo finalmente gustare in compagnia.

Il successo di questo passatempo è stato tale che, nel 1991, fu fondata la JSWA (Japan Suika-Wari Association), un’associazione che si occupava di regolamentare ufficialmente il gioco. Istituita dalla Cooperativa Agricola del Giappone (JA) con l’obiettivo di incentivare il consumo di angurie, la JSWA ora non esiste più, ma aveva raggiunto un livello di serietà sorprendente: tra le regole imposte, vi era ad esempio una distanza regolamentare tra i 5 e i 7 metri tra il giocatore e il frutto, l’uso di bastoni di legno specifici, e persino la presenza di giudici ufficiali incaricati di valutare la precisione del colpo e l’equità della divisione dell’anguria.

Le spiagge giapponesi 

Abbiamo dunque compreso che le spiagge giapponesi sono ben diverse da quelle italiane, dove spesso si trovano persone intente a prendere il sole, bambini urlanti che schizzano i passanti e – ahimè – una considerevole quantità di mozziconi di sigaretta gettati nella sabbia.

Ma a cosa assomigliano, allora, le spiagge del Giappone?

In generale, si tratta di ambienti ordinati, puliti e ben organizzati, in linea con l’attenzione al decoro e alla collettività tipica della cultura nipponica. La maggior parte delle spiagge, anche quelle non attrezzate, dispone di servizi come bagni, spogliatoi e docce. In molti casi è possibile noleggiare asciugamani, ciabatte, e altri accessori utili. In presenza di docce chiuse, vengono spesso forniti shampoo, balsamo e bagnoschiuma e vi è persino la possibilità di utilizzare piastre e asciugacapelli

Di garantire la sicurezza dei bagnanti si occupano i bagnini, presenti anche nelle spiagge meno affollate o non attrezzate. Non mancano poi vari stand di street food, souvenir e articoli per la spiaggia come palloni, cappelli (alcuni addirittura dotati di visiere anti-UV), infradito, costumi da bagno e soprattutto protezione solare rigorosamente SPF 50+. 

Una delle particolarità più curiose è la presenza di aree fumatori delimitate, persino sulla sabbia. Spazi recintati in legno o corda – sobri e ben integrati nell’ambiente – segnalano i pochi luoghi in cui è consentito fumare, a dimostrazione dell’attenzione giapponese per il rispetto degli spazi comuni.

Ma le spiagge giapponesi non sono visitate solo dai bagnanti. Anche durante le stagioni più fresche, diventano luoghi di ritrovo per studenti e gruppi di amici, che vi si recano per fare picnic, scattare fotografie o semplicemente rilassarsi. In estate, al calar del sole, è facile imbattersi in piccoli gruppi che si raccolgono per accendere un senkō hanabi, un fuoco d’artificio portatile che, bruciando lentamente come uno stick d’incenso, accompagna i desideri e i sogni di migliaia di ragazzi pieni di speranze. 

Basti pensare al celebre tropo della “giornata al mare”, immancabile nei manga o anime per ragazzi: un episodio nel quale i protagonisti, tra una battaglia e l’altra o dopo una tediosa sessione di esami, si concedono una pausa rigenerante sulla spiaggia.

In queste scene – diventate ormai un classico narrativo – il Mar del Giappone fa da sfondo a giochi acquatici, gare di suika wari, falò serali e fuochi d’artificio. Un rituale di spensieratezza e amicizia che restituisce tutta la dolcezza e l’intimità dell’estate giapponese, facendo leva su ricordi condivisi da lettori e spettatori di ogni età.

Sofia Dagradi, studentessa