Le vacanze dei reali: ville imperiali nella natura giapponese

Lontano dal fragore delle capitali e dal caldo torrido dell’estate, esistono in Giappone luoghi dove il tempo sembra rallentare. Sono le residenze di villeggiatura della famiglia imperiale: ville eleganti, immerse nella natura, sorte tra l’Ottocento e il Novecento. Si tratta di un patrimonio spesso poco conosciuto, ma ancora oggi capace di raccontare una storia unica tra estetica e potere.

Queste residenze estive non nacquero, infatti, come semplici luoghi di svago, ma come spazi pensati anche per la rappresentanza diplomatica, la cura della salute e la contemplazione estetica.

Alcune di queste dimore, come la villa imperiale di Tamozawa a Nikkō, coniugano l’eleganza architettonica giapponese con influssi occidentali, a testimonianza di un periodo di modernizzazione culturale. Altre, come la villa di Hayama, si affacciano sul mare e offrono rifugi silenziosi per l’imperatore e la sua famiglia. Persino il paesaggio naturale – il bosco, il giardino, la risaia – diventa parte integrante dell’esperienza residenziale, secondo una concezione estetica radicata nel pensiero aristocratico giapponese.

Ancora oggi, alcune di queste ville continuano ad accogliere la famiglia imperiale, mentre altre sono diventate musei o parchi aperti al pubblico. Visitandole, si entra in contatto con un’idea dell’estate fatta di distacco simbolico dal mondo quotidiano, di equilibrio tra potere e contemplazione. Una forma di villeggiatura che, al di là del privilegio, racconta un modo profondamente giapponese di abitare la natura e il tempo.

Residenze immerse nella natura 

Tra i verdi monti di Nikkō, avvolta dal silenzio dei cedri e dalla fresca brezza delle alture, si cela una delle più affascinanti testimonianze della villeggiatura imperiale giapponese: la Villa Imperiale di Tamozawa. Costruita nel 1899 per offrire un rifugio estivo al Principe Ereditario Yoshihito, futuro imperatore Taishō (1912 – 1926), questa residenza rappresentò anche una delle prime espressioni materiali del nuovo stile di vita imperiale, capace di coniugare rappresentanza, benessere e contemplazione.

La villa sorse su fondamenta storiche: alcune sue sezioni risalivano al periodo Edo e furono trasferite da precedenti palazzi imperiali, creando così un complesso che univa armoniosamente stili architettonici di epoche diverse. Il risultato fu una dimora in legno di oltre cento stanze, tra le più grandi dell’intero Giappone, in cui si alternavano lunghi corridoi, fusuma (pareti scorrevoli tradizionali giapponesi) decorate con motivi naturalistici e sale da ricevimento dedicate ad accogliere anche funzionari occidentali, arricchite da elementi moderni come tavoli da biliardo e impianti di illuminazione elettrica.

Ma la funzione di Tamozawa non fu solo stagionale. L’imperatore Hirohito (Shōwa, 1926 – 1989) vi si rifugiò durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale: ancora oggi, è possibile individuare nel giardino i rifugi antiaerei scavati nel terreno. Dopo un periodo di abbandono, la villa è stata restaurata e riaperta nel 2000 come museo, permettendo a chi la visita di immergersi nei ritmi e nei rituali dell’aristocrazia imperiale.

Altra località prediletta fu Hakone, celebre per i suoi panorami montani e le sue sorgenti termali. Qui, sulle sponde del Lago Ashinoko, fu costruita nel 1886 la Villa Imperiale di Hakone (Hakone Rikyū), destinata a ospitare l’imperatore Meiji e la sua corte durante i mesi più caldi. A differenza di Tamozawa, Hakone aveva una funzione ancora più sanitaria: l’altitudine, l’aria fresca e le celebri acque termali della zona offrivano condizioni ideali per una villeggiatura salubre e rigenerante. 

Ancor più di altre residenze, inoltre, Hakone fu un importante teatro della diplomazia imperiale: il promontorio naturale su cui si ergeva offriva una vista spettacolare sul lago e, nelle giornate più terse, sull’inconfondibile profilo del Monte Fuji, cornice ideale per ricevere ospiti stranieri. Tra le sue sale vennero accolti regnanti europei e ministri provenienti da tutto il mondo, dall’Austria al Siam. L’edificio originale fondeva sapientemente architettura giapponese e suggestioni occidentali, offrendo agli ospiti un ambiente che fosse al contempo tradizionale e aperto al moderno.

Purtroppo, il complesso fu quasi completamente distrutto dal Grande Terremoto del Kantō del 1923 e successivamente danneggiato dal sisma del Kita-Izu nel 1930. Tuttavia, lo spirito del luogo non andò perduto: nel 1946 l’area fu donata alla prefettura di Kanagawa, che trasformò il sito in uno spazio pubblico. Così nacque il Parco Onshi-Hakone, un giardino paesaggistico che oggi conserva l’essenza della residenza originaria: tra i vialetti curati e le terrazze panoramiche, il visitatore può ancora intuire il gusto estetico dell’aristocrazia Meiji.

Geografia politica

Nel Giappone moderno, la villeggiatura imperiale non fu mai un atto neutro o semplicemente privato. La scelta di ritirarsi stagionalmente in luoghi come Nikkō, Hakone o Nasu rispondeva a una precisa logica politica, simbolica e territoriale per cui il sovrano, incarnazione vivente dello Stato secondo la Costituzione Meiji, non si limitava a “fuggire” dall’afa estiva della capitale, ma tracciava con i suoi spostamenti una vera e propria geografia del potere. Ogni residenza stagionale diveniva un polo di influenza, un’estensione del centro imperiale verso le periferie, spesso scelte per la loro bellezza naturale, la salubrità dell’aria e il legame col pensiero shintō.

Allontanarsi da Tōkyō per stabilirsi temporaneamente in aree più remote significava, da un lato, riaffermare la continuità tra corte imperiale e territorio nazionale, in una visione capillare del potere; dall’altro, offriva occasioni strategiche per esercitare soft power attraverso l’ospitalità internazionale, il sostegno alla scienza e la promozione turistica. Molte delle ville estive, infatti, erano progettate per accogliere dignitari stranieri, artisti e scienziati, come nel caso della Hakone Rikyū, dove lo stile giapponese si incrociava con elementi occidentali, o della villa di Nikkō, visitata da membri della nobiltà europea. Questi spazi ibridi non solo esprimevano il dialogo tra tradizione e modernizzazione, ma si facevano palcoscenico del prestigio imperiale.

Nel contempo, la presenza della famiglia imperiale in queste località comportava benefici tangibili per le comunità circostanti: le infrastrutture e i servizi venivano migliorati, seppur nel rispetto della conservazione del paesaggio naturale. 

La villeggiatura imperiale, quindi, non era solo un momento di riposo, ma anche un gesto di legittimazione territoriale, un atto di rappresentanza internazionale, uno strumento di influenza culturale e un veicolo della visione ecologica del potere. Persino in vacanza, l’imperatore non smetteva mai di esercitare il proprio potere e, soprattutto, di adempiere ai propri doveri.

Continuità e uso nel tempo

La tradizione della villeggiatura imperiale giapponese ha saputo attraversare le epoche adattandosi al mutare della società e della sensibilità dei sovrani. La Villa Imperiale di Nasu, edificata nel 1926 su un terreno appartenente alla famiglia imperiale fin dal 1890, incarna perfettamente questa continuità. Fu l’allora principe ereditario Hirohito (futuro imperatore Shōwa) a scegliere personalmente il luogo, colpito dalla vista sui monti durante una visita nel 1923. Qui, pochi anni dopo, iniziò la sua consuetudine estiva, culminata simbolicamente nella sua prima ascesa al monte Chausu, vetta più alta della prefettura.

Fino ai giorni nostri, Nasu è rimasta una residenza estiva privata per gli imperatori, ma il suo ruolo non è stato solo simbolico o ricreativo. La villa ha contribuito infatti a plasmare l’identità del luogo, trasformandolo in una delle mete estive più apprezzate del paese, con milioni di visitatori ogni anno. Nel 2008, grazie a una decisione dell’imperatore Akihito, circa metà della vasta tenuta fu aperta al pubblico e integrata nel Parco Nazionale di Nikkō, con un gesto che ha unito il rispetto della tradizione alla valorizzazione del bene collettivo.

Particolarmente interessante è la vocazione scientifica e naturalistica che ha accompagnato la frequentazione della villa: lo stesso Hirohito si dedicò per decenni allo studio dei protisti e delle piante locali, pubblicando quattro volumi sulla flora di Nasu e lasciando in eredità una collezione di oltre 60.000 esemplari ora conservata presso il Museo Nazionale di Scienze Naturali di Tōkyō. Suo figlio Akihito ha proseguito questa linea di ricerca con studi sulla classificazione dei pesci della famiglia dei gobidi, mentre l’attuale imperatore Naruhito, appassionato di escursionismo, è oggi impegnato attivamente nelle politiche di conservazione delle acque.

Così, quella che era nata come una fuga estiva dal caldo cittadino si è trasformata nel tempo in un crocevia di cultura, scienza e paesaggio, testimoniando il profondo legame tra la famiglia imperiale e la natura giapponese.

Sofia Dagradi, studentessa