Antiquariato giapponese

Itomaki tachi koshirae

Montatura per tachi

Metà del periodo Edo (1615 - 1867)

XVIII secolo

Lunghezza totale: 99 cm.

Origami:
Questo koshirae è stato giudicato hozon tosogu dalla NBTHK nel maggio 2008.

Montature di questo stile, in lacca nashiji decorata con kamon in maki-e e fornimenti in shakudo bordati di ottone dorato, sono le più tradizionali e raffinate. Sebbene i primi esemplari risalgono al periodo Muromachi (1336-1573), la produzione di itomaki koshirae rimase pressoché  invariata fino alla fine del periodo Edo e oltre.Leggere di più


Giardini giapponesi: l'arte di migliorare la natura (1)

Introduzione

I giardini giapponesi sono frequentemente apprezzati perché incarnano l’atteggiamento di armonia e rispetto verso la natura, riflesso nel loro aspetto informale e “naturale”. Ad esempio, un commentatore trova nei giardini giapponesi “un atteggiamento di umiltà e di profondo rispetto per i materiali”, mentre un altro vede in essi “la partnership dell’uomo con la natura”. Queste osservazioni sono fatte in raffronto ai giardini formali occidentali, che sono caratterizzati da una rigida simmetria, motivi geometrici e ordine rigoroso. Il design risultante nei giardini formali occidentali rivela chiaramente l’opera dell’uomo, interpretata comunemente come l’atteggiamento del dominio umano sulla natura, in contrasto con i giardini giapponesi.

Sotto un certo punto di vista, questo presunto contrasto fra i giardini giapponesi e i giardini formali occidentali può essere fuorviante. L’apparenza cosiddetta naturale dei giardini giapponesi non significa che poca attività umana sia coinvolta nella loro produzione o manutenzione. Non importa quanto “naturali” possano apparire i giardini giapponesi, sono comunque i prodotti dell’artificio umano, che risulta dalla modifica estensiva e dalla manipolazione della natura. Semplicemente in virtù del fatto di essere giardini invece che tratti di natura incontaminata, sia i giardini giapponesi che i giardini formali occidentali condividono lo stesso obiettivo: rappresentare un’immagine ideale della natura, migliorandola da come esiste nel suo stato intatto. Sono creati per comunicare la natura nella sua forma ideale, qualcosa che la natura non riesce a realizzare da sola. A tale riguardo, la differenza negli stili dei giardini è relativamente insignificante perché un qualsiasi giardino, secondo un commentatore, “rimane una dichiarazione di potenza” nella misura in cui la sua arte consiste nel ridisporre e riformare gli oggetti naturali per conseguire un fine desiderato.Leggere di più


L’aikidō: conclusioni

Uno degli aspetti che permettono di assimilare l’aikidō a una pratica religiosa, si può individuare analizzando il rapporto fra l’allievo e il maestro. Per l’allievo è fondamentale la costante presenza del maestro che viene considerato come il depositario e dispensatore di una conoscenza; a lui è dovuta una completa obbedienza e sottomissione. Queste sono le condizioni da rispettare per progredire lungo la strada segnata in primis dal fondatore.

Nella pratica del budō. il periodo di apprendistato è dedicato principalmente all’acquisizione della tecnica, solo quando questa e già perfezionata, nei primi gradi dan si inizia a parlare di via: l’allievo comincia a sperimentare direttamente l’esistenza di un insegnamento di vita che trascende il livello fisico atletico. Il faticoso e lungo cammino ha portato il maestro ad essere molto di più che un semplice tecnico: egli sa che la tecnica e solo un veicolo per comprendere la vera essenza dell’aiki e i discepoli per compiere il medesimo percorso devono abbandonarsi a lui.Leggere di più


Il Chado nel mondo reale

Amo entrare nella stanza del tè, vedere il kakemono e i fiori e annusare l’incenso. La stanza del tè è un luogo sicuro in cui le regole dell’etichetta garantisce che tutti sappiano quello che accadrà e come comportarsi. Siamo tra persone che condividono gli ideali del wa, kei, sei e jaku. Questo è il mondo del tè.

E tuttavia, c’è questa dualità. La mia vita nel tè, o la mia vita quando non pratico il tè. Qual è il mondo reale? Talvolta sembra che la stanza del tè sia più reale del resto della mia vita quando mi preoccupo dei conti, dei conflitti sul lavoro, della mia famiglia, dello shopping e di molte altre cose. Nella stanza del tè, mi preoccupo soltanto di preparare un buon tè, mi preoccupo dei miei ospiti e di fare del mio meglio.

Per molti anni, ho dovuto guidare attraverso la città dopo il lavoro per frequentare la classe del tè. Nel bel mezzo del traffico più odioso ero sulla circonvallazione e guidavo verso la casa della mia sensei. Talvolta mi ci volevano più di due ore per arrivarci e io avevo il terrore di fare quel viaggio. Quando arrivavo a lezione, ero in ritardo, frustrata e distratta. Una sera notai, tornando a casa, che tutte le volte che andavo a una lezione sul tè, ero molto felice sulla via del ritorno. Il più delle volte, il traffico era molto leggero, ma talvolta era altrettanto pesante dell’andata. Non importava, ero felice di guidare verso casa.Leggere di più


Aikidō: le caratteristiche della pratica

L’aikidō si pratica su un tatami, indossando il keikogi, la classica divisa di cotone bianco usata per il jū, ma sono accettate anche le divise da karate e da kung fu, purché bianche. Ad eccezione dei bambini, per i quali solitamente si tengono apposite lezioni, i corsi sono aperti a tutti indipendentemente dal sesso o dall’età poiché l’aikidō si prefigge di essere una disciplina praticabile da chiunque. Ai principianti vengono in primo luogo insegnate le tecniche di caduta (in avanti e all’indietro), gli spostamenti e le tecniche di base. Le lezioni iniziano in ginocchio, seduti sui talloni, con un breve momento di concentrazione, seguito dal rituale saluto a un’immagine del Fondatore dell’aikidō e all’insegnante, e continuano con esercizi di respirazione profonda e di concentrazione (kokyū soren, controllo dell’energia totale attraverso il metodo della respirazione). Preparati così mentalmente e spiritualmente, si eseguono velocemente alcuni esercizi di riscaldamento, di allungamento muscolare e le cadute. L’apprendimento avviene principalmente per imitazione.

Come nella realtà non esiste una sola possibilità di attacco, così nell’aikidō (a differenza per esempio dal jū) non esistono prese prestabilire al keikogi dei praticanti poiché l’allenamento mira ad abituare mente e corpo a neutralizzare diversi tipi di aggressione (una presa al polso o alla giacca, un pugno allo stomaco, un colpo alla testa, un tentativo di immobilizzazione da tergo, ecc.).Leggere di più


Aikidō: aspetti rituali

La pratica dell’aikidō è fatta di gesti e comportamenti ben codificati. Non esiste l’improvvisazione. Non ci sono professioni di fede o credo da recitare, conoscere i testi non viene richiesto per salire di grado. Tuttavia ci sono delle regole da seguire.

Durante la pratica bisogna stare in silenzio, attenti e rispettosi degli altri. In più ci sono precisi rituali da osservare salendo e scendendo dal tatami, all’inizio e alla fine della lezione. Questo inchino rituale segna una chiara demarcazione tra lo spazio di pratica e quello esterno. Così come il saluto rituale all’inizio e alla fine della lezione,

l’inchino al kamidana del dōjō. Anche gli esercizi preliminari di riscaldamento diventano rituale. Gli speciali esercizi chiamati aiki taisō sono stati mutuati dalla tradizione shintō e sono tradizionali pratiche esoteriche. Per poter osservare le componenti religiose di alcuni comportamenti rituali coinvolti nell’aikidō, saremo guidati dal sistema di osservazione delle azioni rituali descritte nel testo Rethinking Religion di Lawson e McCauley.Leggere di più


Il cucù estivo

natsu no yo no

fusu ka to sureba

hototoguisu

naku hitokoe ni

akuru shinonome

In una notte d’estate,

non appena mi ero distesa

ecco che appare la prima luce

pallida dell’alba – annunciata

da un’unica canzone del cucù.

L’hototogisu è un tipo di cucù giapponese (Cuculus poliocephalus). Il canto dell’hototogisu segnala tradizionalmente l’arrivo dell’estate. In alcuni racconti, il grido funereo di un hototogisu in un bosco solitario era associato al desiderio degli spiriti dei morti di ritornare dai propri amati ancora in vita. L’hototogisu è stato a lungo un tema popolare nella letteratura e nella poesia giapponesi, apparendo sia ne Il racconto di Genji che ne Il libro del cuscino, e comprendendo praticamente un intero genere di haiku dedicati all’hototogisu. È una parola comoda che contiene 5 sillabe e quando si aggiunge yama (montagna), ne comprende 7.Leggere di più


L’arte inizia dai preparativi

A mio parere la bellezza e la profondità insite nell’arte dello Shodō 書道risiedono nel fatto che questa disciplina non si limita a soddisfare delle necessità puramente estetiche, ma essa intinge la propria essenza nelle pratiche di ricerca di sé, della rivelazione di Verità.

L’atto di scrivere non è un’azione fine a se stessa, ma una pratica ricca di significati, che deve permettere a chi si presta di raggiungere uno stato mentale di profondo raccoglimento.

Per questo motivo la preparazione dei materiali, la disposizione dell’occorrente devono essere eseguite dall’artista stesso, in quanto momento fondamentale, durante il quale la mente, il corpo e gli utensili stessi stabiliscono tra di loro un primo contatto. Il maestro stende il mōsen 毛氈, un panno di lana che funge da piano d’appoggio, sopra il quale vengono stesi i fogli di carta. Tutt’intorno vengono poi distribuiti i materiali necessari: pennelli, inchiostri, acqua, tamponi, ecc.Leggere di più


Arte e Natura: l'Occidente incontra l'Oriente

Gli artisti Kenjiro Azuma e Fernando Leal-Audirac dialogano sulle proprie esperienze personali e artistiche a cavallo tra Oriente e Occidente con lo sguardo volto verso la possibile costruzione di un nuovo pensiero artistico – e quindi etico ed estetico – che unisca i due orizzonti culturali alla luce del nuovo millennio.

Vedi il video.

Giuseppe De Francesco

www.drapht.it


Antiquariato giapponese

Farfalle e peonie

Tomizo Saratani

(1949 - )

Pannello in lacca, 31,5 x 40,5 cm

Takamaki-e con inserti in oro e madreperla (raden).

Firma: Tomizo

Tomizo Saratani è originario di Kyoto e fin da giovanissimo si è dedicato allo studio della lacca tradizionale giapponese (urushi). Dopo aver studiato sotto diversi maestri, nel 1975 si è trasferito a Vienna, dove ha lavorato per otto anni come istruttore e restauratore presso il MAK, il Museo Austriaco per le Arti Applicate, per i mobili laccati delle collezioni viennesi. Negli anni seguenti Tomizo ha continuato l’attività di restauratore tra Londra, Chicago e la sua residenza in Hokkaido ed è solo dal 2003 che ha deciso di dedicarsi completamente ai suoi lavori originali.

Il pannello è realizzato con numerose tecniche di laccatura. Il disegno principale è eseguito in bassorilievo di lacca (takamaki-e) e gli inserti sono in oro, fiocchi d'oro e madreperla (raden), con uso di lacca rossa per la farfalla di destra.

I soggetti che Tomizo preferisce sono gli animali di piccole dimensioni, che egli riesce a riprodurre con un realismo straordinario.

Giuseppe Piva

www.giuseppepiva.com