Artista e donna: tre ritratti dal Giappone

In occasione della Festa della Donna, vi presentiamo tre artiste giapponesi che hanno profondamente influenzato la cultura del Sol Levante, lasciando tracce influenti rispettivamente nella letteratura, nel cinema e nell’arte: Murasaki Shikibu, Setsuko Hara e Yayoi Kusama.

Iniziamo il nostro viaggio in pieno Heianjidai, periodo di massimo splendore della corte. La lingua nobiliare è ancora il cinese, ma le prime forme di giapponese scritto stanno prendendo forza framite le opere femminili, basate su un alfabeto di scrittura sillabico, i kana.

Discendente di una famiglia di lunga tradizione letteraria, Murasaki Shikibu (pseudonimo di corte composto da Murasaki, nome di uno dei suoi personaggi, e Shikibu in riferimento al ruolo del padre, shikibu-shō) nasce alla fine del 10 secolo. Riceve fin da piccola una formazione non convenziale, grazie alla quale apprende il cinese, lingua riservata agli uomini, e le arti tradizionali.

Si sposò piuttosto tardi per il tempo e rimase fino ai suoi trent’anni inoltrati in casa del padre: gli sposi vivevano infatti in case separate al tempo e il marito si recava a fare visita in quella sede. Non è dato sapere se iniziò a scrivere il Genji Monogatari in quel periodo o subito dopo la morte del marito, avvenuta pochi anni dopo; è accertato invece che si trasferì presso la corte nei tardi trent’anni, come dama di compagnia dell’Imperatrice Shōshi.
Il Genji Monogatari è considerato il capolavoro della letteratura giapponese tradizionale.

Nelle 1100 pagine e 54 capitoli del monogatari sono tratteggiati le abitudini e lo stile di vita della corte del tempo, permeati da estrema raffinatezza ed eleganza. Il valore della narrazione risiede nel delicato tratteggio delle personalità e nell’incredibile capacità d’espressione dell’atmosfera del tempo.

Cambiamo completamente ambito e periodo: Masae Aida, meglio nota come Setsuko Hara, nasce nel Giugno 1920. Oggi di lei si sono perse le tracce ma mantiene suo status di simbolo del cinema giapponese degli anni ’50.

Attiva dal 1935 al 1963, ha recitato sotto registi del calibro di Mikio Naruse, Akira Kurosawa e Yasujiro Ozu. I suoi ruoli sono stati molteplici e rappresentativi della propria epoca: dall’eroina pronta a sacrificare sè stessa del periodo pre bellico, si è trasformata nel perfetto modello di donna giapponese durante i film della Seonda guerra mondiale.

Nel secondo dopoguerra ha rappresentato il modello della nuova donna giapponese, positiva e ottimista nei confronti del futuro, ma anche ruoli profondamente legati ai valori tradizionali, impesonando l’artechipo femminile devoto al padre, o al marito.
Nelle sue collaborazioni con Ozu emerge un’altra Setsuko, desiderosa di esprimere se stessa nonostante i dettami sociali.

Filo conduttore delle sue interpretazioni è l’incredibile capacità espressiva e l’abilità con cui ha interpretato il conflitto interiore fra le aspirazioni personali e gli obblighi imposti dalla società. Piccola curiosità: Ozu e Kogo Noda hanno spesso attribuito al personaggio interpretato dalla Hara il nome di “Noriko”, quasi a sottolineare una continuità fra le varie performance.

Nel 1963, anno della morte di Ozu, Setsuko si ritira a vita privata a Kamakura e da allora rifiuta i contatti con i media. E’ stata fortemente criticata per non aver fornito spiegazioni per la sua scelta: la dichiarazione è stata improvvisa, comunicata nel suo stile tipico, con molte esitazioni e un sorriso finale.
In Giappone è tutt’ora definita “Eterna Vergine”

Un’altra figura controversa del ‘900 giapponese è sicuramente Yayoi Kusama. Arte pop, minimalismo e femminismo sono solo alcuni dei filoni che vedono in lei una valida rappresentante, riconosciuta da personalità come Andy Warhol. Colori psichedelici e pattern ripetitivi caratterizzono la sua variegata produzione e sono tuttora riconoscibili nelle sue opere

Nata a Matsumoto nel 1929, ha studiato arte a Tokyo; i canoni della pittura Nihonga erano troppo restrittivi per lei, così negli anni ’50 si dedicò alle avanguardie americane. Iniziò a dipingere supefici, muri, oggetti e assistenti con pattern ripetitvi, adottando per la prima volta i pois che diventeranno il suo tratto distintivo.

Nel 1957 si trasferisce negli Stati Uniti, dove ha modo di entrare direttamente nel panorama degli artisti contemporanei. Lì aderì al movimento hippie e alle proteste contro la guerra in Vietnam, organizzando happening caratterizzati da nudità in luoghi pubblici simbolici.
Una delle sue opere più conosciute è il Narcissus Garden, esposto alla Biennale di Venezia nel 1966, composto da centinaia di sfere specchianti esposte all’esterno in un ‘tappeto cinetico”. Kusama stessa aprì un banchetto al di fuori della Triennale, dove iniziò a vedere le sfere una ad una, fino a quando non intervenirono gli organizzatori.

Dopo anni di attiva partecipazione al mondo artistico americano, nel 1973 Kusama ritornò in Giappone. Dal 1977 continua la sua produzione all’interno di un ospedale psichiatrico, in cui si è internata volontariamente, dove affianca la scrittura alle arti figurative.