Kyōgen, l’antica farsa giapponese – scuole, teorie e addestramenti

Secondo articolo di approfondimento sul mondo del kyōgen, l’antica farsa giapponese. Dopo aver dato dei cenni storici di quest’antica arte performativa, questa volta analizzerò le scuole di questa arte tradizionale, le teorie di recitazione e le tecniche di addestramento.

Il processo di formazione del kyōgen come lo conosciamo oggi, era quasi completo verso la fine del periodo Muromachi (1392-1573), tuttavia raggiunse una struttura immobile e stabile durante il regime Tokugawa (1600-1867), con la standardizzazione dei testi.
Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo si formarono le tre principali scuole di kyōgen: Ōkura 大蔵, Sagi 鷺 (ora scomparsa) e Izumi和泉. Originate da attori collegati al sarugaku e al dengaku della provincia di Omi 臣, spesso in competizione tra loro, furono portatrici di un professionismo attento e  consolidarono la loro posizione di preminenza per un lungo periodo.
Durante il regime Tokugawa, il kyōgen raggiunse una condizione di stabilità, passando dalla pratica dell’improvvisazione su un canovaccio, ancora in uso nella prima decade del periodo Tokugawa, all’abitudine di servirsi di un testo fissato. Dopo di ciò, invalse pure l’abitudine di seguire una coreografia fissa di movimenti e di schemi di azioni. Tuttavia c’era più flessibilità del , per la natura più realistica del dialogo e per la necessità, tra la feroce competizione delle scuole, di mantenere un fresco ed originale senso dell’umorismo.
Satira sociale e humour controllato traspaiono nei rapporti dei personaggi che popolano il kyōgen, di cui l’astuto servo Tarō-kaja 太郎冠者 e il suo goffo signore feudale ne sono esempi, e dalle teorie sul kyōgen di Ōkura Toraaki大蔵虎明 (1597-1662) si evince un importante contributo per la comprensione dell’essenza del comico. Nella sua guida Waranbegusa 童子草(Note per i giovani), il libro più importante sulle teorie del kyōgen, datato al 1651, ma corretto e rivisto fino alla sua morte, Ōkura stabilì le regole della tradizione ortodossa, accettando i parametri di Zeami e riconoscendo il monomane物真似 , l’imitazione, come elemento principale del kyōgen.
Il monomane, nel caso specifico del kyōgen, era concentrato sull’uomo comune, sul mondo concreto, mantenendo sempre e comunque l’atmosfera solenne e raffinata creata dalle rappresentazioni che precedevano e seguivano la performance kyōgen; quindi erano bandite risate volgari e grossolane e realismi privi di gusto che avrebbero potuto offendere il pubblico nobile e colto del nōgaku. Nella teoria di Ōkura il rende visibile e concreto ciò che è invisibile ed astratto, mentre il kyōgen rende irreale il più concreto e reale dei mondi. Si delinea così, agli occhi degli spettatori, l’uomo comune, stilizzato e proiettato in un mondo di fantasia: trasportando sciocchi signori feudali e servitori intelligenti in un’ ‘altra’ dimensione, si scopre l’autenticità sotto il velo della beffa, purché non sia rappresentata con grossolanità e superficialità.
KyōgenL’addestramento e l’estrema completa dedizione all’arte erano, e sono ancora oggi, fondamentali. La tradizione è trasmessa all’interno della famiglia, di generazione in generazione, rigorosamente fedele ai modelli 型 (kata), alla danza e ai movimenti peculiari di ogni scuola. Di padre in figlio o di nonno in nipote (come vedremo più avanti, esistono delle differenze anche per la trasmissione orale) vengono tramandati, senza mai scostarsi dalle antiche tradizioni di famiglia, modelli di eleganza controllata e stilizzata anche nelle imitazioni di ubriaconi, con minime o sostanziali differenze da scuola a scuola, ma comune a tutte è la regola di cancellare ogni traccia di oscenità e volgarità nella recitazione; per esempio, anche nel caso della rappresentazione dell’ubriacone, si  indossano costumi ordinati e puliti. Inoltre, è di massima importanza l’interpretazione di una pura pantomima quanto più possibile limpida e chiara, data la mancanza di qualsiasi materiale scenico. Ad esclusione di pochi attrezzi bizzarri – un coperchio straordinariamente largo per bere litri di sake immaginario, un ventaglio per innumerevoli scopi espressivi – tutti gli altri oggetti nelle rappresentazioni non esistono, devono essere immaginati dallo spettatore, quindi l’attore deve sforzarsi con tutto se stesso nel mimare più precisamente l’oggetto da rappresentare: sia esso mimato in modo stilizzato od inscenato con onomatopeiche recitate dall’attore, l’oggetto deve prendere vita nella mente del pubblico. L’originale pantomima del kyōgen è anche una delle peculiarità che rendono questa forma di teatro altamente interessante.
Un particolare ruolo riveste poi la mimica facciale. Dato il gran numero di emozioni umane inscenate nel kyōgen, gli attori devono esprimere, a volte anche in modo stilizzato ed eccessivo, tutta la gamma di sentimenti, non solo attraverso i movimenti del corpo, ma anche con espressioni del viso, senza mai perdere di vista il gusto e l’eleganza. Al contrario gli attori dei drammi , nel caso debbano recitare dei ruoli senza maschera, rappresentano le emozioni dei personaggi con movimenti stilizzati o con precisi schemi di danza, senza far mai trasparire alcun sentimento dalla mimica facciale mantenendo costantemente un’espressione seria.
Al kyōgenshi serve infine una grande abilità acrobatica nell’esecuzione di ruoli di animali, interpretati soprattutto da giovani attori, ma pur sempre di notevole difficoltà perché è richiesta agilità, destrezza e predisposizione all’imitazione.
Il nuovo progetto teatrale Italo Kyogen, mira alla divulgazione del kyōgen classico e alla creazione di un nuovo paradigma nel panorama teatrale italiano, fondendo le strutture classiche della farsa giapponese, con testi moderni in italiano creati ad hoc e successi moderni giapponesi in traduzione, per far vivere al pubblico italiano un’esperienza quanto più immersiva nel teatro comico giapponese tradizionale.