Il teatro Nō

Il Nō è un forma teatrale tradizionale giapponese, risalente al 14esimo secolo.

Primo codificatore del Nō fu Kannami Kiyotsugu (1333-1384) il quale, servendosi di testi preesistenti, vi introdusse canzoni e danze contemporanee. L’arte fu ulteriormente perfezionata da suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1443) che, a sua volta anche attore, pose l’accento sulla liricità delle canzoni, sulla potenza dei gesti e sulla precisa definizione dei personaggi, siano questi una donna graziosa o un inquietante fantasma. Ciò che lui identificò come la vera anima del Nō è lo yūgen, ovvero la sua attrattiva segreta (, attrattiva e Gen, invisibile): al pari di un fiore di stagione che sboccia portando stupore e gioia, egli credeva che gli attori Nō dovessero avere dentro di sé questo fiore (Hana) ed essere in grado di rendere bella persino la rappresentazione di un demone.  

Al momento di essere inscenato, il Nō segue un ordine giornaliero, detto Bangumi. Per primo troviamo uno Shugen (Nō dedicato agli Dei), ovvero uno spettacolo connesso a riti religiosi, come ringraziamento per aver protetto il Paese dai tempi remoti fino a quelli più recenti. Segue uno Shura, un dramma guerresco, rappresentante la pace che Dei e imperatori dettero per mezzo di archi e frecce. Lo Shura, al pari di un rito esorcistico, ha il compito di scacciare i demoni. Terzo viene il Kazura o Onna-mono, un dramma dedicato alle donne, proprio perché dopo la guerra, viene la pace: una pace che è anche calma misteriosa, nella quale si svolgono le imprese amorose. Quarto è l’Oni-Nō, il Nō degli spiriti, in quanto dopo la guerra c’è sì pace e gloria, ma queste sono in genere di breve durata: qui vengono mostrati i peccati e le lotte degli uomini, e vengono innalzati i cuori a Buddha, producendo quello stato d’animo chiamato Bodaishin. Il quinto dramma riguarda i doveri dell’uomo, ovvero Compassione, Giustizia, Gentilezza, Sapienza, e Fedeltà. Tra un Nō e l’altro troviamo inoltre una forma teatrale comica detta Kyogen, atta a smorzare la tensione. Per finire segue un altro Shugen, o scena congratulatoria, per invocare benedizioni sui presenti. Esso funge anche da monito dell’eterno ritorno del tutto.

In Giappone è sempre esistita una differenza tra il dramma serio e quello popolare. Il teatro Nō, col suo ordine di drammi consecutivi, ci propone una visione complessiva della vita. Al contrario del teatro occidentale, dove spesso ci troviamo di fronte a un problema specifico, nel Nō abbiamo una rappresentazione completa dell’esistenza umana.

Essendo inoltre una tradizione ininterrotta (tramandato per via ereditaria dalle sue figure principali, i Tayu), il Nō contiene in sé elementi caratteristici che sono assenti in altre tradizioni teatrali, quali rappresentazioni sacre e misteriche oltre che movimenti rituali. Alla base del Nō troviamo la danza religiosa e leggende locali di apparizioni di spiriti, oltre che che gesta eroiche e fatti storici. Esso è fusione di canto e recitazione.

Gli attori adoperano maschere per rappresentare gli spiriti, per gli dei e per le donne giovani.

Con l’era Tokugawa esso divenne lo spettacolo di corte degli Shōgun, e regole e restrizioni ne prevennero il mutamento nel tempo: prosa, linguaggio, canzoni, azioni, danze, strumenti, costumi e scenografie furono così mantenute.

Non è raro che in un’opera Nō si trovino solo due personaggi, il protagonista (Shite) e il suo supporto (Waki) il quale spesso, vestendo i panni di un viaggiatore, ha solo la funzione di permettere allo Shite di raccontare la sua storia. Generalmente, lo Shite esce di scena alla fine del primo atto per tornare, mostrando la sua vera identità (una divinità, una donna, un fantasma, un demone…) nel secondo atto.

Lo spettacolo Nō inizia con l’entrata in scena di musicisti e corali, i quali formano l’accompagnamento musicale (Hayashi) fatto di quattro strumenti: il flauto (Nō-Kan) e tre diversi tipi di tamburi.

Il palco è quadrato, aperto su tre lati e collegato da una passerella (Hashigakari). Un grande pino è dipinto sul pannello in fondo al palco. Esso, inamovibile, è simbolo di immutabilità. Ci sono inoltre tre veri pini, equidistanti tra loro, posizionati lungo l’Hashigakari, la cui diversa dimensione serve a dare l’idea della prospettiva. Questa disposizione floreale serve inoltre a ricordare i tempi in cui il Nō era inscenato all’aria aperta durante le cerimonia religiose.

Il Nō ha una trama semplice, i suoi testi sono composti da circa trecento battute, molto corti se paragonati alle mille e più battute delle tragedie greche. Il Nō predilige brevità e immediatezza: nelle sue rappresentazioni solo ciò che concerne il personaggio principale è mantenuto.

Nel Nō la natura ha un ruolo fondamentale. Sia infatti che la storia tratti di divinità, dell’ultimo istante di vita di un guerriero o di fantasmi, la rappresentazione si svolge all’esterno, circondata da elementi naturali. Le musiche trattano di altrettante tematiche naturali, come il lento cadere di petali su un fiume, il rintocco di una campana in un vecchio tempio di montagna, o il riflesso della luna sull’acqua di un pozzo. Inoltre, a determinate stagioni corrispondono altrettante opere Nō, per esempio l’opera Kamo, definito come Nō di giugno, è inscenato in estate, o precisamente nel mese di giugno.

Le azioni del Nō sono stilizzate e regolari: ogni situazione ha delle posizioni, posture, e gesti prescritti (kata) eseguiti dai personaggi. Il movimento di questi ultimi è intenzionalmente eseguito con lentezza.

Articolo di Marco Furio Mangani Camilli