Kabuki, la messa in scena della tradizione

Non avrei mai pensato che quattro ore e mezza di spettacolo teatrale potessero trascorrere così velocemente e piacevolmente… non potevo assolutamente lasciare il suolo nipponico senza aver visto una rappresentazione di kabuki, il teatro tradizionale giapponese.

Specificatamente lo spettacolo a cui mi riferisco si tenne al kabuki-za, un teatro kabuki costruito ispirandosi alle forme tradizionali dell’architettura giapponese che si inserisce con eleganza, ma anche una certa arroganza, tra i palazzoni luccicanti di Ginza a Tokyo.

Sorta come arte popolare il kabuki fonde assieme il dramma, la musica e la danza, integrandole tra loro con grande equilibrio, e si narra abbia avuto origine dalla danza eseguita a Kyoto verso il 1603 dalla sacerdotessa Okuni del tempio scintoista Izumo.

Coinvolgente e ricco di colpi di scena il tempo narrativo è articolato in tre storie differenti tratte dal repertorio del jidaigeki, ossia drammi di ambientazione storica che si avvalgono di costumi tradizionali colorati e sgargianti, e scenografie così verosimili da far talvolta dimenticare d’essere all’interno di un teatro; pitture di vario genere adornano il viso e accentuano le sfumature espressive degli attori che non occorre così si avvalgano di maschere, contrariamente all’altra forma di teatro giapponese tradizionale, il ; l’interpretazione è molto stilizzata così come i movimenti, estremamente enfatizzati; una caratteristica fondamentale consiste nel fatto che non sono ammesse donne come attrici, ma sono esclusivamente attori maschili  (onnagata)  ad interpretare ruoli femminili riproducendone in maniera impeccabile e molto naturale gestualità ed espressioni con la delicatezza che sarebbe propria di una donna ma anche con una certa ironia velata; nonostante inizialmente vi partecipassero anche le donne, la loro presenza fu in seguito proibita per motivi morali dal governo (lo shogunato o bakufu di periodo Edo) e il kabuki assunse la forma attuale.

Ma quello che rende davvero fresche queste rappresentazioni e che non fa sentire il peso di quattro effettive lunghe ore, è lo spettacolo intermedio improntato sulla comicità e ispirato all’antico bunraku (l’arte dei burattini) ma in questo caso messo in scena da attori. Ma ciò che mi stupì di più notare, e che inizialmente mi spiazzò, consiste nel fatto che durante la messa in scena persone del pubblico intervengono costantemente ed intenzionalmente, come da copione, per approvare gli atteggiamenti degli attori o esprimere il proprio stupore nei confronti delle dinamiche delle storie narrate, e questo per creare maggior coinvolgimento emotivo negli spettatori; forse al fine di contribuire al medesimo obiettivo, una pedana, posizionata perpendicolarmente al palco sul quale si svolge la scena, attraversa lo spazio riservato al pubblico per permettere l’ingresso e l’uscita degli attori.

Davvero un’esperienza per cui varrebbe la pena d’acquistare anche il biglietto più costoso per poter godere al meglio dello spettacolo!

 

 

Eleonora Bertin