Hisabetsu burakumin

burakuminIn Giappone vi è sempre stata storicamente la tendenza a ignorare realtà non reputate degne di far parte di quella che viene definita Yamato Minzoku 大和民族, ossia la “razza Yamato”, un’umanità che trae origine dall’ininterrotta discendenza della dea del sole Amaterasu Ōmikami, madre della sacra terra giapponese, da cui proviene la stessa famiglia imperiale.  Nonostante l’impegno e la dedizione con cui la leadership giapponese  ha sempre cercato di affermare l’unicità e omogeneità del proprio popolo, la diversità e la stratificazione sociale e culturale sembrerebbe essere una caratteristica imprescindibile anche di quest’umanità eletta.

Infatti a dispetto delle numerose teorie, a lungo sostenute e divulgate, sull’incorruttibilità dell’etnia e della razza giapponese (i cosiddetti nihonjinron日本人論), i quattro principali gruppi di minoranze sociali ed etniche, inconfutabilmente presenti in Giappone, ammontano nel complesso alla cifra di circa 5 milioni di persone, ben il 4% dell’intera popolazione giapponese.

Si tratta degli Ainu, la popolazione indigena del Nord, nello Hokkaido, etnicamente, culturalmente e fisicamente differenti rispetto alla maggioranza dei giapponesi (a cui, per maggior semplicità e chiarezza potremmo riferirci usando l’appellativo di ‘giapponesi standard’).

Poi altra importante minoranza è quella dei coreani, definiti come zainichi kankokujin 在日韓国人, ossia coreani residenti in Giappone, che a loro volta possono suddividersi in altri gruppi sub-culturali a seconda della provenienza, dei natali e della residenza, senza contare il gap generazionale e il livello di integrazione nella main stream giapponese.

Altra minoranza è costituita dagli stranieri, clandestini e non, lavoratori immigrati provenienti da paesi quali Cina, Brasile, Filippine, Perù e Tailandia.

 

Ma la minoranza che maggiormente nei secoli è stata oggetto di discriminazioni e che costituisce la più estesa minoranza presente in suolo giapponese è quella dei Burakumin部落民. A differenza degli altri gruppi minoritari questo gruppo di fuori casta desta ancor più perplessità in quanto i suoi membri condividono totalmente le origini etniche e razziali dei ‘giapponesi standard’.

Il termine BURAKU letteralmente significa ‘villaggio, paesino’ e l’origine della sua accezione negativa va fatta risalire all’epoca feudale (coincidente in Giappone col periodo Edo-Tokugawa) in cui venne istituita, proprio come in India, una suddivisione

della società per caste, quattro per la precisione (shinōkōshō 士農工商), dalla quale ad essere esclusi furono proprio i burakumin, all’epoca designati col termine etahinin 穢多非人, ossia non umanità piena di sporcizia. Questo perché, per il governo feudale Tokugawa che con l’istituzione delle caste voleva assicurarsi un maggior controllo dell’ordine sociale e il rispetto dei limiti stabiliti per ogni classe, una categoria come quella dei burakumin che si occupava di lavori umili e in qualche modo collegati alla morte come i conciatori di pelle, i becchini, i boia, che erano attività per giunta considerate estremamente impure dal credo buddhista e dal culto shintoista, non poteva che essere relegata ai margini sociali e per questo soggetta inevitabilmente a discriminazione e segregazione. In questa categoria non mancarono di rientrare ovviamente assassini e criminali di vario genere, ma anche mendicanti e addirittura attori itineranti finanche compagnie teatrali, condannati a vagare da un luogo all’altro, esclusi dal consorzio umano, senza il minimo riconoscimento di una dignità umana. Alcuni fuori casta erano anche chiamati kawaramono河原者  in quanto relegati a vivere ai margini di fiumi, sui quali raramente erano costruiti dei ponti a indicare a maggior ragione la loro condizione di emarginati.

Con l’apertura del paese all’occidente e alla modernizzazione di periodo Meiji (1868) il sistema delle caste fu ufficialmente abolito (1871), ma nell’immaginario comune i pregiudizi e la discriminazione non vennero estirpati e tutt’oggi, nonostante un decisivo miglioramento della situazione rispetto al passato, questo gruppo di ‘non persone’ è tacciato come diverso.

Infatti chi viene emarginato sono gli stessi discendenti di quest’antica casta, che portano sulle spalle il peso di un’identità tramandata per generazioni e la triste condizione di un’umanità negata.

Nel 1922 fu fondata dagli stessi burakumin la prima associazione nazionale per la liberazione dei Burakumin, la Suiheisha 水平者, la cui caratteristica fu quella della denuncia pubblica e della condanna di chiunque, individuo o gruppo, si macchiasse di atti o parole discriminatori nei confronti dei burakumin; ma durante il militarismo degli anni della seconda guerra mondiale fu abolita a causa del suo orientamento comunista. Nel dopo guerra fu ripristinata assumendo il nome dell’attuale lega per la liberazione dei Burakumin la Buraku Kaihō Dōmei 部落解放同盟.

Uno dei maggiori traguardi di questa associazione fu la “Legge sulle misure speciali per il progetto di assimilazione” che fornì un sostegno economico alle comunità discriminate. Altra importante organizzazione fu la zenkoku buraku kaihō undō rengōkai o zenkairen  全解連, istituita nel 1964, che nel recente 2004 cessò ogni attività sostenendo che “il problema  buraku è stato sostanzialmente risolto ”.

Ma si sa che effettivamente le discriminazioni verso questa porzione di umanità sono ancora lungi dall’essere completamente sradicate, soprattutto per quanto riguarda le generazioni più anziane, e in certe zone del Giappone sono ancora una realtà quotidiana. L’esistenza del termine tutt’ora comunemente usato, e politicamente corretto, di Hisabetsu burakumin 被差別部落民, ossia ‘comunità soggetta a discriminazione’, ne è una prova lampante.

La discriminazione ha ancora conseguenze per lo più in ambito lavorativo e  matrimoniale; infatti ad oggi un burakumin, seppur in possesso di titolo di studio universitario, rischia di perdere il lavoro se ne vengono scoperte le origini, e anche le unioni tra discendenti di burakumin e giapponesi ‘standard’ non sono viste di buon occhio, e pur se non impedite come accadeva in passato non passano senz’altro inosservate agli occhi dell’opinione pubblica. 

Addirittura la pratica discriminatoria in ambito matrimoniale portò, fino a qualche tempo fa, all’istituzione di agenzie di investigazione privata messe a disposizione di chiunque volesse indagare il passato e la discendenza di un possibile compagno/a, o di chi volesse informarsi sulle generalità di una persona ai fini della sua assunzione.

In particolare vi fu un grosso scandalo nel 1975, il cosiddetto incidente Tokushu Buraku Chimei Sōkan per cui si scoprì che in tutto il paese, mediante un sistema di vendita per corrispondenza, furono vendute migliaia di copie di un libro che riportava tutti i nomi dei discendenti dei Burakumin; pare che anche grandi aziende come  Toyota, Honda, Nissan e Daihatsu avessero usato il libro per decidere se assumere o meno un dipendente. La produzione e la vendita di questo testo furono proibite, ma sicuramente alcune copie circolano ancora oggi.

Situazione non consona ad un paese civilizzato e culturalmente progredito come il Giappone; ma come può accadere, storia e tradizione a volte invece che fornire una guida agli errori da non ripetere e agli aspetti positivi da mantenere, funge da comoda legittimazione e ratifica di abitudini che finiscono col radicarsi talmente tanto da essere considerate parte delle usanze e dei costumi di un popolo. 

 

Eleonora Bertin