Antiquariato giapponese

“Comprendere profondamente questo segno significa capire la verità dell’universo”. Questa – circa – è la criptica frase che accompagna il grande cerchio dipinto da Teito Shuto, quattrocentoquarantaquattresimo abate del Daitokuji di Kyoto, il tempio di riferimento per la pratica della cerimonia del tè, fondato nel 1315 e ancora riferimento primario per la cultura del tè e delle arti zen ad essa correlate.

L’enso è il più potente simbolo dello zen e va tracciato con un unico, deciso e consapevole tratto del pennello. Cerchio cosmico, che racchiude al contempo il vuoto e l’infinito, questo segno combina in sé allo stesso tempo l’essere e il non-essere, il visibile e l’invisibile. Tutti i monaci zen si sono cimentati in questo segno e le variazioni sono infinite: cerchio chiuso o aperto, grande o piccolo, regolare o distorto, le sensazioni che il tratto comunica sono sempre diverse, esprimendo calma riflessione ma anche  forza e dinamicità. In questo caso la forma larga e perfetta richiama la luna piena, a simboleggiare la mente illuminata, ma anche la ruota, a indicare che tutto scorre, o lo zero, per ricordare che tempo e spazio non esistono ma sono il fondamento dell’esistenza.

La prima testimonianza di un enso risale all’ottavo secolo, citato in una raccolta di racconti. Secondo l’aneddoto, un monaco chiese al maestro Kyozan di insegnargli un canto che esprima l’illuminazione e questi disegnò un cerchio su un pezzo di carta.

Giuseppe Piva

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