L’aikidō – seconda parte

L’energia, ki

Se armonizziamo i nostri movimenti al flusso dei sensi ottenuto mediante gli esercizi di respirazione, la nostra pratica diventa un metodo avanzato del fluire del ki. Ogni individuo è dotato di una particolare fonte di energia, in giapponese ki, che deve poter scorrere liberamente nel corpo, senza incontrare blocchi muscolari che ne impediscano il flusso. Attraverso la pratica dell’aikidō l’individuo impara a utilizzare correttamente questa energia che gli permette di sciogliere i legami di dipendenza con il mondo esteriore per riavvicinarsi alla propria natura interiore.

Bisogna concentrarsi sul centro in cui si sviluppa tale energia, il ventre (hara).

Tramite la respirazione (koky), l’allievo impara a entrare meglio in contatto con i propri desideri più profondi e con le proprie difficoltà interiori. Quando il corpo sarà libero da blocchi, allora il ki ben sviluppato nell’addome potrà diffondersi in tutto il corpo, permettendo la giusta esecuzione delle tecniche. Nell’aikidō. il ki si armonizzerà con quello dell’avversario.

Il ki e inteso sia in senso fisico, sia psicologico ed è quindi l’energia psicofisica. Il ki, il principio unificatore di tutti i fenomeni energetici è stato analizzato dallo psichiatra Doi Takeo nelle sue combinazioni idiomatiche, non esistendo un termine corrispondente nelle lingue occidentali che ne riassumesse tutte le sfaccettature. Doi afferma che per quanto diverse siano le persone, il ki che opera in ciascuna sembra seguire lo stesso principio.

Numerosi aggettivi quali: colpevole, capriccioso, strano, pazzo, irritabile, geniale, generoso, franco, brillante, ragionevole, ecc., possono essere resi in giapponese con

espressioni idiomatiche in cui la parola chiave è ki:

Ki potrebbe indicare principalmente funzioni della sfera emotiva, ma in alcuni casi si riferisce alla capacita di giudizio, alla coscienza o alla volontà.

Mentre in Europa noi distinguiamo con diversi termini emozione, consapevolezza, volontà, coscienza e cosi via, in Giappone tali termini possono essere resi tutti con

ki; ki traduce quindi sia i moti del corpo che quelli della mente.

Dopo queste considerazioni, Doi Takeo analizzò l’uso di ki in rapporto alle parti anatomiche che, nella consapevolezza giapponese, esperiscono i differenti moti interiori: la testa, atama, il cuore, kokoro e il ventre, hara. Atama si riferisce alla capacita o al fatto di pensare: anche in occidente, la funzione della coscienza è sempre stata intuitivamente collocata nella testa. Kokoro indica la capacità di provare emozioni dinanzi a qualcosa, o è metafora dell’emozione stessa.

Anche nella nostra lingua l’emozione è associata al cuore, sede eletta del sentimento.

Helen Hardacre spiega che la parola kokoro comprende il concetto di cuore negli aspetti legati a mente, volontà ed emozione. Il kokoro non e pero semplicemente la somma in astratto delle tre cose; esso cambia da persona a persona a seconda dei tratti della propria personalità, disposizioni e sensibilità estetiche. Quando i giapponesi distinguono spirito (seishin) e carne (nikutai) kokoro è associato allo spirito. Il kokoro include l’anima (tamashii) ma non è identico a essa. Dopo la morte l’anima tamashii continua ad esistere mentre il cuore kokoro no.

Hara è il ventre: proprio come il ventre è il luogo del corpo in cui si accumula ilcibo, cosi il termine che lo designa e usato metaforicamente per indicare il sé inquanto accumulo o compendio delle esperienze individuali. Lo stesso punto, importante per l’equilibrio nelle arti marziali, e detto tanden; tramite questo centro una persona stabilisce contatto con il terreno sotto e con il cielo sopra.

Il concetto di ki è di origine cinese, il termine corrispondente e qi. Il qi è anche il principio metafisico per alcune scuole di pensiero cinesi: può essere per esempio il principio essenziale dell’armonia fra yin e yang (Laozi), la essenziale pienezza della vita (Huai nan zi), il coraggio che nasce dalla rettitudine morale (Mengzi), la forza divina che penetra tutte le cose (Zhuang zi).

Questa interpretazione metafisica del qi fu introdotta in Giappone nei periodi Nara (710-784) ed Heian (794-1185), dove si combinò con le credenze popolari locali: il ki era la forza responsabile del processo ciclico di crescita, sviluppo, fioritura di alberi e piante. Dal periodo Kamakura (1185-1333) si intese il ki in rapporto alle qualità richieste al guerriero: audacia, shi ki, potere della volontà, i ki, vigore, gen ki, coraggio, yū ki.

Le arti marziali giapponesi hanno sempre dedicato molta attenzione allo sviluppo dell’energia, considerata come una fonte di forza superiore alla potenza muscolare, (chikara). L’origine dell’energia è nel ventre, hara, questi due concetti hara come centralizzazione e integrazione e ki come energia centralizzata estesa, trovarono la loro espressione più vera nell’arte conosciuta in Giappone con il nome di haragei  l’arte dell’intuizione: la sua teoria e la sua pratica, a loro volta, vennero utilizzate nel tentativo di superare i complessi problemi dell’esistenza.

Nella cultura giapponese si ritiene che lo hara sia il centro in cui si sviluppa il ki, che può fluire libero nel corpo se non sono presenti le tensioni. Spiegano infatti H. Reid e M. Croucher:

È importante sottolineare che i maestri di Okinawa, come i loro colleghi cinesi, hanno capito che per ottenere la massima efficacia nei colpi e nelle parate, questi devono essere permeati dell’energia che proviene dalla zona sotto l’ombelico, nota come tanden. Quest’area, che coincide con il baricentro del corpo umano, e il centro del ki (forza vitale), come ben sanno gli agopuntori e i guerrieri dell’Asia orientale, sia i praticanti di arti marziali. È da questo punto che il ki fluisce in tutto il corpo. Quando i maestri di karate dicono che tutte le tecniche con le mani hanno origine dalla rotazione dell’anca e che questa rotazione aumenta la forza del colpo, hanno assolutamente ragione.

È cosi anche l’insegnamento di Tokitsu Kenji:

Si pensa spesso di abbassare il centro di gravità assumendo una postura bassa. Non è solamente abbassando il bacino che il proprio centro di gravità scende. Se il ventre non è pieno, questo tipo di stabilità apparente non funziona: in senso fisico, il centro di gravità è basso, ma il centro del corpo resta a livello della testa. Per orientare questi esercizi si dice in giapponese: Pensa con il ventre. Il corpo deve aderire al suolo come quello di un bambino addormentato che sembra molto pesante.

Ritornando a Doi:

A giudicare dal modo in cui è usato, ki potrebbe essere definito con maggiore precisione come il movimento dello spirito da un istante all’altro. In altre parole, mentre atama, kokoro e hara indicano le sedi in cui si compiono le varie funzioni mentali e ciò che sta dietro il fenomeno, ki indica l’operazione in sé.

Lo psichiatra analizza poi alcune espressioni particolari come ad esempio ki wa kokoro, il ki e il cuore: ogni manifestazione del ki è espressione del proprio essere. Si noti a questo proposito come nella psicologia somatica ogni moto espressivo del paziente venga considerato significativo perche rivelatore della sua realtà interiore. Ki ga shizumu, essere depressi, letteralmente significa il ki affonda. L’espressione evidenzia l’incapacità di rispondere in modo appropriato all’ambiente per mancanza di energia. Da che cosa e mosso dunque il ki?

Esso è mosso dalla ricerca del piacere, al servizio del Sé: in altre parole tutti cercano sostanzialmente qualcosa che sia in armonia con il Sé. Se ora prendiamo in considerazione tutte le attività del ki, possiamo concludere che esso e costantemente teso alla ricerca del piacere. È proprio questo e il principio dell’attività mentale manifestato dal ki.

Con la trasformazione di bujutsu in budō, ci fu una rivalutazione del concetto di ki come forza spirituale, come energia dell’universo, come principio unificatore di yin e yang. Per esempio in un’opera della scuola di Kitō, importante testo di jūjūtsu classico molto vicino al jūdō e all’aikidō, troviamo le seguenti frasi prese dal Densho Chusaku, Kitō significa sorgere e cadere. Sorgere nella forma yang e cadere nella forma yin. Quando il nemico mostra yin, vinci con yang. Quando il nemico è yang,vinci con yin. Rendere la mente potente, utilizzando il ritmo mediante tecniche piene di forza e cedevolezza è prova di maestria. Abbandonare la propria forza e vincere usando la forza del nemico è reso possibile dal ki, come insegnato nella nostra scuola. Abbandonando la forza, si ritorna al principio fondamentale. Se non si fa assegnamento sulla forza ma si usa il ki, la forza del nemico gli si ritorcerà ed egli cadrà da solo. Questo è il significato del vincere usando la forza del nemico. Si deve riflettere attentamente su questo. In breve, il debole prevale sul forte. L’idea è che l’energia  individuale sia presente e componga tutta la materia cosmica, e che sia possibile un’armonizzazione di se stessi con l’universo, e proprio l’intuitiva veduta di Ueshiba, influenzato dalla dottrina di Onisaburō: Attraverso il budō ho esercitato il mio corpo completamente e ho padroneggiato i suoi segreti ultimi, ma ho anche realizzato una verità più grande. Si tratta di questo: quando ho compreso attraverso il budō la reale natura dell’universo, ho visto chiaramente che gli esseri umani devono unire mente e corpo, il ki allora unirà ambedue e quindi l’armonizzerà con l’universo. Grazie alla sottile azione del ki noi possiamo armonizzare sia la mente e il corpo che il rapporto fra l’individuo e l’universo. Quando la sottile azione del ki si guasta il mondo cade nella confusione e l’universo nel caos. L’armonia dell’assieme ki-mente-corpo con l’attività dell’universo e critica per l’ordine e la pace nel mondo.

In realtà di questo parla già la medicina cinese tradizionale ed è la base della cosmologia della scuola di spada Kashima Shinryū:

All natural phenomena are composed of varying combinations of matter and energy. These combinations continuously come into existence and disintegrate into their constituent parts, whereupon the parts recombine to produce new phenomena.

Matter can be converted to energy and energy to matter, but neither can be destroyed outright; the sum of all energy and matter has remained constant since theuniverse itself came into being. Thus matter and energy, the primal stuff of the cosmos, are eternal. without beginning or end. And in this sense the myriad phenomena that result from their combination are also without beginning or end.

Questa e la legge o il ritmo attraverso il quale tutti i fenomeni si manifestano. In termini di confluenza degli opposti richiama la dottrina cinese di yin e yang, che rappresenta simbolicamente la realta nei termini di una coppia di principi o forze agli antipodi: yin, che rappresenta la negatività, l’oscurità, la debolezza, la passività, la distruzione, le cose nascoste o il femminile; e yang, che rappresenta la positività, la luce, la forza, l’attività, la creazione, le cose visibili o il maschile. Scritti con caratteri che rappresentano le parti ombreggiate e assolate di una collina, yin e yang non sono concepiti in opposizione ma sono complementari.

Essi sono incessantemente interattivi.

Il modo in cui yin e yang interagiscono permea l’arte del combattimento, bugei. La mente o la volontà (yin) si fonde con la spada (yang) attraverso il mezzo del corpo (yin e yang sono uno). La stessa idea e descritta come “Spada, mente e corpo come

Trinità” (ken shin tai sanmi ittai).

Le arti marziali insegnano che è il respiro (koky) ciò che unisce la mente e il corpo. Corpo-respiro-mente. Questa triade fondamentale compare in ogni insegnamento sulla spiritualità e sulle arti marziali, e si rifà a determinate leggi universali. Si riferisce strettamente a tre principi (testa-cuore-ventre) ma sottolinea il gioco dinamico reciproco tra questi tre e descrive la natura del processo creativo in tutti gli aspetti della vita. Corpo, respiro, mente, sono tre forme di energia che coesistono nella persona e nel suo universo.

Cosi si esprime Ueshiba Morihei:

La sottile azione del ki è la fonte materna del delicato cambiamento della respirazione. E anche la sorgente dell’arte marziale come vero amore. Quando si uniscono mente e corpo attraverso la virtù del ki e si manifesta ai ki (armonia del ki), si verificano spontaneamente delicati cambiamenti nella forza del respiro e i waza, giuste tecniche scorrono liberamente. Il cambiamento della respirazione, legato al ki dell’universo, interagisce e compenetra tutta la vita. Nello stesso tempo la delicata forza del respiro entra in tutti gli angoli del corpo. Penetrando in profondità, lo riempie di vitalità producendo numerosi, dinamici, spontanei movimenti. In questo modo l’intero corpo, compresi gli organi interni, si riempie di calore, leggerezza e forza. Dopo aver realizzato l’unione della mente e del corpo, essendo in sintonia con l’universo, il corpo si muove senza offrire alcuna resistenza alle proprie intenzioni.

Sempre a proposito del ki Ueshiba Morihei precisa:

È la ricerca sul ki ciò che rende le arti marziali delle “vie di crescita”. Nelle arti marziali la ricerca arriva in profondità, tocca il punto della vita e della morte, del dolore e dei propri scogli psicofisici. L’aikidō traccia una chiara e netta linea di demarcazione su questo modo di pensare, e la ragione e estremamente chiara: l’aikidō aspira a mantenere l’integrità del budō e a trasmettere lo spirito delle arti marziali tradizionali, rimanendo fedele al primo principio del budō, come enunciato dal maestro Ueshiba: il costante allenamento della mente e del corpo come disciplina base di coloro che intendono seguire un cammino spirituale.

Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato