Una bellezza pura ed effimera: simbologia della neve sulla scena

Spesso, nella poesia giapponese classica, la neve e i fiori di ciliegio si ritrovano associati: come se i fiocchi che volteggiano nell’aria invernale e i fiori spazzati dal vento fossero un’unica immagine di suprema bellezza. Questa associazione ha, nella storia della poesia giapponese, una tradizione antica. Infatti se ne registra la presenza già nel Kokin waka shū[1] in cui la tecnica del mitate, utilizzata magistralmente, favorisce l’incontro di due immagini antitetiche (perché proprie di due diverse stagioni), come i fiocchi di neve e i fiori di sakura. La tecnica del mitate è la sovrapposizione di due immagini visive, una reale e l’altra immaginaria e trova largo spazio nelle arti giapponesi, non solo in campo letterario ma anche in campo artistico.

L’associazione sakura-neve trascina con sé il riferimento a una terza immagine, quella del guerriero eroico. Se infatti il fiore di ciliegio è simbolo della bellezza effimera e della caducità delle cose del mondo,[2] la neve è portatrice di un segno di purezza, della purezza di intenti propria delle imprese eroiche, della sincerità, ovvero del makoto, che le contraddistingue. Un riferimento che rintraccia anche Ivan Morris parlando della vicenda di Saigō Takamori (1827-1877):

Il 17 febbraio lasciò con i suoi uomini Kagoshima sotto una violenta tempesta di neve. In Giappone la neve è simbolicamente associata alle imprese pure ed eroiche (i “quarantasette rōnin” attuarono la loro vendetta decisiva in una tempesta di neve e, in tempi più recenti, l’ammutinamento dei giovani ufficiali nel febbraio 1936 fu preceduto da una forte nevicata), e il fatto che l’esercito di Satsuma partisse sotto un cielo nevoso fu probabilmente interpretato come una sorta di conferma celeste sulla giustezza della loro causa.[3]

Il cerchio si chiude. I fiori di ciliegio e la neve conducono al bushi, ne esaltano, sulla scena come in altre manifestazioni artistiche, le azioni pure e “belle”, di una bellezza effimera. I fiori di ciliegio e la neve volteggiano e cadono a terra, gli uni disperdendosi, l’altra sciogliendosi, ed entrambe le immagini rimandano alla morte del guerriero.

La simbologia del bianco e della neve sembra avere una doppia valenza: significare purezza e significare la morte.

Nella cultura giapponese, infatti, il colore bianco, haku, associato al rosso o al nero assume significati contrapposti. Insieme al rosso nella combinazione kōhaku, il significato veicolato nell’immaginario di un individuo giapponese sarà quello della gioia e della celebrazione, mentre associato al nero suggerirà il lutto e occasioni dolorose. Da solo, però, il bianco è stato a lungo considerato il colore dei kami. Evoca la purezza, l’innocenza, come il biancore puro e incontaminato del washi, la preziosa carta con cui sono fatti i gohei, le striscioline bianche appese alle corde (shimenawa) che delimitano le aree sacre dello Shintō.

Anche in ambito buddhista il colore bianco assume una densità di significati di notevole portata. Massimo Raveri osserva che il bianco è il colore dell’ascesi e della morte: il monaco che sta per intraprendere un’esperienza mistica estrema come quella del sennichi kaihōgyō della scuola Tendai, lascia l’usuale tonaca nera e si riveste di bianco.[4] Bianco è anche l’abito dei pellegrini e degli asceti, di chi abbandona, anche temporaneamente, la vita quotidiana, per seguire un percorso mistico che lo spoglia della “sporcizia” del mondo e lo purifica.

Il bianco della neve, associato al manto uniforme che tutto copre, esalta maggiormente questo concetto di pulizia, di cancellazione del male.

Analogamente, nel testo del celeberrimo Kanadehon Chūshingura, dramma del 1748 scritto originariamente per il teatro delle marionette e poi adattato per il kabuki, e che riprende e sublima poeticamente per il palcoscenico la vicenda della vendetta dei quaratasette rōnin, al candore delle vesti e al biancore della neve si associano l’idea della morte e quella della purezza e della trasformazione.

Cito qualche scena a titolo esemplificativo. Nel IV atto, il riferimento al kosode bianco che è l’abito dei morti, il costume utilizzato per il seppuku, indica la preparazione di Hangan (ossia del personaggio in cui è adombrata la figura storica del daimyō Asano Naganori Takumi no kami, 1667-1701) nell’ora suprema. Inoltre, nell’ambientazione del IX e dell’XI atto la neve allude a un insieme di significati importanti nell’economia del dramma: la costanza e la pazienza nella preparazione della vendetta, la morte incombente, la purezza degli intenti e la sincerità del cuore ed infine, la purificazione che si realizza con la vendetta.

All’inizio del IX atto, ambientato nella residenza di Ōboshi Yuranosuke (ossia del capovassallo Ōishi Kuranosuke, 1659-1703, ideatore della vendetta) a Yamashina, la moglie di questi, avendolo visto rotolare una palla neve in giardino rientrando a casa, la indica al figlio Rikiya riflettendo sul significato di quel gesto che la donna interpreta in questo modo:

Otto wo hajime minna no shū wa, ima rōnin no hikage no mi, hikage ni sae okeba tokenu yuki, isogu koto wa nai to iu okokoro de arō wai no.” 夫を始め皆の衆は、今浪人の日陰の身、日陰にさえ置けば解けぬ雪、急く事はないというお心であろうわいの。[5] (Mio marito e tutti gli altri ora sono rōnin, gente che sta nell’ombra. La neve, se la si tiene all’ombra, non si fonde: per questo non occorre aver fretta, non bisogna essere precipitosi.)

In questo caso la neve sarebbe una metafora della pazienza, nelle parole della moglie di Yuranosuke.

Verso la fine di quello stesso atto, Yuranosuke rivela il suo piano di vendetta a un altro personaggio e lo fa per prima cosa mostrandogli due mucchi di neve in giardino:

Shōji sararito hikiakureba, yuki wo tsuganute sekitō, gorin no katachi wo futatsu made, tsukuri tateshi wa Ōboshi ga, nariiku hate wo arawaseri.  障子さらりと引き明くれば、雪を束ねて石塔の、五輪の形を二つまで、造り立てしは大星が、成り行く果てを顕わせり。[6] (Spalanca agevolmente gli shōji, e appaiono due monumenti funebri che Ōboshi ha modellato con neve pressata in forma di gorin, esprimendo in essi la fine imminente.)

I due gorintō di neve alluderebbero qui, viene detto in una battuta, al desiderio di Yuranosuke e del figlio di “scomparire come neve”[7] una volta vendicato il loro signore con l’uccisione del suo nemico: ancora una volta la neve è associata alla morte incombente.

E se nei manufatti del periodo Edo, come tessuti e stampe, i fiocchi di neve sono utilizzati come simbolo di purezza e di trasformazione, ciò accade anche sulla scena del Chūshingura, in cui nel IX e nell’XI atto è previsto che il palcoscenico sia ricoperto da una stoffa bianca che rievochi il candido manto. Ciò è vero soprattutto nell’atto finale del dramma in cui sotto una copiosa nevicata si realizza la vendetta, e la neve sembrerebbe avere il ruolo di purificare dal sangue contaminante del sacrificio.

La neve che tutto ricopre è anche simbolo di rinascita, di trasformazione, che annuncia la vita che si rinnova sotto il candido mantello che ricopre ogni cosa. Presente copiosamente nella produzione artistica giapponese come un imprescindibile segno stagionale, la neve ha una parte rilevante anche sulle scene, quindi. L’effetto “neve” nel kabuki, infatti, è volutamente reso in ogni sua sfumatura: dal segno grafico (i fiocchi di carta che piovono sul palcoscenico) a quello sonoro, ricco di una insospettabile suggestione, come ci ricorda lo studioso Kawatake Toshio: “Il suono della neve è interessante. In natura la neve cade senza rumore, ma la sua caduta diretta è espressa dall’ōdaiko. Il suono di questo tamburo è prodotto usando “bastoni da neve” piuttosto spessi e corti, che sono ricoperti alle estremità con palle di cotone per dare, insieme a un tocco gentile, un suono basso, morbido. Nel frattempo, da un lungo cesto aperto e sospeso sul palcoscenico, scendono volteggiando fiocchi di neve di carta. Ora sono prodotti in tanti quadrati da una macchina, ma i migliori sono i “triangoli di neve”. Mi sembra che, anche cineticamente, la forma triangola si adatti meglio a fluttuare e a danzare come neve.”[8]

È evidente che, nel caso dell’XI atto del Chūshingura, la neve non è interpretabile solo come un imprescindibile elemento stagionale. Ad essa è attribuibile una molteplicità di significati a cui non paia azzardato aggiungerne uno di particolare rilevanza, nel caso del dramma in questione. Se ritorniamo al Kokin waka shū originato però, occorre ricordarlo, in un clima culturale del tutto diverso, troveremo un waka particolarmente significativo:

Yuki furite

toshi no kurenuru

toki ni koso

tsuini momijinu

matsu mo miekere.

雪ふりて年の暮れぬる時にこそつゐにもみぢぬ松も見けれ。

Solo alla fine dell’anno/quando la neve stende/la bianca coltre/risalta agli occhi/ il verde perenne del pino.[9]

In questo componimento poetico, nato molti secoli prima del Kanadehon Chūshingura, in un contesto storico-culturale assai differente, la presenza della neve, elemento effimero, esalta per contrasto la perennità di ciò che nasconde: quelle virtù umane come la costanza e la fedeltà cui il pino sembra alludere. Virtù apprezzate ancora a distanza di tempo e coltivate ancora con tanta cura negli anni del Chūshingura.

Rossella Marangoni

www.rossellamarangoni.it

www.asiateatro.it

 


[1] E in particolare nei seguenti componimenti poetici: I-6, 7, 9, 60, II-75, VI-323, 324, 330, 331, VII-363. Cfr. Kokin waka shū. Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne, a cura di Sagiyama Ikuko, Milano, Ariele, 2000.

[2]  Ben esemplificato dal seguente componimento poetico: “Utsusemino yo ni mo nitaru ka hanazakura saku to mishi ma ni katsu chirinikeri. A questo mondo umano/effimero somiglia/il fiore di ciliegio:/lo vedo sbocciare e intanto/ecco, sta già sfiorendo.”, SAGIYAMA Ikuko (a cura di), Kokin waka shū, cit., p. 102.

[3]  I. MORRIS, “L’apoteosi di Saigō il grande” in La nobiltà della sconfitta, Milano, Guanda, 1983, pp. 255-256.

[4]  Massimo RAVERI, Il corpo e il paradiso, Venezia, Marsilio, 1992, p. 41.

[5] Kanadehon Chūshingura 仮名手本忠臣蔵, edizione critica a cura di Hattori Yukio, Tōkyō, Hakusuisha, 1994, p. 233 (la traduzione è mia).

[6] Kanadehon Chūshingura 仮名手本忠臣蔵, edizione critica a cura di Hattori Yukio, cit., p. 258 (la traduzione è mia).

[7] “Jikun ni tsukaezu keyuru to iu okokoro no ano yuki. 二君に仕えず消ゆると言うお心のあの雪。(Non servirete un secondo signore, ma intendete sparire come quella neve.), Kanadehon Chūshingura 仮名手本忠臣蔵, edizione critica a cura di Hattori Yukio, cit., p. 259 (la traduzione è mia).

[8] KAWATAKE Toshio, Japan on stage,Tōkyō, 3A Corporation, 1990, p. 114.

[9] SAGIYAMA Ikuko (a cura di), Kokin waka shū, cit., p. 241.