I periodi Jōmon, Yayoi e gli albori della musica Giapponese

 

I primi periodi della storia musicale giapponese sono irti di problemi e controversie che a tutt’oggi sono ben lungi dall’essere risolti a causa della mancanza di fonti valide e dalla contaminazione col mito che gli stessi giapponesi, stanziatisi nello Yamato (le attuali prefetture di Osaka, Nara e Wakamiya) costruirono successivamente. A differenza di quanto accade in occidente, di cui ci rimangono una cinquantina di minuti del repertorio musicale greco (peraltro molto discutibili) dei periodi antichi le uniche testimonianze a cui possiamo affidarci in maniera incontrovertibile sono gli strumenti musicali sopravvissuti. Del periodo preistorico, che finisce nel300 A.C. ci sono rimasti solo alcuni fischietti di pietra forata, chiamati ishibue,in grado di emettere non più di quattro o cinque note, rintracciabili in fattura simile anche in altri scavi della vicina Corea, mentre altrettanto interessante è un altro strumento oggi conservato al Gakkigaku Shiryōkan del Kunitachi College of Music, una dorei (fig.1), campana, la cui datazione al Jōmon, nonostante le decorazioni tipiche, è profondamente messa in discussione; infatti nessun altro esemplare simile o assimilabile a questo tipo è stato sino ad ora rinvenuto, rendendo impossibile esprimersi in maniera certa.

Con la successiva civiltà che prenderà il nome di Yayoi (il suo nome deriva dalla zona di Tōkyō, Yayoi-chō, in cui per la prima volta vennero rinvenuti i primi manufatti di questo periodo) che si concluderà nel 250 D.C., grazie soprattutto alle migrazioni delle popolazioni del continente sull’arcipelago giapponese, si iniziarono ad impiegare attrezzi di metallo e di bronzo, nonché a fare dell’agricoltura uno dei punti di forza dell’economia interna, avviando un processo che porterà il Giappone sulla via di una stratificazione gerarchica che da lì a qualche secolo avrebbe visto nascere in Yamato la prima dinastia regnante. Anche gli annali cinesi, in particolare il Wei Chih del 297 e lo Hou Han Shu del 445, restituiscono oltre all’immagine in una terra solcata da divisioni sociali anche quella di una popolazione dedita soprattutto Associazione Culturale Italo Giapponese Fujiall’agricoltura ed amante delle pantomime, dei canti e delle danze. E proprio a questo periodo risale una controversia musicale che dura ancora oggi: nel1943, aToro, vicino alla città di Shizuoka, venne rinvenuto un wagon, cetra giapponese, databile intorno al 250 D.C.,che farebbe di questo strumento, anticamente ritenuto di origine continentale, un prodotto genuino delle popolazioni giapponesi antiche. Ma questa non è l’unica testimonianza della vita musicale nello Yayoi, proprio grazie alla migrazione delle popolazioni straniere si rese possibile la forgiatura delle dōtaku (fig. 2) o nuride, particolari tipi di campane, costruite in bronzo, spesso usate senza batacchi e, forse, utilizzate anche come simbolo d’autorità.

Il luogo di ritrovamento nelle zone del Kantō, nel Kansai (zona di ōsaka), nello Shikoku ed in misura minore nella regione di Chōgoku, ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi, tra cui Harich-Schneider, di una possibile immigrazione che entrasse dal nord del Giappone e proseguisse verso sud, senza arrivare alle isole Kyōshō, andando in controtendenza all’idea di una possibile popolazione dell’arcipelago proveniente da sud, che comunque non spiega la completa assenza di manufatti di questo periodo nelle isole sopra citate e nel sud dello Shikoku. Anche uno degli antichi annali giapponesi, lo Shoku Nihongi, riporta come nel sesto anno dell’epoca Wadō, il 713 D.C.,un uomo del villaggio di Namusaka, di nome Udagōri, ritrovò una dōtaku nella terra di Nagaokanu, alta tre shaku (90 cm) e di uno shaku di diametro (30 cm) con una forma non ordinaria (per lo standard del periodo in cui viveva l’uomo) ed un suono in accordo con la scala musicale a quel tempo vigente, il che apre ulteriormente la possibilità a nuove ipotesi, essendo le scale musicali tutte di importazione cinese non prima del VI-VII secolo. Per decreto imperiale venne ordinata la sua preservazione negli anni ma non è oggi identificabile, ammesso l’episodio come veritiero, con quelle in nostro possesso e purtroppo nulla rimane su come queste avessero parte nella reale pratica musicale dōtaku.

Al di là dell’aneddoto, il fatto riportato rimane comunque curioso, soprattutto perché è facile chiedersi come mai queste campane venivano trovate in luoghi isolati, lontane dai centri abitati e vicino ai pendii delle montagne invece che preservate in templi o altre istituzioni dell’epoca. Molto probabilmente queste erano utilizzate nei templi solo durante le festività e per il resto dell’anno dovevano rimanere nascoste come oggetti segreti, sino a quando tale pratica non venne completamente abbandonata, decretando contemporaneamente anche lo smarrimento ed il non recupero delle campane ancora sepolte. Le forme di queste campane sono riassumibili in due tipologie, entrambe con decorazioni inerenti la natura. La prima, che è anche la più antica e di dimensioni ridotte, è stata rinvenuta anche in alcuni luoghi della Corea mentre la seconda, più diffusa ed a volte di dimensioni maggiori, è stata fino ad ora rinvenuta solo su territorio giapponese.

L’ultimo strumento certamente risalente a questo periodo è lo tsuchibue, di forma ovale con un numero di fori variabile da quattro a sei, simile Feimoall’ocarina e derivante quasi certamente dal flauto cinese xun. A conferma di questa parentela vi è un ritrovamento del 1966 di uno strumento in tutto uguale a quello cinese ad Ayaragi no Godaichi nella prefettura di Yamaguchi. Chiamato in tempi più recenti ken o kon, ma con uguale scrittura, la sua origine in Cina è ben più antica della sua prima comparsa e si attesterebbe tra il 6000 ed il5000 A.C. circa.

Edmondo Filippini