Il canto dei carri: Saibara

Poche volte, anche in Giappone, si incontra il termine Saibara quando si guarda superficialmente alla storia della musica giapponese e spesso viene erroneamente confuso o associato ad altri repertori vocali afferenti il composito universo del Gagaku. Eppure tale tipologia di canti sono sicuramente tra i più rappresentativi e antichi della tradizione giapponese, risalenti ad origini, secondo l’ipotesi oggi più accreditata, popolari. Il termine, per quanto non con una traduzione univoca, fa riferimento infatti ai “conducenti di carri”, funzionari che in epoca Heian erano principalmente addetti alla riscossione dei tributi nelle varie regioni del paese.

Portato al suo massimo splendore da Minamoto no Masanobu (920 – 993), si ritrovano echi di tale genere ancora nel Genji Monogatari, grazie ad una tradizione continuata a corte, che inserì il Saibara nel repertorio vocale del Gagaku garantendone anche la sopravvivenza. Dei cinquantacinque canti oggi superstiti però soltanto sei fanno ancora parte di tale repertorio di cui soltanto due eseguiti ancora in maniera quasi stabile. Proprio il fatto di appartenere oggi ad un repertorio di origine non autoctona rende però difficile la possibilità di ricostruire la loro forma popolare, poiché rimasti soggetti, loro come molte altre composizioni, ad una riscrittura che adattò la musica e i testi alla nuova funzione di corte. Le musica ed il canto, oggi ricostruibili solo attraverso due “intavolature” musicali, si caratterizza per un allungamento vocalico con l’aggiunta di formule decorative che danno varietà al canto mentre l’orchestra è costituita dall’ensemble classico normalmente utilizzato nel Gagaku con l’aggiunta di quello che in occidente potrebbe essere chiamato “maestro di coro”, Kutou, che da il tempo con il battito degli Shakubyoshi.

Edmondo Filippini