Iro Iro. Il Giappone tra pop e sublime – Intervista a Giorgio Amitrano

La pubblicazione di Iro Iro – da pochi giorni in libreria – ha immediatamente suscitato nell’universo degli appassionati di Giappone un vastissimo interesse. Forse perché i saggi sul Paese del Sol Levante davvero meritevoli di attenzione non sono così frequenti. O più probabilmente per l’esperienza dell’autore, Giorgio Amitrano, sicuramente uno dei nipponisti più famosi in Italia. Da quasi 30 anni è una delle voci più apprezzate sul tema nel nostro Paese ed è grazie a lui che molti scrittori e romanzi nipponici sono conosciuti anche nel nostro Paese, in primis quelli di Murakami Haruki e Yoshimoto Banana. Grazie a De Agostini, abbiamo avuto modo di incontrarlo e di fargli alcune domande sia sul nuovo libro sia sulla sua carriera. Ci accoglie sorridente in un piccolo bar vicino a Brera, a Milano, e l’intervista si trasforma presto in una chiacchierata a ruota libera in cui le domande e le risposte si avvicendano armonicamente. Ecco la sintesi del nostro piacevole colloquio.

 

Esce oggi in tutte le librerie Iro Iro, un libro davvero molto atteso da migliaia di appassionati di Giappone. Può presentarlo in breve ai nostri lettori?

Il libro nasce in realtà da un’idea della casa editrice De Agostini, che mi ha proposto di pubblicare un testo sul Giappone di tono divulgativa, una cosa che non avevo mai fatto prima. Avevo scritto sul Giappone soprattutto in occasioni accademiche. Ho anche scritto un certo numero di articoli per giornali e riviste, quindi in una forma un po’ più scorrevole, però non avevo mai scritto un’opera organica con questo approccio. È stata preziosa l’opportunità che mi hanno dato. All’inizio non è stato molto facile per me, proprio perché ero abituato a scrivere testi o articoli con note a pie’ di pagina, rivolti a un pubblico più limitato. E poi nel farlo mi sono appassionato ed è stato bello raccontare il Giappone in questa chiave adatta a un pubblico non specialistico, una sfida appassionante e creativa.

 

L’idea iniziale però è nata, in realtà, molti anni fa. Nell’introduzione dice che il primo a suggerirgli di scrivere un testo del genere è stato Cesare Garboli, critico-scrittore tra i più grandi del Novecento italiano.

Per me era come un maestro. Mi aveva consigliato più volte di scrivere un libro più creativo, da scrittore e non da professore. Però non ero abituato a un approccio del genere e l’ho rimandato a lungo, per molti e molti anni. La proposta della casa editrice mi ha permesso di riprendere in mano un vecchio progetto che avevo messo in pausa. Il senso del libro per me è quello di raccontare il Giappone, senza volerlo spiegare. Non vuole essere un’introduzione al Giappone. Non vuole essere un “Japan for beginners”. È un libro in cui io racconto attraverso la mia esperienza un Paese che amo molto e che mi appassiona.

 

Il libro è quasi una raccolta di miscellanee, una serie di impressioni sul Giappone che, come suggerisce nell’introduzione, quasi si incanala nel genere dello zuihitsu, un genere letterario giapponese in cui il pennello rincorre il flusso dei pensieri, liberamente. È così?

Il genere è quello, anche se non è mia intenzione volermi paragonare a testi che sono dei classici della letteratura giapponese. Invece il mio vuole essere un libro molto leggero, semplicemente un racconto in cui mi sono preso la libertà di passare da un argomento all’altro, seguendo il flusso dei pensieri. Come quando si chiacchiera e non c’è un tema da seguire a tutti i costi. Come quando si racconta una storia vissuta a un amico. Anche il titolo, Iro Iro (molte cose, di tutto un po’), vuole sottolineare questo.

 

Il sottotitolo invece è “Il Giappone tra pop e sublime” che evidenzia il rapporto particolare tra cultura tradizionale e popolare che si è creato in Giappone. Queste due componenti, una legata alle proprie radici e l’altra proiettata verso il futuro, hanno raggiunto un equilibrio perfetto, come se fossero due lati della stessa medaglia. A cosa si deve questa armonia tra le parti?

Credo che il gioco tra queste due componenti esiste in tutte le culture, solo che in Giappone è particolarmente sviluppato e funziona in maniera efficace. Forse, anche perché ha origini molto antiche. Per esempio, il Nō – forma di teatro più solenne e rituale – è inframezzato da farse Kyōgen. Anche nel Bunraku, il teatro delle marionette, o nel Kabuki c’è una continua alternanza tra elementi seri e faceti. Questo dualismo – tra alto e basso, tra drammatico e comico – è una costante della loro cultura. Quello che è molto cambiato e si è evoluto negli ultimi decenni, già a partire dal dopoguerra diciamo, è che si è sviluppata una cultura popolare molto forte, grazie all’avvento del cinema di animazione e di un certo tipo di musica. Prima erano forme contrapposte alla cultura alta, ufficiale, poi poco a poco si sono contaminate a vicenda. Un esempio emblematico in questo senso è lo stesso Murakami Haruki. Un autore di letteratura alta, che allo stesso tempo è enigmatico e popolare. Pop e sublime quindi, se si vuole usare questo termine.

 

Grazie alla nostra associazione vediamo spesso che questa capacità di apprezzare le due anime del Giappone in realtà nel nostro Paese manca un po’. Molti appassionati di cultura nipponica sono legati maggiormente alla cultura tradizionali e pensano che la cultura pop svilisca l’eredità culturale secolare del Giappone. Come mai?

Questo perché siamo poco portati ad aprirci alle novità. Lo stesso Murakami, che oggi riceve consensi universali, è stato visto con diffidenza per tanto tempo senza che gli venissero dedicati studi approfonditi e seri. Non è che non ci fossero libri su Murakami, anzi, ma erano per lo più scritti da sociologi o studiosi di altre letterature, ad esempio studiosi di letteratura francese e non giapponese. Nonostante abbia riscontrato da subito un grande successo commerciale, c’era molta diffidenza nei suoi confronti e si faticava a vedere la complessità e la profondità dei suoi scritti. Murakami è uno scrittore molto complesso e i suoi libri sono colmi di simboli.

 

Come si coniugano pop e sublime nei due autori che lei ha tradotto di più, Murakami Haruki e Yoshimoto Banana? Quale è stato il suo primo contatto con questi due scrittori?

Io ho tradotto prima Banana e poi Murakami. Il mio primo incontro con lei è stato quasi un caso. Fino a quel momento avevo sempre tradotto autori considerati classici moderni, come Kawabata Yasunari. Poi ho ricevuto Kitchen, il primo libro di Banana, che mi è piaciuto moltissimo. Ho proposto a Feltrinelli di pubblicarne una mia traduzione e così è successo. Più o meno contemporaneamente divenne famoso anche Murakami, che ottenne un grande successo con il libro che qui in Italia è stato rinominato Tokyo Blues, cioè Norwegian Wood. L’ho comprato perché in Giappone si vedeva dappertutto, senza sapere niente a proposito del libro o dell’autore, se non che stava diventando un grandissimo successo. Non molto di più. Da lì è nato il mio rapporto con Murakami, che è diventato poi uno dei miei autori preferiti e credo di aver letto quasi tutto di lui. Forse mi manca solo qualche saggio.

 

Quali sono i primi scrittori giapponesi che ha letto?

Il mio primo contatto con la letteratura giapponese è stato al liceo. Leggevo molto in generale, ero un lettore onnivoro. Tra le altre cose mi sono confrontato con i pochi autori giapponesi che erano allora tradotti in italiano, come Kawabata o Tanizaki. Al mio arrivo all’università, mi sono dedicato alla lettura di tutti i libri di autori nipponici su cui riuscivo a mettere le mani, che fossero in italiano o in inglese. Il primo autore a cui mi sono appassionato e che ho affrontato in maniera più sistematica è stato Nakajima Atsushi. E’ stato anche il primo che ho tradotto. Ho scritto la tesi di laurea su di lui e ho pubblicato una raccolta di racconti. Il secondo libro che ho tradotto credo sia stato quello di Banana, Kitchen, o forse Miyazawa Kenji.

 

Un must della letteratura giapponese? Quale può consigliare ai nostri lettori?

È difficile dirne solo uno. Tra quelli che ho tradotto io, anche se ha già avuto successo, c’è Il fucile da caccia di Inoue Yasushi”. È un piccolo libro, ma è bellissimo. Un altro autore che sta avendo successo è Furukawa Hideo. È uscito di recente un suo libro edito da Sellerio intitolato Tokyo Soundtrack.  Ci sono autori di gialli molto interessanti e amati. Quella giapponese è una delle letterature più ricche, più interessanti, e anche “variopinte”.

 

 

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