GLI AINU DEL GIAPPONE – IX. SAPORI E DISSAPORI

Quando si fa riferimento agli Ainu e alla propria cultura, si tende a prendere in considerazione aspetti come il tatuaggio, il ricamo tradizionale, le cerimonie e la loro trasformazione tra passato e presente, cosi come la danza, ma non viene mai menzionato il cibo. Se si ha la possibilità di andare in Hokkaidō, raccomando di prestare attenzione al cibo che qui assume altre sfumature o in alcuni casi si cambia proprio musica.

Oltre alle diverse varianti del ramen (Asahikawa Ramen, Sapporo Ramen, Hakodate Ramen),

piatti come il “Genghis Khan” (barbecue mongolo) è un piatto tipico dell’Hokkaidō, il sashimi di calamaro, il granchio reale, le “Jagabata” (Patate con burro), l’ “Unidon” (ciotola di riso con riccio di mare), o la montagna di gelato soffice e tanto altro ancora.

Ma se ci si avvicina più strettamente al mondo Ainu, possiamo citare una ulteriore differenza in fatto di cibo.

Tradizionalmente, le radici dopo essere state estirpate, lavate, bollite e ridotte in poltiglia, venivano utilizzate per la preparazione di dolci, oppure lasciate asciugare al sole per un successivo utilizzo nei mesi più freddi. Le verdure hanno da sempre occupato un posto di rilievo nell’alimentazione Ainu, come ad esempio un piatto tipico è il rataskep. Un altro piatto è la minestra chiamata ohaw, che a seconda degli ingredienti assumeva diversi nomi: ohaw di kam (“minestra di carne”); ohaw di pukusa (kitopiro in giapponese, “minestra di aglio selvatico”); ohaw di pukusakina (“minestra di  anemone”). Altro alimento era il sayo, una farinata di grano, che si lasciava bollire assieme ad altri ingredienti, come il munchiro (“miglio”) ad esempio, infine lo shito, ossia riso e altre granaglie pestate nei mortai a formare degli gnocchi grossi, cotti in saporiti brodi di carne, il piatto principale durante la Chiesei-nomi (la cerimonia di costruzione della casa). Castagne impastate con lardo o con uova di pesce era un piatto prelibato. La carne animale, come quella di orso o di cervo, veniva prima bollita e poi asciugata al sole, oppure lasciata asciugare sulle cremagliere sul camino all’interno dell’abitazione.  La bevanda tipica era la Kamui-ashkoro, una birra lattiginosa di miglio a basso contenuto alcolico.

 

“Rataskep”, presso il Ristorante “Harukor” di Shinjuku, Tokyō. Foto dell’autrice.

 

Diverse sono le possibilità di gustare il cibo Ainu, poiché esistono ristoranti o con menu esclusivo indigeno o che inseriscono anche piatti della cucina Ainu. Se vi trovate a Shinjuku, Tokyō, e volete fare una esperienza in un ristorante tipico Ainu, l’ “Harukor” può fare al caso vostro. Si tratta di un piccolissimo spazio ma molto accogliente nel quale è possibile assaggiare il “rataskep” ossia un piatto a base di zucca, mais ed erbe dall’aspetto morbido e vellutato come se si mangiasse un nostrano purè; oppure gli “imo-shito”, cioè dei grossi gnocchi a base di patate o di zucca fritti, il “Rokuniku sutēki” (tagliata di cervo), disposta nel piatto a mezzaluna, oppure è possibile provare la zuppa “ohaw”, saporita quella con salmone e verdure.

 

“Rokuniku sutēki” (tagliata di cervo), presso il Ristorante “Harukor” di Shinjuku, Tokyō. Foto dell’autrice.

 

Nel ristorante “Drive in Yukara”, presso il villaggio “Nibutani Kotan” a Biratori, è possibile gustare un ottimo ramen, il “kitopiro ramen”, che appare come un normale ramen, ma poi si è colti di sorpresa, quando si sente per primo il sapore di una cucina genuina e poi il gusto del kitopiro che è delizioso, e che non smetteresti mai di mangiare.

 

“Kitopiro ramen”, presso il Ristorante “Drive in Yukara”, villaggio “Nibutani Kotan”, Biratori. Foto di Flavio Risi.

 

Spostandoci verso il villaggio “Akan Kotan”, un ristorante in cui provare alcuni piatti Ainu è il “Banya”, dove oltre a diverse pietanze a base di kitopiro (come ad esempio in aggiunta ai ravioli, in una frittata oppure bollito) si possono mangiare salmone e altre specie di pesce come l’ “hokke” (un pesce simile allo sgombro) e lo “shishamo” (sperlano).

Un altro ristorante tipicamente Ainu, ma che in realtà nel menu offre anche altro, è il “Poronno”. Ci troviamo sempre all’interno del medesimo villaggio, qui si può gustare la “yukku Ohaw”, una zuppa a base di carne di cervo e verdure, accompagnato da una porzione di riso con fagioli, o la versione “chep Ohaw”, con salmone e verdure tra cui l’immancabile kitopiro.

 

“Chep Ohaw”, presso il Ristorante “Poronno”, villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.

 

 Altro piatto è il “konbushito”, tipico della regione di Hidaka, una sorta di gnocco gigante realizzato con farina di riso e sormontato da salsa d’alga kelp, le “puccheimo”, ossia patate lasciate fermentare durante l’inverno sotto la neve e servite a fette.

 

“Puccheimo”, presso il Ristorante “Poronno”, villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.

Oppure si possono provare alcuni tipi di bevande come quella chiamata “Sikerebe” (un infuso di sughero Amur usato dagli Ainu per il mal di gola e mal di stomaco), oppure la “Setaento” (con balsamo vietnamita che viene utilizzato per il potere rinfrescante dopo pasto, quando si è ammalati annusandolo semplicemente o messo nel porridge) e infine la “kabanoanatake” (a base di chaga che cresce in abbondanza nella foresta Akan e che è utile per rafforzare il sistema immunitario).

 

“Marimo mojito”, presso il Ristorante “Ajishin”, nei pressi del villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.

 

Un ultimo ristorante che cito e che sento davvero di consigliare per l’ottimo gusto dei suoi piatti è l’ “Ajishin”, in cui il menu è prevalentemente dell’Hokkaidō, ma si possono trovare anche piatti della cucina Ainu. Si tratta di un posto incantevole, a gestione familiare, in cui vi risparmio la solita lista di piatti a base di zuppe, di pesce, ma cito solo una bevanda che è una invenzione tutta loro e che è detta “marimo Mojito”, a base di rhum bianco, ghiaccio tritato, acqua gassata, sciroppo di menta e per finire alga marimo.

Termina qui il mio viaggio all’insegna del cibo Ainu, che devo dire mi ha trovato perplessa in alcuni casi, forse perché non preparata al gusto di alcuni piatti, ma che mi ha saputo regalare anche nuovi  “viaggi di gusto” che porterò ovviamente sempre con me.    

 

 

                                                                                                                   Sabrina Battipaglia