Il kakigōri, la granita giapponese simbolo dell’estate

Chi usufruisce dei media giapponesi ha probabilmente già incontrato il kakigōri, uno dei dessert più riconoscibili, soprattutto in estate. Questo dolce viene preparato tritando finemente il ghiaccio temperato che poi viene servito con sciroppi e guarnizioni di diverso genere e gusto.

La parola “kakigōri” significa letteralmente “ghiaccio tritato” e deriva da “bukkakigōri” (“ghiaccio su cui viene versato lo sciroppo”), termine del dialetto di Tōkyō. Ciononostante, il dessert è conosciuto anche con altri nomi, come ad esempio “natsugōri” (“ghiaccio estivo”) o “kōrimizu” (“acqua ghiacciata”). La parola “natsugōri” si può anche scomporre in “na” (7), “tsu” (2) e “go” (5), motivo per cui il 25 luglio è chiamato Kakigōri no Hi, il giorno del kakigōri.

Altre varianti sono ad esempio “karigane”, utilizzata a Okinawa o “kachiwari”, tipica della regione del Kinki. In Hokkaidō spesso si usa anche la parola “shābetto”, derivata da “sorbet”.

Kakigōri con sciroppo al matcha, foto di Chris 73, Wikimedia Commons

Consumare cibi freddi durante le calde estati giapponesi non è però un’esclusiva contemporanea: il kakigōri veniva mangiato ben prima che fossero inventati congelatori e frigoriferi. Si può infatti ritrovare un suo antenato persino nel periodo Heian (794 - 1185). La scrittrice e dama di corte Sei Shōnagon ne fa menzione nel capitolo (dan) 42 del Makura no sōshi (“Note del guanciale”, compilato intorno all’anno Mille), annoverando questo dolce tra le “cose eleganti”.

Il passo è il seguente:

“Cose eleganti. Una bambina che porta una veste bianca su una sottoveste rosa antico. Le uova di oca selvatica. Versare sciroppo di linfa d’edera su ghiaccio tritato e servirlo in una ciotola di metallo nuova. Un rosario buddhista con perle di cristallo. I fiori del glicine. La neve che cade sui fiori di pruno. Un bambino grazioso che mangia ad esempio le fragole.”

In un’epoca dove il solo modo per avere a disposizione il ghiaccio d’estate era quello di riuscire a conservare la neve e il ghiaccio raccolti in inverno, il kakigōri era una rara prelibatezza e poteva essere gustato solamente dagli aristocratici. Probabilmente per questo Sei Shōnagon lo considerava qualcosa di non comune e particolarmente raffinato.

Durante il periodo Edo (1603 - 1868), invece, divenne estremamente popolare. Nei kōriya (“negozi del ghiaccio”) si riusciva a produrre questa importante materia prima, rendendone quindi possibile un consumo su più larga scala. Dal periodo Meiji (1868 - 1912) le tecniche di creazione, conservazione e taglio del ghiaccio si evolvettero ulteriormente, avvicinando di molto il kakigōri dell’epoca al dessert che conosciamo oggi. Bisognerà però aspettare l’inizio del periodo Shōwa (1926 - 1989) affinché il kakigōri cominci a diventare un simbolo dei piaceri estivi delle persone comuni grazie a una diffusione ancora maggiore dei kōriya e a un’offerta di sciroppi più ampia.

Macchine per tritare il ghiaccio di periodo Shōwa, Shōwa Era Lifestyle Museum di Kitanagoya, foto di Evelyn-rose, Wikimedia Commons

Al giorno d’oggi gli sciroppi più comuni sono quelli derivati dalla frutta come quello alla fragola, all’arancia, al melone, ma sono anche diffusi sciroppi più particolari come quello alla cola, all’acqua zuccherata, al matcha, al caffè e persino all’umeshu, un liquore alle prugne. Le varie combinazioni sono comprensibilmente pressocché illimitate, ma vale la pena menzionare le versioni con l’aggiunta di frutta o gelato, con guarnizioni di noccioline, latte condensato o l’“uji-kintoki”, che unisce sciroppo al matcha e marmellata di fagioli rossi (chiamati anche “kintoki”, da qui il nome) come guarnizione finale. Molto popolare è anche la variante “shirokuma” (orso bianco/polare), tipica della prefettura di Kagoshima (l’omonima città che ne fa da “capoluogo” è gemellata con Napoli), nel Kyūshū, che prevede guarnizioni con piccoli mochi, frutta, pasta di fagioli rossi e latte condensato.

Kakigōri shirokuma, foto di Hajime Nakano, Wikimedia Commons

Il kakigōri è quindi un dessert dalle radici antiche e facilmente adattabile ai prodotti tipici e ai gusti di ognuno, grazie alle molteplici varianti e combinazioni. Non ci si stupisce che sia quindi riuscito a guadagnarsi un posto speciale tra i cibi preferiti per combattere le calde e umide estati giapponesi.

E voi, avete mai mangiato il kakigōri? Raccontateci la vostra esperienza!

 

Francesca Mora


L'anguilla un piatto estivo che porta fortuna

photo credits: skywardplus.jal.co.jp

In Giappone sin dal Periodo Nara (710-749) si racconta come l’anguilla sia uno dei migliori cibi contro il caldo estivo, di come questo cibo grasso e ricco di vitamina A aiuti l’alleviamento della fatica e migliorare l’appetito per contrastare la calura estiva, che causa a molti di sentirsi male.

Servita grigliata, bagnata da una salsa buonissima di cui sappiamo avere come base la salsa di soia e nulla di più, per via di come i suoi ingredienti sono tenuti segreti dai vari ristoranti che la servono. Viene poi servita su un letto di riso bianco, prendendo il nome di unadon. Termine che si crea all’unione delle parole giapponesi unagi (anguilla) e donburi (ciotola), che può anche identificare una tipologia di cibi giapponesi caratterizzati da una ciotola contenente riso sulla quale vene posto un ingrediente, come in questo caso.

Questo cibo che per la sua pesantezza potremmo non vedere collegato ai leggeri e freschi cibi estivi deve la sua fama ad una festività del periodo Edo che lo ha reso il suo piatto principale. Tale festività prende il nome di Doyō no ushi no hi che in italiano possiamo tradurre con ‘Il giorno del bue di metà estate’, è una festività basata sul calendario lunare e sui suoi dodici animali dello zodiaco. Il ‘Giorno del bue’, secondo tra i dodici animali dello zodiaco, cade in quello che viene definito doyō, i 19, 18 giorni prima del cambio di stagione, che in questo caso è nel mese di luglio, per questo tradotto con ‘metà estate’ in italiano.

Il collegamento tra il piatto a base di anguilla e la festività non si sa bene come sia nato, se sia davvero dovuto alla ricchezza dei nutrienti dell’anguilla o per altri motivi, tuttavia, vi vorrei proporre oltre ad una motivazione nutrizionale, quella che potremmo definire una divertente leggenda.

Si narra infatti che sia stato un certo Gennai Hiraga ad aver suggerito questa usanza nel periodo Edo. Un giorno il Sig. Gennai ricevette la visita di un negoziante che aveva paura di non riuscire più a vendere le sue anguille nel periodo estivo. Gennai ci pensò su e come soluzione gli propose di pubblicizzare la vendita dell’anguilla durante il Giorno del Bue, poiché mangiare qualcosa che inizi con la ‘U’ durante questa festività avrebbe portato molta fortuna.

Ora per noi una frase del genere ha tanto senso quanto chi ci consiglia di guardare il sole quando non riusciamo a starnutire, ma bisogna tenere in conto che in giapponese il Giorno del Bue si dice Ushi no hi e che la parola anguilla in giapponese si dice unagi; quindi, mangiare anguilla il Giorno del Bue è proprio uno di quelle pietanze perfette per diventare fortunati a quanto viene affermato dal Sig. Gennai.

Che questa storia sia davvero alla base di una tradizione che persiste fino ad oggi, lo lascio decidere a voi. Sicuramente dal periodo Edo la festività e il piatto culinario si sono legati molto, tanto che tutt’ora in Giappone dall’inizio di luglio è possibile trovare volantini e cartelli che pubblicizzano l’arrivo del Doyō no ushi no hi e per le strade si può già sentire il dolce profumo dell’anguilla alla brace coperta dalla sua deliziosa salsa, che ti invita ad entrare nei negozi per mangiarla.

Un esempio di volantino pubblicitario. Photo credits: threaf.com

 

Articolo di Elena Ferrario, Stagista presso l’Associazione Giappone in Italia

https://www.giapponeinitalia.org/wp-content/uploads/2023/05/2023-Evento_CampsiragoResidenza.pdf

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Approfondimenti: Nuovi modi per usare il miso, un mondo oltre la zuppa

Il miso è un ingrediente fondamentale per la cucina giapponese. È un prodotto che deriva dalla fermentazione della soia e che solitamente viene impiegato per realizzare gustosissime zuppe. La storia del miso ha più di 2500 anni, quando arrivò in Giappone portato da dei monaci buddisti provenienti dalla Cina. Tuttavia, non tutti sanno che il miso può essere utilizzato per moltissime altre preparazioni oltre che per zuppe e bordi: basta usare un pizzico di fantasia per trasformare questo prodotto in un vero e proprio jolly all’interno della nostra cucina. Scopriamo insieme dei modi innovativi per usare la pasta di miso!

miso

photo credits: sorgentenatura.it

Marinature

Il miso si presta molto bene per marinare pesce e carne. In Giappone viene utilizzato spesso in combinazione con zucchero, mirin e sakè per la preparazione di piatti al forno, in padella o al vapore. La sapidità e la nota fermentata del miso sono elementi molto apprezzati per la valorizzazione di ingredienti sia poveri che pregiati.

photo credits: bbq4all.it

Condimenti per insalate

Il miso può essere utilizzato anche come ingrediente per comporre una salsa dal tipico sapore giapponese. Tra le più popolari, il connubio di miso con zenzero e olio di sesamo. Questa combinazione darà alla vostra insalata il gusto tipico di quelle giapponesi.

miso

photo credits: japancentre.com

Dolci

Tra gli utilizzi più eccentrici del miso c’è senza dubbio l’utilizzo di questo ingrediente per la creazione di dolci. Infatti, può essere sostituito con il sale in determinati dolci, come brownies e caramello. La combinazione tra miso e zucchero esalterà l’armoniosità degli ingredienti, con una nota fermentata e piacevole.

miso

photo credits: mangioquindisono.it

E voi? Avete deciso come utilizzare il miso nella vostra cucina? Armatevi di passione e fantasia: questo nuovo ingrediente è pronto a rivoluzionare le vostre ricette!

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Approfondimenti: Cibo di strada e festival: cosa si mangia durante i matsuri?

Senza alcun dubbio, i festival giapponesi (in giapponese 祭り, matsuri) sono tra gli eventi più apprezzati dai turisti e dai giapponesi stessi, ma cos’è davvero il cibo da matsuri?

Con il termine matsuri si intendono vari eventi che hanno luogo in diverse regioni del Giappone, in diversi periodi dell’anno. È così che i matsuri raccolgono l’anima folkloristica del Paese del Sol Levante. Spesso legati a festività nazionali come quella del mare o dei bambini, raccolgono un ampissimo bacino di persone che si ritrova per festeggiare in un clima solare e di condivisione.

Matsuri

photo credits: japanistry.com

Cibo da matsuri, di cosa si tratta?

Camminando fra le bancarelle che colorano l’ambientazione dei matsuri, non si può non essere attratti dalla moltitudine di odori e colori dei cibi che vengono preparati in queste occasioni. Takoyaki, Karaage, Okonomiyaki, Dango e molti altri ancora. Certamente i matsuri giapponesi non deluderanno gli amanti del buon cibo!

Cibo da matsuri bancarelle

photo credits: learnjapanese123.com

Tra i piatti più apprezzati e sempre presenti in ogni matsuri vi sono quelli alla piastra (o yaki 焼き, in giapponese). Tra questi i più conosciuti sono i takoyaki たこ焼き, “frittelle” di polpo avvolte in una pastella e serviti con maionese, salsa yaki e katsuobushi (petali di tonno essiccato). Da non dimenticare gli Okonomiyaki, お好み焼き, letteralmente “alla piastra come piace a me”, solitamente una base di cavolo e pastella, con all’interno i più disparati condimenti, dalle verdure al pollo.

Menzione d’onore per tutti i prodotti che durante i matsuri vengono serviti fritti, dalle più tradizionali patatine fritte (disponibili in ogni formato), alle pepite di pollo marinate e fritte, il Karaage (唐揚げ). La preparazione di questo prodotto parte dalla marinatura del pollo, solitamente le cosce disossate o il petto, con aglio, mirin, sake e salsa di soia. Dopo una rapida impanatura di sola farina, il pollo viene tuffato in un bagno di olio bollente, per poi essere servito caldo.

Cibo da matsuri karaage

photo credits: ikidane-nippon.com

Ad ogni festival il suo cibo!

Infine, ogni matsuri è caratterizzato dalla presenza di cibi specifici per la festività ed il periodo. D’estate, quando le temperature sono torride e in Giappone si susseguono festival di fuochi d’artificio (o hanabi taikai 花火大会), è comune trovare bancarelle che vendono semplici cetrioli infilzati in uno stecchino di legno e mangiati passeggiando. In altre occasioni, come nei festival primaverili, i giapponesi degustano il dango (団子) palline di riso glutinoso condite con salsa di soia o marmellata di fagioli rossi. Da questa abitudine nasce il detto “Hana yori dango” (花より団子): è meglio ricevere come regalo dei dango piuttosto che dei fiori.

Cibo da matsuri dango

photo credits: sakura.co

Quando presto andrete in Giappone, il mio consiglio è quello di godere della bellezza e del clima dei matsuri. Il calendario delle festività giapponesi è molto fitto ed è probabile imbattersi in uno di questi eventi anche durante brevi periodi di soggiorno. Il divertimento, anche per i palati più esigenti, è assicurato. Il Giappone più autentico vi aspetta!

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Kanto Vs Kansai: Food Edition

Come in Italia, anche in Giappone esistono le rivalità fra i vari paesi e regioni, oggi vi parliamo di quella più famosa: Kanto vs Kansai.
Queste infatti sono due delle maggiori regioni del Sol Levante, corrisponderebbe al nostro nord e sud italia per intenderci. Proprio come qui da noi, ci sono delle “simpatiche rivalità” interne perché alla fine tutto il mondo è paese. Questo rapporto antagonistico non si limita solo ai vari accenti, architettura e cultura, ma sfocia anche nei vari cibi.

Sappiamo già che il Giappone, proprio come l’Italia, è un paese con una profonda cultura culinaria. A questo proposito, le due grandi regioni si sfidano a volte anche sulla stessa tipologia di piatti. Andiamo a scoprire quali!

Kanto vs Kansai: Il Brodo

Kanto vs Kansai soba Kanto vs Kansai udon

Photo credits: nytimes.com ; japancentre.com

Se dovessimo mangiare i famosi noodles nella regione di Kanto avremo molte più possibilità di trovare un brodo molto scuro. È una combinazione di katsuo-dashi (brodo fatto con scaglie di pesce bonito) e koikuchi (salsa di soia scura).
Al contrario, nel Kansai il brodo è più leggero e chiaro. Un liquido quasi dorato fatto con kombu-dashi (brodo a base di alghe) e utsukuchi (salsa di soia leggera).

Tuttavia, questa differenza non ha solo un fondamento estetico ma anche culinario. Infatti, il brodo scuro si sposa meglio con gli spaghetti soba, popolari nella regione di Kanto. Al contrario invece, quello chiaro del Kansai è perfetto per gli Udon, comuni in questa regione.

Tempura di pesce vs Tempura di verdura

Kanto vs Kansai tempura

Photo credits: wikipedia.org ; nhk.or.jp

Qualsiasi sia la nostra preferita, sempre di tempura si tratta.
Tuttavia, la tempura di Kanto è tradizionalmente fatta con il pesce, in quanto Tokyo si trova proprio su una baia. Fritta in olio di sesamo e servita con salsa dashi e salsa di soia scura, questa tempura è tipica della regione orientale del Giappone.
Se ci spostiamo a ovest invece, la tempura è tradizionalmente fatta con verdura cotto in olio vegetale. Spesso nel Kansai viene anche servita solo con il sale, proprio per non andare a coprire i sapori delicati delle verdure.

Voi quale preferite?

Onigiri triangolari vs Onigiri rotondi

Kanto vs Kansai onigiri

Photo credits: japancentre.com ;

Arriviamo agli Onigiri, una delle pietanze più conosciuti del Giappone. Le troviamo preparate in tutti i modi e spesso sono disponibili nei kombini che offrono diverse scelte. Ma lo snack preferito dai giapponesi in passato cambiava forma a seconda delle regioni.
Infatti, nella regione di Kanto la tipica forma era triangolare (lo è tuttora). Si dice che questa forma derivi dal fatto che per i Samurai fosse più facile trasportarlo.
Nel Kansai invece, dove l’attività feudale era inferiore, si optò per una forma più rotonda. Qui infatti andare a teatro era l’attività preferita del popolo che, nei bento, portava proprio questi onigiri rotondi.

Sushi: Nigiri vs versione quadrata

Kanto vs Kansai sushi Kanto vs Kansai

Photo credits: Flickr ; techprincess.it

Eccoci arrivati ad uno dei dibattiti che sicuramente ancora oggi scatena gli animi: Il sushi.
Forse non sapevate che il nigiri sushi è anche chiamato sushi edomae. Il vecchio nome di Tokyo era Edo, e “mae” significa “di fronte”, ora vi spieghiamo a cosa serve questa nozione.

Quando Tokyo divenne la nuova capitale del Giappone, la città cominciò ad ospitare un grosso flusso di lavoratori. Questo portò allo sviluppo dei primi fast food e ai tempi il riso condito con i frutti di mare freschi presi direttamente dalla baia era la soluzione perfetta.

Al contrario, nel Kansai si era solito portare il sushi a casa più che mangiarlo fuori. Tuttavia all’epoca non esistevano frigoriferi. Quindi per conservare meglio la pietanza durante il trasporto, il riso e i condimenti venivano pressati insieme in una scatola. Il sushi in stile Kansai è chiamato oshizushi (sushi pressato).

Kanto vs Kansai: Unagi di pancia o di schiena

Kanto vs Kansai unagi

Photo credits: japantimes.co.jp

Unagi è l’anguilla ed è molto popolare in tutto il Giappone. Tuttavia le due regioni hanno modo diversi di prepararla.

Gli chef del Kansai tagliano l’anguilla lungo lo stomaco, la aprono piatta e la grligliano.
Invece nel Kanto, l’unagi viene tagliata lungo la schiena. Questo succede sempre perchè in passato la regione di Kanto è stata segnata da molte battaglie dell’era feudale. Il taglio lungo lo stomaco ricorda infatti il rito del seppuku, il suicidio rituale praticato dai samurai.

Monjayaki vs Okonomiyaki

Kanto vs Kansai monjayaki Kanto vs Kansai okonomiyaki

Photo credits: gettyimages.iti ; tripadvisor.it

Conosciamo tutti l’ormai famoso okonomiyaki ma forse il suo corrispettivo del Kanto detiene ancora un po’ di mistero. Entrambe sono molto simili in linea di principio, ma queste frittelle di farina e cavolo cotte su una piastra in ghisa hanno piccole differenze.
Il più famoso, l’okonomiyaki del Kansai, ha una forma solita, condita con salsa barbecue in stile giapponese, maionese e scaglie di pesce bonito.
Il suo cugino del Kanto invece, il monjayaki, ha una pastella liquida e quindi rimane molto più morbido.

Tuttavia, entrambe i piatti hanno una cosa in comune: sono perfetti gustati con una birra ghiacciata e in compagnia!

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Approfondimenti: in cucina con lo studio Ghibli, l'okayu della Principessa Mononoke

L’okayu è una sorta di porridge di riso che i giapponesi danno soprattutto ai bambini o a chi è malato, in quanto ritenuto alimento curativo e facile da digerire (per maggiori info sul riso vi invitiamo a leggere il nostro articolo dedicato).

Nel film d’animazione La Principessa Mononoke, il protagonista Ashitaka è prigioniero di una maledizione lanciatagli da un demone. Consultata la sciamana del villaggio, Ashitaka apprende che il maleficio lo porterà alla morte perciò decide di lasciare la terra natale alla ricerca di una possibile cura. Durante il suo viaggio incontra Jiko, un monaco errante che confida al protagonista di essere un Dio della foresta, chiamato in giapponese shishigami.
I due condividono insieme un pasto in mezzo ai resti di un villaggio devastato dagli spiriti e il monaco serve al ragazzo proprio l’okayu.

credits: dubsub.blogspot.com

La ricetta: gli ingredienti

4 Uova
Dado granulare di pollo (basta un cucchiaio)
Pasta di miso (un cucchiaio)
60g di riso
Gambi di coriandolo (da 1 a 3)
1 pizzico di pepe
1 pizzico di cipolla fritta in scaglie

La ricetta: cucinare il piatto

Fate bollire 1 litri d’acqua in una pentola. Nel frattempo preparate una frittata con un uovo e fatela cuocere 2-3 minuti a fiamma alta.  Toglietela dal fuoco e tagliatela a listarelle.

Quando l’acqua bolle aggiungete il dado granulare di pollo, la maizena diluita, 3 uova sbattute e la pasta di soia a pezzetti in modo che si sciolga più facilmente.

In un’altra pentola piena d’acqua bollente fate cuocere il riso per 15 minuti. Una volta pronto scolatelo, versatelo nel brodo e proseguite la cottura a fuoco lento finché non sarà diventato una sorta di porridge.

Versate la zuppa in una scodella. Infine guarnite con le listarelle di frittata e spolverate con coriandolo, pepe, cipolla fritta in scaglie.

Ecco che otterrete così una variante molto gustosa di okayu! Provatela e condividete sui vostri social con @giapponeintalia le vostre varianti! Non vediamo l’ora di vedere cosa avete cucinato!

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Approfondimenti: In cucina con lo studio Ghibli, il bento di Totoro

In Italia sta prendendo sempre più piede la cultura giapponese ed in particolare la sua tradizione culinaria. Ci sono tantissimi blog di cucina giapponese che spuntano sul web e noi non volevamo essere da meno.

Tuttavia, Giappone in Italia cerca sempre di proporre contenuti differenti e vogliamo condividere con voi lettori delle ricette speciali! Da oggi lanciamo una rubrica fissa e vi portiamo in cucina con noi e lo Studio Ghibli. In questo articolo vi parliamo del bento giapponese!

Cos’è il bento?

Il bento spiegato in maniera molto semplice è il pranzo al sacco giapponese. Lo si può comprare al konbini, il convenience store aperto 24 ore su 24, oppure come vuole la tradizione può essere fatto in casa. Il bento è una parte molto importante della cultura culinaria giapponese. Si tratta di un pasto equilibrato composto da una porzione di riso, una di proteine e una di verdura o frutta. Tuttavia una delle caratteristiche fondamentali del piatto è proprio l’estetica. Un bento deve essere tanto buono quanto esteticamente piacevole.

Il bento dello Studio Ghibli

Ne “Il mio vicino Totoro”, Satsuki di dieci anni e sua sorella Mei di quattro vivono a casa da sole con il papà mentre la mamma è in ospedale. In questo film vediamo Satsuki che prepara il bento per un pic-nic. Il suo è il classico esempio di un tipico bento equilibrato e molto carino.

credits: reddit.com

La ricetta: gli ingredienti del bento

Riso: 120g

2 Pesci Shishamo surgelati: sono piccoli pesci argentati originari dell’Hokkaido, l’isola più settentrionale dell’arcipelago giapponese.
Pesci simili a questi si possono trovare nella maggior parte dei supermercati come i pesci sperlano, acciughe o aringhe.

Olio Evo qb

Filetto di orata: 100g

Sake: 0,5 ml, in alternativa si può usare del vino bianco

Zucchero: 2 cucchiai

Sale: 1 cucchiaino

Colorante rosso: 2 gocce. Può essere benissimo sostituito con due cucchiai di passata di pomodoro.

Umeboshi 2: sono le prugne giapponesi in salamoia. Sono super salutari, ottime per la digestione e si dice che combattano anche la stanchezza. Potete farle a casa da sole oppure trovarle online su Kathay (https://www.kathay.it/search?type=product%2Carticle&q=umeboshi*), uno dei nostri negozi convenzionati, ma anche su Amazon!

La ricetta: cucinare il piatto

Fate cuocere il riso coperto (due tazza di acqua per ogni tazza di riso). Scongelate gli shishamo o il pesce che avete scelto in alternativa e fateli rosolare nel fuoco a fuoco medio, 5 min. per lato. Una volta pronti stenderli su una carta assorbente perché rilascino l’olio in eccesso.

In un’altra pentola fate bollire l’acqua e immergete i filetti di orata. Quando iniziano a sfaldarsi, scolateli e metteteli in un piatto.

Fate saltare l’orata in una padella a fuoco medio, aggiungendo il sakè, lo zucchero e il sale. Spargete bene quest’ultimo. Mescolate tutto finchè il liquido non sarà evaporato.

Aggiungete all’orata il colorante rosso (o pomodoro) e un po’ d’acqua per ottenere la tonalità desiderata, e ripassate a fuoco dolce. Mescolate.

Versate il riso cotto sul fondo del bento aggiungendo 1 shishamo e 1 umeboshi per porzione. Sistemate l’orata sbriciolata in modo tale che occupi lo spazio di un rettangolo. Posizionate poi i fagioli edamame nel rettangolo opposto.

Et voilà il bento è pronto! Se provate a fare questa ricetta, condividetela sui social taggando @giapponeinitalia, siamo curiosi di vedere ciò che avete preparato!

credits: sylviawakana.com

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Approfondimenti: La storia del riso in Giappone, molto più di un semplice alimento

Il riso e le sue origini

Il riso in Giappone ricopre un’importanza fondamentale in quanto alimento base ma vi siete mai chiesti quale sia la sua vera origine? Il riso è stato introdotto per la prima volta in Giappone verso la fine del periodo Jōmon, intorno al 300 a.c. L’origine esatta del riso è ancora incerta ma la maggior parte degli studiosi è d’accordo sul fatto che provenga dalla Cina. Ci sono diverse teorie circa il percorso che il riso abbia compiuto per arrivare in Giappone. Potrebbe aver viaggiato dalla Cina settentrionale fino alla Corea per poi raggiungere il Giappone via mare. Secondo un’altra teoria sarebbe arrivato sulle coste giapponesi sempre via mare dal delta del Fiume Azzurro Yangzi per poi passare dalla Corea. Un’altra teoria ancora sostiene che sarebbe arrivato via mare dal delta dello Yangzi fino alla regione del Kyūshū. Qualunque sia stato il percorso, non vi è dubbio comunque che il riso sia arrivato in Giappone dal continente attraverso il Mar Cinese Orientale.

Le varietà del riso e i suoi diversi utilizzi

Oggi il riso è un alimento onnipresente sulla tavola giapponese e viene elaborato in infinite varianti. Il riso bianco, detto shirogohan 白ご飯, è quello che accompagna i tre pasti principali. Il kamameshi 釜飯 invece, letteralmente “riso bollente”, consiste in un piatto di riso insaporito da carne, pesce e piatti vegetali. Un’altra variante è l’okayu お 粥 e consiste in una sorta di porridge giapponese. Si tratta di una minestra semplice e digeribile a cui si ricorre se si è leggermente indisposti di stomaco. Sono inoltre moltissimi i prodotti nazionali lavorati con il riso. Ad esempio il famoso mochi 餅 non è nient’altro che un dolcetto preparato dal riso glutinoso, tritato e pestato per ottenere una pasta bianca morbida e appiccicosa che viene poi modellata in forme sferiche o rettangolari. Il sakè 酒, famosissima bevanda alcolica nazionale, è ottenuto da un processo di fermentazione che coinvolge il riso. Proprio per questo il sakè viene anche detto “vino di riso”. Ancora, i senbei 煎餅, sono i famosi cracker di riso molto amati anche fuori dal Giappone.

riso bianco

credits: newsweekjapan.jp

Tuttavia il riso non costituisce solo un alimento importante per la cucina giapponese. L’intera pianta del riso viene infatti utilizzata in diverse modalità. È il caso ad esempio dell’architettura tradizionale giapponese i cui elementi non sono altro che prodotti naturali composti da paglia di riso. Una volta che i grani vengono rimossi, la paglia viene utilizzata per rivestire i tetti tradizionali delle case giapponesi. Ma non solo! Se tessuta la ritroviamo nella pavimentazione a tatami 畳.

 

paglia di riso

credits: livejapan.com

Il riso nell’arte e nel teatro giapponese

L’importanza del riso per il popolo giapponese si riflette anche nella letteratura e nell’arte. La coltivazione del riso è uno dei tanti temi affrontati dalle poesie di Matsuo Bashō, uno dei più grandi maestri di haiku in Giappone. Inoltre, è notoriamente raffigurata anche nelle famose stampe artistiche giapponesi ukiyo-e 浮世絵 da artisti come Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige. I paesaggi agrari delle risaie sono infatti un motivo comune che simboleggia l’identità giapponese incentrata sul riso.

Ukiyoe riso

credits: ukiyo-e.org

 

Questo alimento ha influenzato profondamente le arti dello spettacolo tradizionale in Giappone. Come ci spiega il Prof. Bonaventura Ruperti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia nel suo libro “Storia del teatro giapponese dalle origini all’Ottocento”, la nascita delle prime forme autoctone di spettacolo la si attribuisce ai canti e le musiche che accompagnavano la coltura del riso: il tamai 田舞e taasobi 田遊び. I primi consistono in “danze delle risaie” che con flauto e tamburo accompagnavano il trapianto del riso allo scopo di ingraziarsi la divinità per suscitarne le energie e favorire la prosperità del raccolto. I secondi sono “intrattenimenti delle risaie” ossia performances eseguite a capodanno da personaggi mascherati che ripercorrevano i gesti del ciclo agricolo.  Lo scopo era quello di auspicarne l’abbondanza attirando l’energia vitale della divinità.

Le feste tradizionali giapponesi

Non sorprende che il riso sia presente in tantissime celebrazioni tradizionali che scandiscono la vita di un giapponese. Ad esempio l’okuizome お食い初め è una tradizione risalente all’VIII secolo che si celebra intorno al 100° giorno di vita del bambino in quanto segna un momento importante nella sua vita: il primo pasto diverso dal latte. In realtà, l’atto del mangiare è solo simbolico: il cibo infatti viene semplicemente avvicinato alle sue labbra nel gesto di imboccarlo con le bacchette. Questa cerimonia costituisce un rito di passaggio per augurare salute e abbondanza al bambino. Il pasto prevede cibi che hanno un grande valore simbolico e ben augurante tra cui il riso insieme a pesce e verdure. Lo svezzamento vero e proprio si ha intorno ai 5 mesi con la prima pappa costituita proprio dall’okayu, il porridge che abbiamo menzionato in precedenza.

Man mano che il bambino cresce ci sono diverse festività che ne celebrano la crescita e i cibi contenenti il riso sono sempre al centro di esse. Ad esempio durante la ricorrenza dell’Hina-matsuri 雛祭り, nota anche con il nome di “Festa delle bambine”, i familiari delle bambine pregano affinché vengano loro date bellezza e salute. La bevanda tradizionale di questa festività è l’amazake 甘酒, una versione analcolica del sakè. Insieme all’amazake 甘酒 si mangiano gli arare あられ, dei salatini di riso, spesso conditi con della salsa di soia. Sempre per l’occasione si prepara un dolce detto hishimochi 菱餅, costituito da tre strati di riso: verde, simbolo della terra, bianco, simbolo della neve e rosa, simbolo dei fiori di pesco. Insieme, questi tre strati indicano la primavera, quando la neve si scioglie, l’erba cresce e germogliano i fiori di pesco.

hishimochi di riso

credits: hoikushibank.com

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News & Curiosità dal Giappone: Ramen o Pasta? Feumen!

Ramen o pasta stasera? Se non riesci a decidere allora il nuovo ristorante Feumen, situato nel quartiere di Aoyama a Tokyo, potrebbe avere la soluzione per te! Nato dalla collaborazione di due rinomati chef giapponesi, Ayumi Sato e Hiroto Sato, è un ristorante molto particolare. I noodles che vengono offerti, come dice lo stesso slogan in giapponese rāmen demo nai, pasuta demo nai ラーメンでもない、パスタでもない, non sono nè pasta nè ramen!

I noodles Feumen

I noodles Feumen sono di medio spessore, di colore giallo, preparati con una farina di grano reperibile in Hokkaidō e nel Kyūshū. Questa è la chiave per renderli né troppo morbidi né troppo duri. Vengono serviti freddi con sopra una calda salsa di gamberi molto piccante e con un mix di spezie. A queste si possono aggiungere tanti altri condimenti. Quello più popolare al momento è il condimento onsen tamago 温泉卵. Si tratta di un uovo tradizionale giapponese cotto lentamente nelle acque calde dell’onsen ovvero le “terme giapponesi”. L’uovo viene poi combinato con del formaggio in polvere per dare quel tocco di gusto in più ispirato all’italianità.

 

 

Feumen

credits: gnavi.co.jp

L’interno del ristorante: fra arte e sicurezza

 

L’interno del ristorante offre al cliente un mix di paesaggi naturali e artistici con un bancone centrale che ricorda l’albero creato dal paesaggista di fama mondiale Seijun Nishihata, circondato da diverse opere di Nana Soeda, giovane pittrice emergente. Il locale è dotato anche di una terrazza per godersi i noodles in una calda giornata di sole.

Interno Ristorante Feumen

credits: prtimes.jp

Infine un’altra particolarità è che sia l’ordinazione che il pagamento avvengono online. Basta infatti scansionare all’ingresso il codice QR e registrare la carta di credito sul sito web per visionare il menù. Con un semplice tocco si può ordinare e pagare il proprio pasto in perfetta sicurezza!

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Piza toast

piza toast

Il piza toast è Shokupan (un pane giapponese a casetta) tostato mettendo la salsa di pomodoro e ingredienti semplici sul pane come sulla pizza. Il piatto è ispirato alla pizza in stile americano ed è nato in Giappone. È nato come sostituito della pizza, ed è diventato un piatto standard dei Kissaten (caffetterie giapponesi). In Giappone è un piatto popolare per la colazione e gli spuntini perché è una ricetta che si può preparare facilmente, anche in casa. In giapponese pizza si pronuncia “piza”, ma la pizza e il piza toast sono due piatti differenti, per questo si sta utilizzando il nome “piza toast”.

 

La storia della nascita del piza toast

Il piza toast è nato nella storica Kissaten (caffetteria) “Kōhīkan Benishika”, fondata nel 1957, che ancora oggi sembra nostalgicamente una caffetteria tipica del periodo Showa. Intorno al 1964, quando la pizza era ancora un piatto caro, le caffetterie avevano nel menù solo caffè, tè, tramezzini e torte. Il marito e la moglie proprietari del “Kōhīkan Benishika” desideravano ampliare il menu, che aveva solo tramezzini e toast al burro, dunque hanno ideato un toast economico che ricordava la pizza, piatto invece più caro ma che piaceva molto. L’idea geniale era di usare il normale Shokupan che cucinavano in caffetteria al posto dell’impasto della pizza che andava preparato apposta. Hanno immaginato un pane con formaggio sciolto e perciò, dopo tentativi ed errori, sono finalmente arrivati ad una ricetta con forma e gusto come li avevano immaginati. All’inizio alcune persone criticarono la ricetta perchè “Non è una pizza!” ma, nel frattempo, il numero dei fan è gradualmente aumentato e la ricetta è famosa ancora oggi dopo più di 50 anni.

 

Gli ingredienti 

Gli ingredienti da mettere sullo Shokupan variano a seconda del gusto delle persone, come in una vera pizza. In genere su una salsa di pomodoro vengono messi carne, come salame e prosciutto, verdure, come mais, peperoni a fette, cipolle a fette e funghi, e formaggi. Il vantaggio del piza toast è che è facile da realizzare e si può anche improvvisare utilizzando gli ingredienti che si trovano nel frigorifero di casa. Si può anche sostituire la salsa di pomodoro con il ketchup. Inoltre i piza toast vengono spesso venduti nei supermercati già confezionati e pronti, bisogna solo scaldarli in forno. Il piza toast può essere fatto facilmente anche in Italia ma, se andate in Giappone, provatelo in una Kissaten!

 

Fonti :

https://camelia.co.jp/magazine/book/294

https://news.nissyoku.co.jp/restaurant/tanakak20091207021013650