La percezione dello spazio nella visione degli artisti giapponesi contemporanei

Perché è così importante pensare agli spazi che ci circondano? Essi sono ciò in cui viviamo e a contatto con cui trascorriamo il nostro quotidiano, mettono in forma certe esigenze e bisogni, ma rappresentano anche contesti culturali, storici, economici, sociali differenti.

In un periodo come quello che stiamo vivendo è inevitabile soffermarsi spesso a pensare allo spazio in cui ci troviamo: spazio chiuso di una casa, di un ufficio, di un supermercato, o spazio aperto di una strada, un parco, una piazza. Il covid-19 rappresenta un insolito nella nostra quotidianità, tanto da ribaltare completamente la percezione di ciò che abbiamo intorno: ecco infatti che le distanze si dilatano, vengono prediletti gli spazi aperti a quelli chiusi, quelli solitari a quelli affollati.

In questi tempi, dunque, dove il mondo in cui viviamo assume una fisionomia differente dal solito, vorrei portare il lettore alla scoperta di alcuni modi di percepire lo spazio in opere di artisti giapponesi contemporanei. Sarà inoltre interessante notare come, in maniera inconsapevole, alcune delle caratteristiche di queste visioni ben si adattino al difficile momento che stiamo vivendo.

Innanzitutto, è bene iniziare da alcune caratteristiche più generali. Per esempio, è da considerare come in Giappone molto spesso i luoghi vengano percepiti in maniera relazionale: quasi nessuna costruzione si estrania dal resto, ma anzi lo spazio viene percepito fondamentalmente come fluido e connesso. Se tutto ciò può sembrare veramente molto astratto, vi invito allora a portare la mente a un santuario shintoista: a chi ha mai visto video in merito o visitato il Giappone sarà probabilmente parso di notare come camminando per le strade delle città si possano spesso incontrare torii di santuari. Il torii del santuario shintoista è un elemento che viene inserito in diversi contesti, anche non prettamente religiosi, per segnalare l’avvicinamento a uno spazio sacro. È una struttura aperta, che non pone un limite netto tra i luoghi. Sensazioni simili sono percepibili in tutta la stessa città giapponese, dove il limite tra case e strade è più labile di ciò a cui siamo abituati, e anche nelle sue abitazioni tradizionali, in cui l’interno si relaziona in modo continuo con gli esterni attraverso i fusuma, gli shoji e altri elementi architettonici che promuovono la continuità.

La relazione di un luogo con ciò che lo circonda non è quasi mai trascurata nella strutturazione degli spazi in Giappone. Il rapporto con la natura è qualcosa di profondamente radicato nella cultura, e trae le sue radici dal culto autoctono, dallo zen e non solo. Questa relazione è talmente presente sin dai tempi più antichi che gli studiosi pensano che il riferimento alla natura sia divenuto, in ambito artistico, una sorta di corrispondente all’ideale della bellezza in occidente. Questo rapporto emerge allora nei modi dell’arte, ma anche nell’abitare, nello strutturare i luoghi. Shizen significa natura, il darsi spontaneo delle cose, ed è in questa esperienza che i giapponesi nella tradizione colgono la bellezza: trovata e scoperta più che creata. La natura e le cose del mondo già possiedono una loro particolare bellezza, nostro compito è quello di scovarla anche negli angoli più insospettabili, renderle giustizia, valorizzarla.

Un’esperienza interessante viene individuata dall’architetto Arata Isozaki nei suoi studi, e in particolare nel saggio Japan-ness in Architecture: kehai o kaiwai. Questo tipo di concezione è utile probabilmente a riassumere molte delle caratteristiche che lo spazio ha in oriente: kehai è uno spazio delimitato in modo vago, non necessariamente legato a ciò che è materiale, ma piuttosto composto da entità variabili, visibili ma anche invisibili. Lo spazio non solo è legato agli edifici e oggetti che lo compongono, ma piuttosto si caratterizza per tutti quegli elementi che magari non riusciamo a vedere, ma percepiamo con i nostri sensi: in questo modo i luoghi vengono pensati come fluidi, si sovrappongono l’uno con l’altro, sono legati agli eventi e alle situazioni. Per comprendere tutto ciò nel concreto, basta ancora una volta pensare alle città giapponesi: persino camminando tra i negozi è a volte possibile scorgere dei piccoli santuari o templi, e in quel momento comprendiamo che lo spazio in cui ci troviamo è connesso, fluido, in divenire, ci fornisce differenti stimoli di natura diversa.

 

 

Invito dunque chi legge a seguire questo piccolo percorso tra differenti opere di artisti giapponesi, che attraverso architetture e installazioni ci porteranno a scoprire modi diversi di vivere e percepire lo spazio di ogni giorno.

 

Fonti:

A. Isozaki, Japan-ness in architecture

 

a cura di Susanna Legnani