"Ikigai: una fusione di costumi sardi e kimono"
Un ponte tra Sardegna e Giappone, uniti dalla moda e dall’arte della calligrafia. Questa l’ultima idea dello stilista quarantunenne cagliaritano Filippo Grandulli, da cui è nata la sua ultima collezione, in collaborazione con l’artista giapponese Tontoku Amagai, conosciuta in tutto il mondo. L’ha chiamata Ikigai, la sua ultima collezione, una parola nipponica che vuol dire un concetto: «La ragione di esistere, quell’impulso che ci spinge a trovare la bellezza e la realizzazione nella quotidianità», racconta entusiasta.
Gli abiti, applauditissimi all’ultima Fashion Week di Parigi, uniscono i costumi sardi con i kimono, cambiando, destrutturando: «La collaborazione con Tontoku Amagai è nata grazie ai social. Ho visto il suo profilo, con gradi tocchi di pennello crea magie».
Dopo il successo della sua precedente collaborazione con il fotografo giapponese SAI, che ha visto i suoi scatti di una Tokyo notturna e post pioggia trasformarsi in stampe su seta, Grandulli continua così ad approfondire il legame con il Sol Levante.
Con gli ideogrammi giapponesi Tontoku Amagai ha scritto concetti profondi e che arrivano a tutti: “amore”, “forza”, “benedizione”, “buon auspicio”, e tanti altri. «Vado in Giappone una volta l’anno, per me è una boccata d’aria, lì ho sempre trovato spirito di collaborazione ed entusiasmo. È una terra dove il bello si rivela nell’inaspettato, come un tempio dentro un grattacielo. Mi ha colpito il rispetto degli altri, un valore che sento in comune tra noi. C’è un legame speciale tra Sardegna e Giappone, siamo anche due blue zone, cioè due luoghi importanti per la longevità, con centenari da record».
Le foto degli abiti sono veri ritratti, opere di Daniele Coppi, curatore dell’immagine del marchio di Grandulli, e suo compagno di vita. Tontoku Amagai tiene mostre a New York e Madrid, e questa volta ha creato tre opere inedite, trasformate in stampe su tessuti. Anche i materiali non sono lasciati al caso: «Abbiamo scelto un tessuto leggerissimo, trattato con un effetto stropicciato, che ricorda davvero la carta alla vista e al tatt».
Gli abiti, spiega Grandulli, «reinterpretano alcuni volumi della tradizione sarda, l’abbondanza della gonna, la geometria della camicia, e li fondono con l’armonia minimalista giapponese».
Lui ha scelto una carriera in Sardegna, ormai da diversi anni. «Qui sento di poter dedicarmi con più calma e dedizione ai lavori che amo fare, la Sardegna regala tempo. Volevo fare lo stilista fin da bambino, sognavo abiti guardando un pezzo di stoffa». Ora la sua nuova collezione girerà il mondo mentre lui punta al prossimo obiettivo: «Incontrerò Tontoku presto in Giappone, e creeremo ancora insieme».
Il giapponese è davvero così difficile?
Avete mai considerato di apprendere la lingua giapponese?
Se sì e non vi siete ancora immersi in questo mondo fantastico, quasi sicuramente è perché vi siete sentiti scoraggiati dal pensiero comune che inquadra la lingua giapponese come estremamente complessa e inarrivabile. Dopo aver speso cinque e passa anni nello studio e aver acquisito due lauree (triennale e magistrale) posso finalmente affermare quello che fino ad ora ho sempre e solo ritenuto una mia opinione impopolare: il giapponese non è così difficile come si pensa! Questa, infatti, è sempre stata la mia risposta quando qualcuno, una volta scoperto il mio ambito di studi, mi chiedeva se fosse difficile imparare questa lingua.
Ovviamente non mi aspetto che mi crediate sulla parola, perciò andrò a proporvi qui sotto degli aspetti di questa meravigliosa lingua che sostengono la mia opinione. Siete pronti a lasciarvi convincere?
- I tempi verbali
Quante volte studiando un’altra lingua europea o anche solo l’inglese a scuola vi siete chiesti quanti altri tempi verbali o quante altre coniugazioni irregolari esistessero? Sono abbastanza sicura che la risposta sia: “un numero infinito di volte”. Ebbene, in giapponese questo problema non sussiste!
Innanzitutto il giapponese dispone unicamente di due tempi verbali…si avete capito bene, solo 2! Il primo è il passato, e il secondo lo possiamo chiamare non passato dal momento che è una forma che include sia il presente che il futuro. Inoltre, la forma del verbo non varia a seconda della persona ( “io”, “tu”, “egli”, “noi”, “voi”, “essi” ), in altre parole è quasi come se si parlasse sempre all'infinito. Vediamo un esempio per capire meglio:
Non passato | Passato | |
食べる | 食べます | 食べました |
Taberu | Tabemasu | Tabemashita |
Mangiare | Mangio/mangerò | Ho mangiato |
Quella che vedete nella tabella qui sopra è la coniugazione del verbo 食べる (taberu) che significa “mangiare”. Alle coniugazioni nella tabella si aggiungono ovviamente le versioni negative e la variazione in base al grado di formalità con cui ci si deve rivolgere all’interlocutore, ma, comprendendo anche quelle, il numero di coniugazioni rimane comunque infinitamente inferiore rispetto a quelle di una lingua come l’italiano.
Ma non è finita qui! Abbiamo accennato ai verbi irregolari, giusto? In giapponese anche di quelli non c’è da preoccuparsi più di tanto, perché solamente i verbi “fare” e “venire” sono irregolari e quindi gli unici di cui è necessario memorizzare le coniugazioni.
- Prestiti linguistici e parole straniere
Guardando anime o film in lingua originale sottotitolati, avete mai notato parole che hanno un suono in qualche modo familiare, come per esempio カメラ kamera, タバコ tabako o アメリカ amerika? Se sì, complimenti! Vuol dire che hai già appreso qualche parola in giapponese! Queste parole vengono chiamate 外来語 gairaigo (lett. parole di derivazione straniera), oppure più semplicemente カタカナ語 katakanago, dal momento che vengono scritte con l’omonimo sistema di scrittura squadrato: il katakana. In giapponese esistono moltissime parole che derivano dall’inglese o da altre lingue europee, proprio come quelle che abbiamo citato all’inizio del paragrafo, perciò per chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’inglese o di altre lingue come il portoghese, il tedesco o il francese sono sicura che sia un gioco da ragazzi memorizzare questo tipo di vocaboli! Ma per dare un’idea più concreta andiamo a vedere assieme la tabella qui sotto, dove sono riportati alcuni termini in katakana affiancati alla parola originale nella lingua da cui sono stati presi e alla traduzione in italiano.
Giapponese | Lingua d’origine | Italiano |
カメラ kamera | Camera (inglese) | Fotocamera/macchina fotografica |
タバコ tabako | Tabaco (portoghese) | Sigarette |
バス basu | Bus (inglese) | Autobus |
ドイツ doitsu | Deutsch (tedesco) | Germania |
ピザ piza | Pizza (italiano) | Pizza |
Come potete notare, anche se non sono completamente uguali alla parola italiana corrispondente, sono tutti termini in qualche modo comprensibili o facilmente intuibili.
- Assenza di genere e di numero
In italiano, come voi tutti sapete, i sostantivi hanno un genere e variano in base al numero. Questo vuol dire che il sostantivo “sedia” per esempio è femminile e di conseguenza richiede l’articolo femminile adeguato “la” al posto che “il”. Inoltre se diciamo “sedia” intendiamo “una sedia”, il sostantivo è nella forma singolare, mentre la forma plurale è “sedie”. Ecco tutto questo in giapponese non succede. Le parole non sono né femminili né maschili e di conseguenza non hanno bisogno di un articolo che rispecchia questo aspetto. Inoltre, non esistono forme diverse per lo stesso sostantivo, che indicano se la forma è singolare o plurale. In altre parole いす isu, può essere tradotto sia come “sedia” che come “sedie”, tutto si basa sul contesto in cui è detta la frase. Facciamo un esempio:
Hai invitato cinque amici a casa tua e noti che al tavolo ci sono solo quattro sedie, così dici ad uno dei tuoi amici:
椅子持ってきてくれますか。
Isu mottekite kuremasuka?
In questo caso possiamo tradurre la frase con: “Potresti portarmi la sedia?”. Ma nel caso in cui al tavolo non ci siano le sedie, dicendo la stessa frase si può intendere “Potresti portarmi le sedie?”.
Questo aspetto della lingua è indice di una struttura grammaticale più semplice.
- Pronuncia
A mio parere il fatto di essere italiani, o meglio, il fatto di saper parlare l’italiano, risulta sicuramente come un vantaggio per quanto riguarda la pronuncia della lingua giapponese. Infatti in giapponese non esistono suoni che l’italiano non abbia già, fatta eccezione per l’”h aspirata”. Inoltre, le vocali si pronunciano esattamente come in italiano e non variano di pronuncia pur restando scritte allo stesso modo, come per esempio succede in inglese. Un altro punto in comune è che anche in giapponese esistono le doppie e che si pronunciano esattamente come in italiano. L’unica differenza degna di nota sono gli allungamenti delle vocali, che esistono anche nella nostra lingua, ma non giocano un ruolo così importante come in giapponese. Infatti la differenza tra la parola おばさん obasan “zia” e la parola おばあさん obaasan “nonna”, per esempio, è solamente l’allungamento di una vocale! Tutto sommato però, possiamo dire che la pronuncia giapponese sia regolare e simile ai suoni già presenti nell’italiano.
Questi sono i motivi sulla cui base affermo che il giapponese non è così difficile come si pensa. Prima di lasciarci, tuttavia, vorrei fare un piccolo disclaimer. Con quello che ho scritto in questo articolo, non intendo dire che imparare il giapponese sia una passeggiata. Ovviamente anche il giapponese, come qualsiasi altra lingua straniera, ha i suoi aspetti un po’ più ostici. Quello che però volevo trasmettere a tutti voi è che quegli aspetti vengono bilanciati da altri aspetti positivi, come quelli che abbiamo visto in questo articolo.
Bene, detto questo, spero di avervi convinto e di rivedervi nel blog di settimana prossima dove andremo a vedere assieme come muovere i primi passi verso la padronanza del giapponese.
Testo originale scritto da @redhead.studies
Anime Cult Speciale sulle Locandine degli Anime
L'articolo è tratto dal sito corriereNERD
Nel mondo dell’animazione giapponese, l’arte delle locandine ha sempre avuto un ruolo fondamentale nel catturare l’essenza di un film e nel renderlo indimenticabile per i fan. A febbraio 2025, Sprea Edizioni celebra questa tradizione con l’uscita del quinto volume della collana Anime Cult Special, un’edizione che promette di entusiasmare i collezionisti e gli appassionati di anime. Il nuovo volume è interamente dedicato alle “Locandine degli Anime”, raccogliendo quasi 50 locandine originali a grandezza naturale, pronte per essere staccate, incorniciate e conservate.
Questo volume si distingue non solo per la qualità della proposta, ma anche per la varietà e l’importanza delle opere che raccoglie. Tra le locandine, infatti, non mancano i capolavori di Hayao Miyazaki, come Il mio vicino Totoro e La città incantata, che sono diventati veri e propri simboli della cultura popolare giapponese. Accanto a questi, ci sono anche i grandi classici di Leiji Matsumoto, come Capitan Harlock e Galaxy Express 999, che hanno segnato un’epoca e influenzato generazioni di appassionati.
Ma cosa rende questo volume così speciale? Innanzitutto, le locandine presenti non sono semplici riproduzioni, ma veri e propri chirashi a grandezza naturale. I chirashi sono dei piccoli poster distribuiti gratuitamente durante le campagne promozionali dei film o agli eventi, e rappresentano una forma unica di arte pubblicitaria. Questi piccoli gioielli, che spesso riproducono l’immagine del poster del film sul lato anteriore e contengono informazioni varie sul retro, sono una parte fondamentale della cultura giapponese. La loro dimensione ridotta e il loro carattere effimero li hanno resi oggetti da collezione molto ricercati, e il volume di Sprea Edizioni offre ai lettori l’opportunità di ammirarli nella loro forma originale, a grandezza naturale.
La scelta di celebrare le locandine di anime non è casuale: queste opere d’arte hanno avuto un impatto significativo nel definire l’immaginario collettivo legato agli anime. Ogni locandina racconta una storia visiva che, pur nella sua immediatezza, racchiude tutta la magia, l’emozione e la potenza visiva che caratterizzano i film d’animazione giapponesi. Non è solo un oggetto da appendere alla parete, ma una finestra su un mondo ricco di emozioni e di estetica senza tempo.
Questa edizione speciale è disponibile sia in formato cartaceo che digitale, offrendo così a tutti gli appassionati, ovunque si trovino, la possibilità di collezionare e apprezzare queste straordinarie locandine. Con il volume che arriva a febbraio 2025, Anime Cult Speciale: Locandine degli Anime si prepara a diventare un must per ogni amante dell’animazione giapponese e per chiunque voglia approfondire la propria passione per l’arte che ha fatto la storia di tanti titoli leggendari.
In definitiva, il quinto volume di Anime Cult Speciale non solo celebra l’arte delle locandine giapponesi, ma porta con sé un pezzo di storia che ogni vero fan non vorrà lasciarsi sfuggire. Con la possibilità di staccare, incorniciare e conservare queste magnifiche opere, questo volume si propone come un tributo all’iconicità che ha reso immortali i titoli anime che amiamo. Non resta che aspettare l’uscita e prepararsi a rivivere la magia delle locandine degli anime!
È arrivato il nuovo numero di Pagine Zen!
È uscito il nuovo numero di PAGINE ZEN, ricco come sempre di approfondimenti e curiosità!
Pagine Zen nasce nel 2001 ed è stato pubblicato fino ad oggi in modo continuativo, per 135 numeri.
Ogni nuovo numero viene spedito a vari Dojo e ad Associazioni di cultura asiatica, Università del territorio italiano e viene anche distribuito in vari matsuri e feste giapponesi.
Ecco quali saranno gli argomenti che PAGINE ZEN andrà ad approfondire nel numero 135:
-L’ultimo shōgun
Tokugawa Yoshinobu
Maria Teresa Orsi
Con approfondimento al link: Approfondimento
-Shimenawa
Sacri intrecci tra noi e le Divinità
Matteo Rizzi
Con approfondimento al link: Approfondimento
-裂古破今 Strappare il passato
Giapponese: Rekko hakon - Cinese: Liè gǔ pò jīn
Calligrafia di Bruno Riva - shodo.it
-I fondamenti del Buddhismo
o del tentativo di chiarirne i punti nevralgici
Lorenzo Lombardo
Con approfondimento al link: Approfondimento
-I surimono di Hokusai
Alcuni esempi dalla mostra a Palazzo Blu di Pisa
Eleonora Lanza
Con approfondimento al link: Approfondimento
-Il culto dei sacri monti in Cina
Fabio Smolari
www.daoyin.it - www.facebook.com/daoyinitalia - www.instagram.com/daoyinitalia/
Con approfondimento al link: Approfondimento
-Il Drago Cinese
al Museo d’Arte Orientale di Venezia
Francesca Capretti
Con approfondimento al link: Approfondimento
-La trasmissione del sapere nelle Arti Marziali del Giappone
Christian Russo
shinobido.it/ - tinyurl.com/christianrussobooks
Con approfondimento al link: Approfondimento
-Corea
Folklore, miti e leggende
Jinelle Vitaliano
Con approfondimento al link: Approfondimento
Per accedere a tutti gli 8 approfondimenti e a "Leggi online Pagine Zen" il link è: https://temizen.zenworld.eu/
San Valentino in Giappone e il White Day!
Come in tutto il resto del mondo, in Giappone il 14 febbraio si festeggia il giorno di San Valentino バレンタインデー. Nel paese del Sol Levante però la ricorrenza ha preso un valore un po’ diverso dalla nostra, oltre ad avere varie usanze peculiari.
Bisogna innanzitutto comprendere che il Giappone, non essendo un paese particolarmente influenzato dal Cristianesimo, si cominciò a festeggiare il giorno di San Valentino solamente durante il secolo scorso.
Mentre qui è considerata un’occasione per gli innamorati di passare una giornata romantica insieme ed eventualmente scambiarsi reciprocamente dei regali, in Giappone di solito, durante questa giornata, è solamente la ragazza a regalare qualcosa al proprio amato, quasi sempre dei cioccolatini, acquistati o confezionati da lei stessa.
Il modo in cui la pratica di regalare cioccolato si sia sviluppata in Giappone non è, in realtà, ben chiaro: ci sono varie teorie al riguardo, tra cui, per esempio, che è si è diffusa grazie a Kunio Hara della Mary Chocolate Company, agenzia dolciaria di Tokyo, che si inventò la frase “Una volta l’anno, San Valentino è il giorno in cui le donne possono confessare il proprio amore con il cioccolato”. Questa frase si rivelò successivamente un’interpretazione sbagliata di una lettera che Kunio ricevette da un collaboratore stanziato a Parigi in cui il suo Socio parlava di come la festività venisse festeggiata in Occidente. Kunio, leggendo la lettera, si rese conto che, portando questa tradizione anche in Giappone, avrebbe potuto vendere più cioccolato, non realizzando però che in realtà aveva compreso male la lettera ricevuta e le usanze occidentali.
Altre fonti invece sostengono che questa pratica sia dovuta al movimento di liberazione delle donne, oppure semplicemente sia cominciata per imitare gli stranieri e promuovere le vendite dolciarie.
La teoria più popolare però è sicuramente quella legata alla Morozoff Confectionery, pasticceria di lusso di Kobe, che già nel 1936 aveva pubblicato un annuncio sul giornale con lo slogan “Invia cioccolato al tuo Valentino [la persona amata]”, e questa è la prima testimonianza in assoluto in Giappone della celebrazione della giornata. Il giornale su cui questo è stato pubblicato, il “The Japan Advertiser”, era però in inglese, e quindi era indirizzato solamente agli stranieri residenti nel paese del Sol Levante che erano già familiari con la pratica. Nonostante ciò, si pensa comunque che questo sia stato il primo tassello per la diffusione della celebrazione della festività. La piazza davanti alla stazione di Mikage, la più vicina alla vecchia sede principale della pasticceria, oggi si chiama “Piazza di San Valentino”. Inoltre, nel 1992 la città di Terni, luogo del martirio del santo, ha dato in dono alla città di Kobe la “Statua dell’Amore”, come riconoscimento del luogo di nascita della celebrazione di San Valentino in Giappone.
Oggigiorno in realtà, però, le donne che regalano il cioccolato non lo fanno solo al proprio amato o spasimante, ma anche ai propri amici, ai propri cari e persino ai colleghi.
Esistono quindi varie “categorie” di cioccolato: il Giri-choko 義理チョコ, “cioccolato dell’obbligo”, generalmente cioccolatini a basso prezzo e qualità, che vengono regalati a colleghi di lavoro, compagni di classe e conoscenti. La società giapponese è collettivista, e questo fa sentire le persone in obbligo di conformarsi il più possibile, e ciò si riflette anche in questa pratica, che fa sentire le donne in dovere di spendere tempo e denaro per fare questi regali. Negli ultimi anni l’usanza del Giri-choko è stata criticata molto e ormai si fa sempre meno.
Poi c’è il Tomo-choko 友チョコ, “cioccolato dell’amico”, cioccolatini regalati agli amici stretti, donati con sentimenti veritieri di affetto.
Il più ambito e conosciuto però è sicuramente il Honmei-choko 本命チョコ, ovvero “cioccolato del prediletto”. Questo è il cioccolato che si regala solamente alla persona che si ama veramente, e si usa sia per esprimere l’amore verso il proprio partner, sia per fare una vera e propria dichiarazione amorosa. Il cioccolato che viene regalato in questa occasione viene spesso preparato minuziosamente e confezionato in casa, oppure comprato in una pasticceria di lusso.
Recentemente, questo “rito” non viene effettuato solo dalle ragazze: pur rimanendo sempre la maggioranza, in generale è un gesto fatto da chiunque voglia esprimere i propri sentimenti nei confronti di un’altra persona.
Ci sono anche altre categorie di cioccolato meno conosciute, come il Jiko-choko 自己チョコ, “cioccolato autonomo”, che si acquista e si consuma da soli, pratica sempre più diffusa dopo il 2010, oppure l’Oshi-choko 推しチョコ, in cui i giovani postano sui social foto di dolci e regali che darebbero al proprio idolo o celebrità preferita se potessero passare la giornata insieme.
In Giappone c’è però un’altra festività legata al giorno di San Valentino, il White Day ホワイトデー.
Avviene il 14 marzo, esattamente un mese dopo la celebrazione precedente. Gli uomini che hanno ricevuto il Honmei choko, se ricambiano i sentimenti della spasimante, per dimostrare il loro affetto dovranno regalarle cibi come il cioccolato bianco, i marshmallows e caramelle, accompagnandoli con accessori bianchi come borse, fiori, creme e biancheria intima: questo perché in Giappone si suol dire che gli uomini dovrebbero regalare qualcosa che valga circa tre volte il prezzo del regalo ricevuto a San Valentino, secondo la regola del sanbai gaeshi (三倍返し, “ritorno triplo”).
Anche questa festa è nata da una campagna pubblicitaria di un’azienda dolciaria, la Ishimura Manseido, che nel 1977 ha invitato gli uomini a comprare i marshmallow, chiamandola appunto Marshmallow Day マシュマロデー. L’Associazione Nazionale dell’Industria Dolciaria ha poi attribuito nel 1978 il nome attuale di “White Day” alla giornata e il suo ruolo di “risposta” ai regali di San Valentino.
Da allora, questa festività si è diffusa anche in altri paesi dell’Asia orientale, infatti si festeggia anche in Cina, Corea, Taiwan, Vietnam e altri.
Complessivamente però, si tende a festeggiare e spendere sempre meno per queste due giornate, criticate negli ultimi anni sia da un punto di vista sociologico, con ruoli di genere che mutano continuamente, sia da un punto di vista economico, considerata talvolta uno spreco di soldi essendo una festività puramente commerciale, soprattutto nel paese del Sol Levante.
"Oltre Sushi e Origami", il programma radiofonico dedicato al Giappone
"Oltre Sushi e Origami" è un programma radiofonico di Vinyl Sound Radio, webradio di Brescia, che trasmette in tutta Italia.
È una rubrica tutta a tema Giappone della durata di due ore circa, che va in onda la domenica alle 17.00 sul canale della radio raggiungibile dal sito https://www.vinylsoundradio.com o dall'app gratuita scaricabile su tutti gli store (e in replica tutti i giorni a diversi orari).
Ogni settimana un tema differente e ampiamente approfondito sulla cultura, la storia e le usanze giapponesi, raccontato da un'italiana, Haru, che ha vissuto in Giappone e che conosce molto bene la lingua e tiene tutt'ora diversi contatti con il paese. Al termine di ogni puntata anche una piccola lezione di lingua giapponese, con il focus su tre termini scelti tra quelli utilizzati durante la puntata.
Temi trattati: scuola, cucina, treni, matsuri e feste, ricorrenze, tattoo, arti, origami, ecc.
Ogni settimana viene creato anche il podcast di ogni puntata, che rimane poi disponibile insieme ai precedenti, per sempre sul canale dedicato della radio e sui principali motori di podcast come Spotify, Apple Podcast, Amazon Music e altri.
https://www.spreaker.com/podcast/vinyl-sound-radio-oltre-sushi-e-origami--6330515
Orario: DOM 17.00 (nuova puntata settimanale)
Repliche:
LUN 21.00
MAR 13.00
MER 9.00
GIO 14.00
VEN 16.00
SAB 12.00
Social: Facebook e Instagram @vinylsoundradio
IL GIOCO DEL DESTINO E DELLA FANTASIA (Gūzen to sōzō, 2021), Ryūsuke Hamaguchi
di Marcella Leonardi
L'articolo è tratto dal blog di cinema giapponese classico e contemporaneo NUBI FLUTTUANTI
Da tre racconti di Ryūsuke Hamaguchi: Magia (o qualcosa di meno rassicurante) - Porta spalancata - Ancora una volta. Il film è in streaming su Raiplay.
Per chi scrive, Il gioco del destino e della fantasia è forse il più bel film di Hamaguchi. Un’opera che instaura un contatto intimo e intenso con lo spettatore, una “specie di magia”, come vuole il titolo del primo episodio; o una “porta spalancata” sull’animo dei personaggi, le cui vicende ed emozioni si ripercuotono sulla nostra esperienza.
Il primo episodio è focalizzato sulla giovane Meiko e sui sentimenti contrastanti nel confronti dell’ ex Kazu, che ora frequenta la sua migliore amica Tsugumi. Durante una corsa in taxi l’ignara Tsugumi racconta a Meiko dell’incontro; ed è meraviglioso come Hamaguchi trasformi un semplice spostamento in automobile in una discesa nel segreto, quasi un’immersione nella psiche. Mentre le due amiche parlano, la strada scorre illuminata nella notte, si addentra in sottopassi, si attorciglia in infiniti percorsi lungo la città. Le luci si riflettono sui volti delle donne e la conversazione diviene rivelazione profonda. Hamaguchi gioca su un’alternanza di “dentro e fuori”: dentro l’auto, fuori nella città-mappa dell’inconscio, ma anche dentro e fuori l’ufficio dove Meiko confronterà Kazu e infine dentro-fuori il bar. Le dimensioni sono separate da vetrate e finestre, in un indefinito di iridescenze e illusioni; il vetro è anche uno schermo dove la vita proietta l’imprevisto.
C’è un misto di irrazionalità ed entomologia che solo il brano di Schumann, che introduce ed intervalla i tre episodi, riesce a sintetizzare con la sua melodia matematica. Sensuale ma nitida, intima e autunnale ma anche chiara e ben scandita, la partitura di Schumann è la controparte musicale dei dialoghi, delle confessioni a due voci, delle pause e degli “andanti” animosi che si scatenano nella mente.
Il secondo episodio è più malinconico: un destino di solitudine per Nao, che accetta di aiutare il suo giovane amante Sasaki tendendo una trappola al professore universitario che lo ha bocciato. “I nostri corpi sono perfettamente compatibili” dice Sasaki per convincerla. Le inquadrature sembrano dargli ragione: i corpi degli amanti si muovono all’unisono, o si allungano in orizzontale in composizioni armoniche, l’uno lo specchio dell’altro, in una mise-en-abyme del desiderio. Ma se con Sasaki l’intesa è fisica, con il professor Segawa sarà la parola a schiudere un’affinità elettiva, una messa a nudo del cuore. Hamaguchi filma la conversazione tra Nao e Segawa modulando in modo incantevole la luce solare che entra dalla finestra. I raggi aumentano o diminuiscono d’intensità, mentre le emozioni vengono inondate di sole, o si nascondono ritrose nell’ombra. È un
momento magnifico e delicato, che contrasta con la pornografia del romanzo del professore, letto da Nao ad alta voce; eppure, sono proprio quelle volgarità “lette con una voce bellissima” ad avere effetto inebriante. La regia del dialogo attinge esplicitamente alla filosofia di Ozu secondo cui “esiste la sensibilità, non la grammatica (del cinema)”: la codifica relativa al raccordo di sguardo viene completamente disattesa. Nao e Segawa dialogano “guardando in macchina” e lo spettatore incrocia in prima persona i loro occhi. La sensazione è di profonda emozione. È raro e bellissimo che un regista si prodighi per condividere con il suo pubblico un momento cruciale: il cinema di Hamaguchi è un privilegio.
L’ultimo episodio è il più magico e tremulo: un gioco che cambia la realtà e la vita stessa. Ciò che accade tra Natsuko e Aya ha del meraviglioso: da un fraintendimento nasce la possibilità di mettere in scena la vita, mutarla, stabilire un nuovo (lieto) fine. In un certo senso i due gentili, timidi personaggi femminili si appropriano del mestiere del regista e inventano per sé un destino, confondendo realtà e finzione. Le attrici Fusako Urabe e Aoba Kawai sono così brave da farci percepire ogni sfumatura, ogni minimo movimento nell’anima delle due donne; si piange e si ride con loro, mentre Hamaguchi le avvicina sempre più. Con stacchi a 180° intreccia le due esistenze, le mette di fronte a uno specchio in cui finalmente è possibile un riconoscimento.
“A volte mi chiedo perché sono qui. Potevo diventare qualsiasi cosa, ma il tempo è volato via prima che me ne accorgessi.”
L’episodio conquista qualcosa di bello e vero – raggiunge un nucleo di verità, lo sfiora appena lasciandolo intatto in tutta la sua bellezza. Ogni essere umano è fragile. Nulla sembra accadere mentre le parole scorrono come un fiume; ma ogni parola, libera e misteriosa, diventa la sostanza impalpabile in cui il mondo interiore si rivela. Le domande dell’esistenza – i “se”, i “forse” – sembrano approdare a una quiete, forse una temporanea soluzione. E la vita, nonostante tutto, è ancora una volta meravigliosa e degna di essere vissuta.
[Marcella Leonardi è critica cinematografica e docente. Da sempre appassionata di cinema, ha collaborato con varie testate tra cui Sonatine, Cinefilia Ritrovata, Nocturno e Otto e mezzo. Da alcuni anni si dedica prevalentemente al cinema giapponese.]
Kagurazaka Saryo, la sala di tè giapponese a Milano per la prima volta in Europa
Kagurazaka Saryo 神楽坂 茶寮, storica sala di tè e bistrot giapponese originaria di Tokyo, apre per la primissima volta in Europa proprio a Milano, a Corso Como 12, zona Garibaldi.
Il brand di caffetteria del gruppo Aya Company ha aperto i battenti per portare qui a Milano la vera gastronomia giapponese tra dolci artigianali e tè pregiati, ma anche piatti come ramen e udon.
Il menù del locale promette l'autenticità dei suoi piatti alla tradizione giapponese: proprio come nelle sue sedi giapponesi, la proposta si focalizza sulla selezione di tè raffinati selezionati dai giardini di Kakegawa nello Shizuoka, come il tè verde sencha, e dessert preparati con matcha proveniente da Uji a Kyoto. I dolci più popolari offerti sono sicuramente l’Hekira Mont Blanc al matcha, preparato esclusivamente al momento con castagne giapponesi e una crema di matcha di alta qualità, e la Coppa di gelato milleveli "Saryō", un parfait al matcha con decorazioni per richiamare l'aspetto dei giardini giapponesi.
Kagurazaka Saryo, oltre alle diverse sedi nel Paese del Sol Levante, ha alcuni locali in paesi esteri come in Canada e Thailandia, ma fino ad ora non in un paese europeo.
La scelta della recente apertura a Milano non è per nulla casuale: "Milano non è solo un faro mondiale per la moda e il design, ma è anche la città dove nascono le innovazioni", afferma Kinya Oguchi, presidente del gruppo Aya Company. "Abbiamo deciso di portare la cucina giapponese autentica in Italia, convinti che il pubblico italiano, con il suo amore per la raffinatezza e la sua lunga tradizione gastronomica, fosse il più adatto ad apprezzarla”.
Il locale ha uno stile tra l'estetica tradizionale giapponese, con elementi d'arredo artigianali e bonsai importati, e design moderno, basandosi del concetto "wa-modern", ovvero "giapponese-moderno"; gli spazi sono stati progettati dall'architetto Katsuya Takeda.
Una storia che unisce culture: Yuko, sushi e kimono tra Giappone e Italia
Storia provvedutaci da Gianluca D'Elia.
Yuko è una donna giapponese che ha avuto il coraggio di sfidare le convenzioni e attraversare l'oceano per inseguire la libertà di esprimersi. Fin da bambina, i colori l'hanno affascinata, diventando il suo linguaggio preferito. In Giappone ha studiato arte, immergendosi nella cultura visiva del suo paese, ma il desiderio di esplorare il mondo è cresciuto con lei. Dopo anni di viaggi in ogni angolo del globo, Yuko ha scelto di fermarsi in Italia, a Reggio Emilia, dove ha trovato una nuova casa e una nuova ispirazione. Qui si è innamorata della cultura italiana, scoprendo un dialogo profondo tra la sua terra natale e il paese che l'aveva accolta. Ma Yuko non ha mai abbandonato le sue radici: ha deciso di raccontarsi attraverso due passioni che uniscono tradizione e innovazione, cucina e moda.
La preparazione del sushi è una pratica riservata agli uomini in Giappone, un lavoro codificato da regole antiche. Eppure Yuko, con tenacia e determinazione, ha deciso di rompere questo schema. Ha iniziato a preparare sushi nelle case delle persone, trasformando ogni pasto in un'esperienza culturale. Attraverso il cibo, racconta il suo paese, le sue tradizioni e la bellezza di una cultura millenaria, portandola a contatto diretto con chiunque voglia ascoltarla. Parallelamente, Yuko disegna kimono, abiti tradizionali che rielabora fondendo elementi delle culture che ha incontrato durante i suoi viaggi. Ogni kimono diventa un pezzo unico, un racconto tessuto che unisce Oriente e Occidente, tradizione e contemporaneità. Le sfide che Yuko ha affrontato non sono state poche. Superare i pregiudizi culturali, trovare il proprio posto in un paese straniero, costruire un ponte tra mondi lontani.
Tuttavia, ha sempre trovato forza nelle parole di sua madre: “Sentiti libera di fare sempre quello che vuoi”. E così, con i suoi piatti e i suoi kimono, Yuko non solo racconta se stessa ma celebra anche l'incontro tra culture, trasformando ogni sfida in un'opportunità per creare qualcosa di straordinario.
Vi invitiamo caldamente alla visione delle fotografie evocative di Yuko scattate dalla fotografa Licia Carpi e allo straordinario filmato del regista Gianluca D'Elia al link seguente: https://www.youtube.com/watch?v=OdTsDtEIfkA
ASURA (Asura no Gotoku, 2025), Hirokazu Kore’eda
di Marcella Leonardi
L'articolo è tratto dal blog di cinema giapponese classico e contemporaneo NUBI FLUTTUANTI
Koreeda rivisita la serie TV del 1979 Like Asura, basata sull'omonimo romanzo di Mukoda Kuniko. La vita delle quattro sorelle Takezawa - l'insegnante di ikebana Tsunako, la casalinga Makiko, la bibliotecaria Takiko e la cameriera Sakiko - viene sconvolta dalla scoperta della relazione extraconiugale dell'anziano padre. Incarnando i tumultuosi semidei "asura", le donne si scontrano in modo turbolento, mettendo a confronto visioni diverse della vita e dell'amore; ma il conflitto rafforzerà il loro profondo legame e la consapevolezza di se stesse.
Con Asura il regista Koreeda riesce ad assecondare le “linee guida” della piattaforma Netflix senza però tradire la propria natura, quegli elementi stilistici e tematici che fanno di lui un autore originale e riconoscibile. Un certo grado di standardizzazione produttiva è presente, ma il regista aggira gli stereotipi con gusto ludico fino a trascenderli.
Se è vero che Asura risponde all'esigenza di internazionalità - il Giappone proposto è tradizionale, quasi una cartolina dell'immaginario del pubblico, nutrito di esotismi, mistica della preparazione del cibo, personaggi di elegante reticenza e scorci urbani caratteristici – allo stesso tempo Koreeda vi insinua inquietudine, instabilità e follia.
Il regista ricrea un Giappone "ideale", fatto di piccoli negozi, venditori ambulanti, nostalgie e vecchi rituali; l'espediente utilizzato è la collocazione della vicenda negli anni '70, in modo da poter indugiare in un mentalità trascorsa (la sottomissione femminile, la centralità dell'istituzione matrimoniale); ma è proprio attraverso le maglie di questo anacronismo affettuoso che si spalanca la crepa, l'istinto e il desiderio. Asura, ammantato di ricordi, cova una tensione profondamente contemporanea; e di rado, nella televisione attuale, si sono viste figure femminili tanto complesse e misteriose, animate da un'irriducibilità che manda in frantumi ruoli e aspettative sociali.
Le quattro sorelle, così differenti e vive, creano una fervida unità familiare non-conforme e legata da un'indissolubile scia d'amore. Ciascuna di loro cova una rivoluzione interiore, una trasformazione che è la stessa degli intensi personaggi femminili del cinema giapponese classico, in bilico tra passato e futuro; ma il Giappone di oggi, in fondo, è così differente?
Esattamente come Yuki Tanada in Tokyo Girl, 2017 (altra straordinaria serie contemporanea), Koreeda sembra suggerirci che la vita delle donne è ancora inchiodata a determinati obblighi sociali: lo status, il mantenimento delle apparenze, ma soprattutto la ricerca di un marito che garantisca la costituzione di una cellula sociale/economica e le sottragga a una disdicevole solitudine. “Meglio un marito traditore di un marito morto”, dice Tsunako a Makiko; e alle stesse conclusioni giungeva Tanada, mettendo a nudo ipocrisie, compromessi e umiliazioni della vita matrimoniale in Giappone.
Parlare del presente attraverso il filtro del passato è qualcosa che Asura compie magnificamente, trasformando ogni sequenza in una dichiarazione d’amore al cinema trascorso, al grande classicismo di Ozu e Naruse, testimoni del mistero femminile. Le quattro sorelle sono “divinità che all’esterno incarnano tutto ciò che è virtuoso; ma sono anche sprezzanti”, come spiega Satomi, marito di Makiko, all’ingenuo Katsumata. In un altro episodio la donna viene associata alla “volpe” (kitsune), secondo la mitologia giapponese.
Del resto tutta la serie è percorsa da riferimenti a leggende e letteratura giapponese, da Momotarō ai racconti di Natsume Soseki, che il regista utilizza in passaggi e transizioni, inserendoli nei dialoghi o affidandoli agli epiloghi della voce narrante fuori campo: la tradizione come saggezza, come limpidezza in un presente che sconcerta.
Si prova un enorme piacere, guardando Asura, nello scorgere il costante richiamo allo stile classico: Ozu “presiede” idealmente lo studio degli interni della serie, talora sovraffollati di oggetti, poster e decorazioni (come gli appartamenti “popolari” dei film muti degli anni ’30), altrove elegantemente ordinati da pattern e geometrie (nel caso delle classi più abbienti). C’è un’attenzione maniacale nei confronti di motivi, decori, quadrettature che si ripetono e si rincorrono visivamente.
Ci sono anche apparecchi televisivi, alcuni appena usciti dal proprio imballo (come accadeva in Ohayō, 1959 dove in primo piano spesso appariva la “scatola” ad intralciare il passaggio).
Negli anni ’70 le figure femminili sono vogliose di indipendenza, ma la collettività è sempre pronta a spiare e spettegolare: Takiko non ha un uomo, sicuramente perché “si trascura”; Makiko, sebbene sia una moglie perfetta, è costretta ad accettare il tradimento del marito (ennesimo uomo debole, come tanti ne abbiamo visti nel cinema giapponese); Tsunako, rimasta vedova, si umilia come amante (e sembra di essere tornati all’analisi finissima di Naruse nel suo As a Wife, as a Woman); Sakiko, ribelle e pulsionale come la “ragazza del cielo blu” Ayako Wakao, vive alla giornata con un pugile.
Su tutte pesa l’ombra della figura paterna, un uomo che, simile al Nakamura Ganjirō II di Erbe Fluttuanti (1959) o L’autunno della famiglia Kohayagawa (1961), gestisce in maniera irresponsabile una relazione extraconiugale, creando sofferenze tanto alla moglie quanto alla giovane amante.
Eppure, sebbene imprigionate in una quotidianità opprimente, le sorelle esprimono tutta la gioia vitale della propria “divinità”: meravigliosa la sequenza che le vede ridere e giocare insieme come le protagoniste de Il sapore del riso al tè verde (1951), dalla sensualità infantile e ribelle, sullo sfondo di rigide geometrie compositive. È impossibile carpire il segreto che le anima, l’interiorità fremente e in continua trasformazione tra luce e ombra, alla quale il mondo deve il proprio movimento.