INFINITO: Yayoi Kusama e Infinity Mirrored Room Filled with the Brilliance of Life

Il secondo articolo della serie “La percezione dello spazio nella visione degli artisti giapponesi contemporanei” si affaccia sull’opera di una donna che certo non occorre presentare. Sono molti i motivi che attraversano la produzione di Yayoi Kusama, che si esplicita in differenti forme d’arte che vanno dalla pittura alla scultura, agli happenings e le installazioni. Serie e ripetizioni, accumulazione, forme, obliterazione, minimalismo e surrealismo, colore e non solo. Non basterebbe un singolo articolo per tentare di mettere in luce tutte le sfaccettature dell’arte di Yayoi: una personalità forte,  che prende spesso parte alle sue stesse opere, facendosi ritrarre con esse o in modo che evolvano in performaces. L’aspetto su cui ci si soffermerà in questo contesto è quello dell’infinito. Il lavoro di ricerca sulla raffigurazione dell’infinito accompagna Kusama lungo tutto il suo percorso artistico. Dalla rappresentazione dei polka-dot, all’accumulazione delle forme, ai dipinti delle Infinity Net, Yayoi approda nella sua produzione più recente alla realizzazione di veri e propri ambienti ispirati a questa caratteristica.

Infinity Mirrored Room – Filled with the Brilliance of Life fa dunque parte della produzione tarda di Kusama, datato 2011. È una delle installazioni di maggiori dimensioni di questo genere (circa 3 × 6 × 6 m) che venne prodotta in occasione della mostra retrospettiva “Yayoi Kusama” in tre esemplari per i musei di Reina Sofia, Centre Pompidou e Tate Modern. Tra le opere dell’artista l’utilizzo di superfici a specchio ebbe dei precedenti: Infinity Mirror Room – Phalli’s Field (1965) e Kusama’s Peep Show – Endless Love Show (1966). Queste installazioni si collocano in un differente periodo della sua produzione, e prendono in considerazione maggiormente anche il tema della sessualità. In Kusama’s Peep Show – Endless Love Show è interessante osservare il modo in cui lo spettatore è a contatto con l’opera: invece di una iniziale completa immersione nell’ambiente, lo sguardo viene guidato da due piccole finestre nelle pareti, da dove è possibile affacciarsi per assistere allo spettacolo di luci nella piccola stanza esagonale.

L’opera del 2011 è invece immersiva: lo spettatore che si ritrovi chiuso in questa stanza potrà perdersi nei giochi di luci e oscurità che i LED e gli specchi creano intorno a chi guarda. Essa consiste in un ambiente in cui ogni parete è ricoperta da specchi, compreso il pavimento, dove si trova una passerella. Intorno a questa passerella è presente dell’acqua, al modo che possa sembrare di guadare un fiume. Nella stanza sono appesi centinaia di LED che presentano diverse configurazioni di luce, in modo da creare effetti particolari in relazione al buio della stanza. Tutta questa struttura è atta a costituire un ambiente apparentemente infinito, attraverso i riflessi delle luci dello stesso ambiente negli specchi e nell’acqua. Lo spazio a disposizione è allora moltiplicato attraverso l’uso dei materiali e dalla composizione dell’opera, così che una piccola stanza possa essere una possibile finestra su uno spazio senza fine.

Gli specchi e l’acqua hanno molto in comune: sono due “vuoti”, accolgono ciò che sta intorno. Riflettono, moltiplicano, alterano lo spazio reale aprendo lo sguardo a uno spazio di immaginazione, in cui ci si ritrova persi in un luogo senza punti di riferimento, dove anche la percezione del soggetto come distaccato dall’opera viene meno. Nel buio della stanza si perde l’intuizione del proprio corpo come indipendente dal resto: anch’esso viene riflesso, anch’esso si disperde nell’infinito entrando in relazione con l’opera, che non è più solo un oggetto esterno, ma interagisce con noi, come noi interagiamo con essa. Qui si può sentire quella «brilliance» della vita che anima la stanza, rappresentata dai LED: lo scintillare di momenti, che si accendono e spengono, che si moltiplicano, emergono dal buio.

In differenti interviste Kusama testimonia come il suo interesse verso l’individualità sia da sempre intrinsecamente legato a un interesse per questa in relazione: con l’opera, con il mondo, con la società e gli altri individui. Jo Applin, studiosa di storia dell’arte contemporanea e docente all’Università di New York, mette in evidenza come la raffigurazione dell’infinito sia parte di quel viaggio che Yayoi compie nel senso della obliterazione del sé, e dunque della relazione all’altro, agli individui e all’ambiente. Dunque, il modo di espressione personale della stessa Yayoi naufraga e allo stesso tempo prende vita in una specifica concezione del rapporto tra artista e opera: non qualcosa da osservare o solo ammirare, ma un ambiente in cui vivere e perdersi, in cui comprendere la propria relazione con il resto. Ambiente in cui la nostra immaginazione, le nostre fantasie, ma anche ossessioni, allucinazioni, possono prendere vita.

L’infinito è rappresentato attraverso accorgimenti che moltiplicano lo spazio, fanno perdere allo spettatore il senso dell’orientamento e lo invitano a percepirsi in relazione a ciò che lo circonda, a considerarsi una parte di questo infinito. È uno spazio di immaginazione: vuoto, accoglie ciò che si trova nei suoi pressi e concede lo spazio alla creatività, lascia che la mente e i sensi vaghino senza posa.

 

Fonti sull’opera: https://www.tate.org.uk/art/artworks/kusama-infinity-mirrored-room-filled-with-the-brilliance-of-life-t15206

 

a cura di Susanna Legnani