Il giardino del tè, sentiero di roji

All’ingresso della casa (o stanza) del tè è sempre presente un giardino (chaniwa 茶庭) con un sentiero di pietre (roji 露地), che conduce all’entrata. Questo è elemento essenziale nella stessa cerimonia del tè e costruzione della struttura.

L’avvicinamento e la preparazione spirituale al rito, infatti, non sono scontate e immediate. Occorre che spirito e corpo attraversino un momento di passaggio: dalla realtà quotidiana a un momento sospeso, di meditazione e apprezzamento estetico. Come scrive Kakuzo Okakura nella sua celebre opera The book of the tea, nella cerimonia del tè vi è molto del quotidiano, anche se allo stesso tempo «si tratta di un culto fondato sull’adorazione del bello, in contrapposizione alle miserie della vita quotidiana».

Il giardino del tè con il sentiero di roji sono, dunque, giardini da percorrere, e non solo da ammirare come dipinti. In particolare, il sentiero è composto da pietre dalla forma naturale, volutamente poco o per nulla modificate nel loro aspetto. Disposte in modo asimmetrico, la distanza tra l’una e l’altra non è mai identica o calcolata. È bene ricordare che i giardini della tradizione furono costruiti quasi tutti da maestri del tè, che nell’influenza dello zen avevano una particolare visione della natura e di conseguenza della strutturazione di questi edifici e giardini.

Nell’attraversamento di questo spazio, il corpo e lo spirito vengono preparati, costretti all’attenzione.

Il percorso non è lineare, occorre calibrare ogni singolo movimento per non inciampare o andare fuori strada. Il corpo viene allora addestrato alla concentrazione, e così lo spirito. La preparazione alla cerimonia che si terrà nella casa del tè avviene ben prima dell’ingresso, ed è per questo che il giardino risulta allora qualcosa di essenziale sia alla cerimonia stessa sia alla configurazione dell’edificio.

Non ci sono stacchi repentini: è un percorso graduale. Quasi sempre, inoltre, l’entrata nella casa è posta sullo stesso livello del giardino. Così, la camminata non è interrotta, ma il sentiero appare condurre direttamente all’interno dell’edificio, in una continuità tra interni ed esterni.

 

Il giardino nei secoli

Il termine roji era originariamente un termine riferito alla sfera religiosa del buddhismo, scrive Teiji Ito, studioso di giardini, nel suo saggio Nihon no niwa. “A spiritual state of perfect selfless and purity”: in questo senso la parola viene usata per indicare ciò che il giardino aveva filosoficamente rappresentato dal periodo Edo in poi. Preparazione, addestramento del corpo e dello spirito, dimenticanza dell’individualità.

La parola ha anche diverse altre connotazioni, come “on the way”, “while walking”, “a narrow alley”. Tutte sfumature che si accostano maggiormente alle caratteristiche del giardino.

In origine,

il giardino del tè doveva essere una costruzione molto semplice, povera di elementi, in accordo con l’estetica delle stesse case. T.Ito riporta dei passi del Chasho Senrin, manuale del diciassettesimo secolo. «Non si dovrebbero piantare alberi, né sistemare pietre, né spargere sabbia, né disegnare ghiaia – queste cose distraggono la mente di una persona; confondono e tolgono la spiritualità della cerimonia stessa». Col passare del tempo, però, sempre più elementi vennero introdotti nel giardino, e ogni maestro del tè – senza che si parli di un vero e proprio stile personale – adottava elementi particolari.

Al giorno d’oggi,

i giardini del tè hanno una forma riconoscibile. Spesso essi sono divisi in due parti attraverso un cancello (chumon) e così si individuano un roji più esterno e uno più interno, vicino alla casa del tè, a testimoniare ancora il senso di gradualità. Elemento molto importante è lo tsukubai, un “bacino d’acqua”, dove il visitatore può fermarsi a lavare mani e bocca, per purificarsi. Solitamente, questi bacini sono costruiti in pietra e sono abbastanza bassi. Ciò, ancora nella volontà di un’educazione del corpo: occorre umilmente chinarsi per purificarsi. Azioni simili si ripetono all’entrata della sukiya, la stanza del tè: bisogna attendere sotto un portico, il machiai, e abbassarsi per procedere.

Nel giardino si trovano inoltre lanterne di pietra (ishi-doro) e diversi tipi di alberi e piante. Tutti questi elementi non vengono più considerati di turbamento per la mente, ma anzi sono necessari a fare del percorso un processo di cambiamento anche interiore, attraverso il contatto con la natura.

Il sentiero – come è già stato illustrato – è composto da pietre (tobi-ishi) di forma irregolare e con disposizione asimmetrica. L’uso di queste pietre è, secondo testimonianze raccolte da T.Ito, pratico ed estetico allo stesso tempo.

 

Watari, kei e sentiero del vuoto

Questo equilibrio di pratica/funzione ed estetica venne riassunto nei termini watari (funzione) e kei (apprezzamento estetico). È il designer del giardino e maestro del tè a decidere – a seconda delle circostanze e tipo di vegetazione con cui si trova a contatto – cosa prevale. Le pietre vengono selezionate con cura da chi progetta la struttura, ognuna viene collocata nel posto che risulta più naturale, che permette di valorizzare le sue caratteristiche. Raramente, infatti, queste pietre vengono modificate fortemente nella loro forma originaria, ma si tende piuttosto a rispettarne la natura, collocandole nel giusto luogo. Così, nella visione di chi progetta il giardino, la prima cosa rimane pur sempre l’accordo con la natura, il rispetto di essa.

Questa forma del sentiero che conduce alla stanza del tè è interpretata da molti studiosi di filosofia orientale come una struttura che implica il vuoto, esperienza vicina allo zen. La via non è continua, ma spazi vuoti intercorrono tra le pietre. Questo tipo di esperienza è già anticipatoria di ciò che avverrà durante la cerimonia del tè: un rito che ha a che fare fortemente con il vuoto, nella struttura della casa, nei gesti e movimenti, negli strumenti che utilizza.

 

 

Fonti utili:

https://www.biolaghiegiardini.it/scheda.php?idarticolo=69

http://www.aisf.or.jp/~jaanus/deta/r/roji.htm

 

 

 

Susanna Legnani