Oshōgatsu: il Capodanno in Giappone

Anche quest’anno sta ormai giungendo al termine e, così come in Italia, in Giappone si cominciano i preparativi per accogliere il 2021 che, questa volta, sarà sotto il segno del bue.
L’ Oshōgatsu, ovvero il Capodanno, si celebra l’1 di gennaio secondo il calendario gregoriano, ma in Giappone anche gli ultimi tre giorni di dicembre (29-30-31) e i primi tre giorni di gennaio (shōgatsu sanganichi) sono considerati festivi, poiché rappresentano il periodo di celebrazione del nenmatsu nenshi, letteralmente “fine anno-inizio anno”.
Dopo il 28 dicembre, che in Giappone è il goyō osame, o shigoto osame, ovvero la data che indica la fine ufficiale del lavoro e l’occasione quindi di tirare le somme, ma anche di ringraziare chi ci ha supportato tramite le cartoline d’auguri (nengajō), arriva il momento delle grandi pulizie di casa (ooshōji) che rappresentano l’idea di cominciare il nuovo anno lasciandosi dietro “lo sporco” di quello appena passato e di accogliere nel migliore dei modi la divinità dell’anno, il toshigami, al quale viene dedicato un piccolo
altare dove vengono offerti gli okagami mochi, dolcetti giapponesi preparati appositamente per l’occasione.
Ovviamente non mancano le decorazioni, come la shimekazari, le corde di paglia che vengono poste come ghirlanda sulla porta di casa a indicarne la ritrovata purezza e il benvenuto alla divinità; o il kadomatsu, una composizione di rami di pino, fiori di pruno e tronchi di bambù che viene posta a coppie all’ingresso e funge da alloggio temporaneo per il kami. Anche questa decorazione ha un valore simbolico: il pino essendo un
sempreverde rappresenta la continuità attraverso i cambiamenti e la fedeltà nelle coppie, mentre il bambù è una pianta che si spinge sempre dritto verso il cielo nonostante i suoi nodi che rappresentano le difficoltà
nella vita.

Inoltre, è proprio in questi giorni che per i giapponesi è opportuno cucinare e preparare le pietanze anche per quelli successivi, in quanto si ritiene che porti sfortuna farlo durante lo shōgatsu sanganichi. Questo perchè si presta particolare attenzione alle azioni che si svolgono per la prima volta nelle prime ore dell'anno nuovo.

Un piatto che va consumato prima del 1° gennaio è il toshikoshi soba, mentre il primo giorno dell’anno si mangiano cibi tradizionali (osechi ryōri) composti da alimenti che si crede portino buon auspicio come i gamberi, l’alga kombu, il daikon, le castagne cotte con zucchero, i fagioli neri e i mochi.

Il 31 dicembre, poco prima dello scadere dell’anno, ci si reca ai templi buddhisti dove vengono suonati 108 rintocchi delle campane (joyanokane), l’ultimo a mezzanotte esatta, che simboleggiano i 108 desideri terreni all’origine della sofferenza umana (bonnō). Per i giapponesi il suono delle campane può redimere anche i peccati compiuti durante l’anno appena concluso. In seguito, una volta entrati nell’anno nuovo si fa la prima visita al tempio o al santuario (hatsumōde), dove è tradizione esprimere desideri e buoni propositi per il nenonato anno e comprare un portafortuna da tenere con sé o in casa propria.

新年明けましておめでとうございます!

Buon anno a tutti!

 

Amanda De Luca


La cucina casalinga di Keiko torna con due nuovi libri

L’avevamo conosciuta così Keiko Irimajiri, grazie e attraverso i corsi di cucina giapponese della K’ kitchen, passati anche presso la nostra associazione e che ora, per forza di cose, si tengono interamente online.

Oggi ritorniamo a parlare di lei perché, in questo momento difficile, ha trovato un modo per entrare nelle case di tutti coloro che la seguono con passione: con due nuovi libri di cucina della fortunata serie “Le ricette di Keiko”.

La sua carriera inizia come graphic designer per Toraya, un noto marchio di wagashi (dolci tradizionali giapponesi), ma riesce pian piano a fare della propria passione per la cucina una professione, iniziando da lì a poco a insegnare presso la scuola culinaria “ABC Cooking studio”, dove diventa direttrice della sezione “ABC Kids”.  Si avvicina alla cultura italiana nel periodo in cui è assistente presso la scuola culinaria “La Tavola di Tata” della signora Kikuko Panzetta, ricercatrice di cucina casalinga napoletana. In seguito, lavora per il ristorante “Olivo” di Tōkyō che importa olio d’oliva italiano.

Nel 2012 crea K’s Kitchen a Tōkyō, New York e anche a Milano. Si tratta di laboratori di cucina dove insegna la cucina casalinga giapponese agli italiani e quella italiana o internazionale ai giapponesi. Lo scopo dei suoi corsi è quello di abbattere gli stereotipi sulle culture culinarie, soprattutto quella giapponese, e mostrare la ricchezza e la varietà di piatti possibili.

“Quando parliamo di cucina giapponese sicuramente vengono in mente pietanze come il sushi, il sashimi e il ramen che stanno diventando sempre più popolari anche in Italia. Sono buonissimi e anche a me piacciono molto. Tuttavia, vorrei far capire che queste ricette non sono altro che una piccola parte della cucina giapponese. Il mio desiderio è di mostrare e far conoscere a tutti gli italiani la cucina casalinga giapponese, proprio come la preparavo a casa mia in Giappone.”

La sua cucina, quindi, non è di certo ricercata, ma semplice e preparata con il cuore, un valore fondamentale insieme alla scelta accurata degli ingredienti e l’omotenashi (ospitalità).

Nell’agosto del 2020 pubblica il suo libro di cucina “Le ricette di Keiko – Deliziosi Bentō Giapponesi“, il primo di una lunga serie che oggi vediamo proseguire con “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Sushi Casalinghi” e “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Dolci Giapponesi”.

Tutti i libri includono illustrazioni e foto per ciascun procedimento e le ricette all’interno sono create usando ingredienti che si possono trovare anche in Italia.

Potrebbe essere un regalo di natale perfetto per gli amanti del Giappone e della sua cultura culinaria!

Mentre ci pensate, vi lasciamo i link dove poterli acquistare.

https://www.amazon.it/dp/B08P3G22KD/ref=mp_s_a_1_4

https://www.amazon.it/dp/B08P4PM9D9/ref=mp_s_a_1_3

Amanda De Luca


Yukio Mishima a 50 anni dalla sua morte

Il 25 novembre è stato l’anniversario della morte di un grande autore della letteratura giapponese: Kimitake Hiraoka, meglio noto come Yukio Mishima.

Egli nasce a Tokyo nel 1925 e viene cresciuto dall’amore ossessivo della nonna paterna, che gli trasmetterà la passione per la letteratura classica e il patriottismo tradizionalista giapponese.

Influenzato da tali radici, si iscrive alla Scuola dei Pari, dove apprende come diventare un soldato più che ricevere un’educazione vera e propria. Frequentando però il club letterario, Mishima approccerà per la prima volta la strada della scrittura che sarà a tutti gli effetti la sua ancora di salvezza. Negli anni Quaranta, dopo il diploma e una laurea in giurisprudenza, entra a far parte della scuola romantica e si impegna nella composizione della sua prima importante opera, “La foresta in fiore”, pubblicata nel ‘41 con lo pseudonimo che tutti conosciamo.

Yukio significa “nevoso”, mentre Mishima è una città situata tra il Fuji e il mare. Nella poesia classica e nella più generale cultura nipponica la neve è simbolo di una bellezza pura ed effimera, quella degli intenti che animano ogni impresa eroica, e della sincerità che contraddistinguono ognuna di queste.

Negli stessi anni, viene a contatto con molti volti noti del panorama letterario giapponese, primo fra tutti Yasunari Kawabata, premio Nobel nel 1968, con cui intreccerà uno stretto rapporto di maestro-allievo.

Le sue opere più famose sono certamente “Confessioni di una maschera”, primo racconto autobiografico del 1949, “Il padiglione d’oro” pubblicato nel 1956, “Trastulli di animali” del 1961 e “Il mio amico Hitler” del ‘68.

“Lo specchio degli inganni” è l'ultimo romanzo della quadrilogia “Il mare della fertilità”, di cui fanno parte anche “Neve di primavera”, “Cavalli in fuga” e “Il tempio dell'alba”. Essa costituisce, nel suo complesso, l'opera più matura e ambiziosa del celebre autore e viene pubblicata un anno prima della sua morte, altrettanto celebre in quanto simbolo della personalità di Mishima, da sempre ossessionato dall’idea della morte e dal suo ideale politico di patriottismo tradizionalista.

Nel 1970, infatti, insieme ai quattro più fidati discepoli occupa l'ufficio del ministero della difesa. Dal balcone dell'ufficio, di fronte a un migliaio di uomini del reggimento di fanteria, oltre che a giornali e televisioni, tenne il suo ultimo discorso esaltando lo spirito giapponese, identificato con l'Imperatore, e condannando la democrazia e l'occidentalizzazione del paese. Una volta giunto al termine, si toglie la vita tramite seppuku, il suicidio rituale dei samurai, trafiggendosi il ventre e facendosi poi decapitare.

Seppur Mishima rappresenti un personaggio storicamente controverso, è innegabile il fascino delle sue opere che lo hanno portato a essere l’autore giapponese più tradotto nel mondo e protagonista di film e documentari sulla sua vita.

Dopo 50 anni dalla sua morte, il suo mito riecheggia e numerosi sono le iniziative a suo nome e gli eventi a lui dedicati ancora oggi.

Potete trovarli nella sezione del nostro sito a questo link: https://www.giapponeinitalia.org/eventi/

 

Amanda De Luca


Sosteniamo la cultura, anche online: Bookcity 2020

Un altro appuntamento fisso, ormai, quello con Bookcity, il festival del libro più famoso di Milano, che ci ha accompagnato questa settimana alla scoperta di nuovi titoli e delle prossime uscite, anche a tema Giappone.

BOOKCITY MILANO è un’iniziativa nata da una collaborazione pubblico – privata: nel 2012 il Comitato Promotore e l’Assessorato alla Cultura hanno chiamato a raccolta gli editori italiani per realizzare una manifestazione condivisa con tutti i protagonisti del sistema editoriale, al fine di mettere il libro, la lettura e i lettori, in quanto protagonisti dell’identità della città e delle sue trasformazioni al centro di una serie di eventi diffusi sul territorio urbano.

Giunto quindi alla sua nona edizione, si propone come un festival inclusivo e partecipato che promuove, con oltre 500 iniziative a partecipazione gratuita, l’incontro fra gli autori e il loro pubblico attraverso una serie di interventi a tema, presentazioni, letture ad alta voce, seminari e tanto altro.

Quest’anno la rassegna si è trovata davanti il grande ostacolo dell’emergenza sanitaria che ha costretto gli organizzatori, convinti fino a qualche giorno prima di mantenere tutti gli eventi in presenza, a ripensarli in maniera online. Così per tutta la durata del festival, dal momento dell’inaugurazione tenutasi l’11 novembre, fino alla sua conclusione domenica 15, gli incontri si sono svolti su svariate piattaforme digitali, che Bookcity ha raccolto in un unico programma online.

Ma non vi preoccupate se vi siete persi qualche testimonianza o non avete avuto tempo di seguirle interamente: per la prima volta, quest’anno, le registrazioni di tutti gli eventi del palinsesto rimarranno disponibili alla visione del pubblico sul sito http://www.bookcitymilano.it/.

Sempre più manifestazioni hanno e continuano ad adottare, per motivi di causa maggiore, misure e strumenti digitali per far sì che le proprie iniziative possano prendere forma…. che sia questo il futuro dei nostri cari eventi? O ben presto, quando tutto sarà passato, ci dimenticheremo dell’online, stanchi ormai di vivere davanti a uno schermo?

Nonostante la speranza di tornare presto a frequentare eventi dal vivo sia l’ultima a morire, non bisogna cancellare gli enormi sforzi fatti per rispondere alla sfida impostaci da un anno così duro e impegnativo, soprattutto per il mondo culturale che ha dimostrato, per l’ennesima volta, quanto la cultura sia necessaria per la nostra esistenza.

 

Amanda De Luca


Festival online: uno sguardo alla 54° edizione del Lucca Comics

Proprio lo scorso week-end (28.10 – 1.11), si è concluso il Lucca Comics and Games che quest’anno si è presentato al pubblico in una nuova veste.

Per chi non lo conoscesse, si tratta di un festival internazionale dedicato ai mondi del fumetto, dell'animazione, dei giochi e dei videogiochi che si svolge ogni anno a Lucca nei giorni tra fine ottobre e inizio novembre. Nata nel 1993, è cresciuta a tal punto da venir considerata la più importante rassegna italiana del settore, prima d'Europa e seconda al mondo, dopo il Comiket di Tokyo.

L’edizione 2020, a causa delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, ha dovuto modificare la classica formula per cui è conosciuta e si è svolta, per la prima volta, in una modalità online e, proprio per celebrare questa sua trasformazione, è stata intitolata “Lucca Changes”.

La programmazione di eventi e incontri, invece, è rimasta ricchissima come sempre. Sono pochi gli eventi festivalieri in programma fatti “fisicamente” nelle sedi designate e, in ogni caso, in assenza di pubblico, ma sono stati tutti trasmessi online e, grazie a una collaborazione con la RAI, anche sui loro canali televisivi e radiofonici. Questo ha permesso di raggiungere molte più persone di quante normalmente si sarebbero recate a Lucca in queste giornate (e parliamo di milioni) sia in Italia che nel mondo.

Inoltre, Raiplay ospiterà una sezione realizzata ad hoc per il festival sino a febbraio 2021, dove saranno fruibili i contenuti “original”, i servizi in onda nelle altre reti del gruppo Rai, e una programmazione a tema con la migliore offerta tratta dagli archivi.

L’altra grande novità sono stati i 115 Campfire (negozi specializzati, fumetterie e librerie indipendenti che hanno deciso di diventare degli avamposti locali per eventi specifici del festival) che per tutta la durata della manifestazione hanno contribuito a renderla speciale con una ricca offerta di uscite, anteprime e prodotti.

Secondo gli organizzatori “è stata l’edizione più innovativa di sempre”. Chissà che per l’anno prossimo non la ripropongano, visto i numeri, con o senza covid.

 

Amanda De Luca


Il meglio del cinema asiatico è su Fareastream, la nuova Netflix dell'estremo Oriente

È stata lanciata questo mercoledì la prima piattaforma digitale interamente dedicata al cinema asiatico: il suo nome è FAREASTREAM e sarà presente solo sul territorio italiano grazie a una collaborazione tra il Far East Film Festival e Mymovies.it.

Il FEFF è la più importante rassegna della cinematografia asiatica d’Europa che si tiene ogni anno a Udine verso il mese di aprile. Per la prima volta da 22 anni, l’edizione corrente si è vista rinviata a fine giugno per motivi ormai noti, comuni a tutte le manifestazioni del genere, che sono stati sfruttati dagli organizzatori come stimolo per la creazione di questo progetto.

L’idea della “Netflix asiatica” è stata realizzata grazie a una partnership tecnica con il sito Mymovies, che da sempre si presenta come un database online di informazione cinematografica sui titoli dal 1985 a oggi.

La piattaforma digitale, disponibile da subito con una library di 30 titoli, accoglie le più varie categorie di film dell’estremo Oriente (Cina, Corea, Giappone, Indonesia, Filippine etc.) e si presta a presentare contenuti sempre nuovi che spaziano dai grandi classici agli evergreen, dai titoli rivelazione ai cult, senza dimenticare le ultime uscite. Tutti i film sono disponibili nella versione doppiata in italiano, se esistente e in lingua originale con i sottotitoli per gli amanti del genere.

Per accedere ai numerosi contenuti sul canale e avere il meglio del made in Asia a portata di click, bisogna abbonarsi. Al momento sono a disposizione un abbonamento mensile e un annuale a un prezzo speciale.

Una grande notizia, insomma, per gli appassionati al genere, ma anche per i più curiosi.

 

Per informazioni e approfondimenti qui il link:

https://www.fareastfilm.com/notizie/fareastream/

 

di Amanda De Luca


"Pagine Zen" non si ferma e torna online!

Pagine Zen esiste dal 2001 ed è stato pubblicato fino ad oggi in modo continuativo, per 122 numeri.
Ogni nuovo numero viene spedito a vari Dojo e ad Associazioni di cultura asiatica, Università del territorio italiano e viene anche distribuito in vari matsuri e feste giapponesi.

Anche durante l'emergenza, la sua attività non si è fermata, e nonostante le difficoltà, ha continuato a pubblicare online approfondimenti su diversi temi.

Ecco quelli dell'ultimo numero:

Tawaraya Sōtatsu (1570 – 1640)
Un artista all'avanguardia
di Marta Molinari
https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/tawaraya-sotatsu-un-artista-all-avanguardia

- Johakyū 序破急
Introduzione, sviluppo, conclusione.
Calligrafia di Bruno Riva - shodo.it

- Il tavolo del letterato cinese (prima parte)
di Carla Gaggianesi - www.lagalliavola.com
https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/il-tavolo-del-letterato-cinese-prima-parte

- Un’indagine su “Mottainai” (Prima parte)
di Rossella Marangoni - www.rossellamarangoni.it
https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/un-indagine-su-mottainai-prima-parte

- Un Okimono di avorio del Museo d’Arte Orientale di Venezia
Figura femminile con acqua, arco e frecce.
di Silvia Begotto

- L’immagine della donna nello Shintō
di Giulia Zucconi
https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/l-immagine-della-donna-nello-shinto

- Kaze no denwa
Il telefono del vento
di Giampiero Raganelli
https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/kaze-no-denwa-il-telefono-del-vento

- Amae
Il lato dolce del Giappone
di Fabiola Palmeri - www.facebook.com/nipponstorytelling/

Pagine giapponesi
Immagini e racconti dal Giappone attraverso i libri della Biblioteca Braidense
Recensione di Anna Lisa Somma - www.bibliotecagiapponese.it

di Amanda De Luca


La pittura di Shoko Okumura: nuove mostre in arrivo

Nata nel 1983, Shoko Okumura è una delle artiste giapponesi più interessanti del panorama italiano. Nonostante utilizzi il linguaggio tradizionale della pittura, è riuscita a inserire nelle sue opere elementi di innovazione che nascono dal sapiente mix delle sue esperienze di studi giovanili.

Infatti, dopo la laurea alla Accademia delle Belle Arti di Tokyo in pittura tradizionale giapponese, si trasferisce giovanissima a Firenze per studiare le tecniche dell’affresco e della restaurazione delle opere. Proprio durante questa esperienza sperimenta l’unione di pigmenti di colore italiani con elementi tradizionali giapponesi, in particolare il supporto di metalli come l’oro e le foglie d’argento per creare una luminosità tutta originale, appassionandosi al risultato e rendendolo il suo tratto distintivo.

E non solo, anche stilisticamente i suoi dipinti, che cercano concettualmente di indagare la relazione tra uomo e natura, si polarizzano tra atmosfere tipicamente giapponesi e dettagli descrittivi derivati dalla tradizione figurativa occidentale.

Nel 2008 vince due prestigiose borse di studio dal Giappone e parte un’escalation di successi che la porteranno a esporre le proprie opere in mostra collettive con altri artisti e diverse personali sparse tra l’Italia e il Giappone.

Nel 2011 collabora con la rivista “Vanity Fair Italy” e nel 2013 realizza dei disegni per le copertine di Japanese food Magazine. Nel 2019 e nel 2020 collabora con TOMA Shoes per la Fashion Week di Milano.

Nonostante attualmente viva e lavori in Italia, non dimentica le sue origini e oltre al suo impegno come artista è anche insegnante di pittura tradizionale giapponese al Centro di Cultura Giapponese di Milano.

Attualmente la troviamo impegnata nella sua nuova personale “Finestre di luce nei boschi” dove propone una visione della relazione tra l’essere umano e la dicotomia esistenziale luce/tenebre, in cui spesso vi si ritrova. “Nella pittura di Shoko la luce non è mai piena perché accecherebbe, ma piuttosto annunciata, intraveduta come dalla finestra di una dimora, ove si coltivano e proteggono gli affetti umani. Allo stesso tempo, è l’invito a percorrere un cammino che dal buio volge verso una luminosità attesa, ma mai pienamente raggiunta. Un bosco è un’assenza di luce, ma non completa, perché pur nelle sue ombre, si rischiara a tratti.”

La mostra è ospitata dalla Galleria Manifiesto Blanco a Milano e sarà visitabile fino al 31 ottobre, ma non sarà l’ultima volta che sentiremo parlare di lei. Infatti, la rivedremo molto presto a Mantova per una nuova collettiva dedicata a opere pittoriche e fotografiche di artisti giapponesi e italiani dal titolo “Stile e Bellezza del Giappone” a partire dal 7 novembre.

di Amanda De Luca


Alla scoperta del buddhismo grazie ai tesori nascosti del Mao

Secondo un recente studio sui più importanti musei del mondo, vi è una quantità spropositata di opere d’arte che non vengono esposte, e che rimangono senza che nessuno possa vederle nei grandi depositi di queste istituzioni.

Ciò nasce dal fatto che a partire dal Seicento, quando le prime collezioni d’arte hanno cominciato a essere accessibili al pubblico, i musei hanno accumulato grandi quantità di opere al servizio della collettività, più di quante potessero effettivamente esporne. Così i beni acquisiti attraverso donazioni da privati o sul mercato dell’arte finiscono per rappresentare un enorme patrimonio non fruibile dal pubblico.

Per questo motivo, i musei hanno iniziato ad esporre a rotazione le opere più rilevanti, mentre quelle di nicchia tendono a non lasciare mai i depositi, a meno che non abbiano bisogno di interventi conservativi.

È questo il caso dell’esposizione al MAO, Museo d’Arte Orientale di Venezia, dal titolo “Tesori nascosti. Un’opera al mese dei depositi” che vede in mostra per un tempo limitato due sculture legate al buddhismo giapponese.

Si tratta di due statue di Kannon risalenti ad un periodo a cavallo del VII e VIII secolo in lacca dorata, recentemente restaurate, che saranno visibili al pubblico sino metà ottobre.

Entrambe le opere rappresentano la figura Avalokiteśvara, il bodhisattva della grande compassione, la cui origine è ancora tutt’oggi controversa.  Numerosi sono, infatti, i dubbi sull’esatta provenienza geografica del suo culto. La maggioranza degli studiosi ritiene che derivi dalle comunità buddhiste collocate ai confini nord-occidentali dell’India, altri invece credono che si colleghi alla tradizione religiosa iranica. Sta di fatto che, come è successo per altre figure religiose, il suo credo si è espanso fino ad arrivare negli angoli più remoti dell’Asia orientale, venendo indicato dalle popolazioni stesse con epiteti differenti, ma con un significato comune.  Avalokiteśvara, in sanscrito, Guānyīn in cinese, Gwan-se-eum in coreano, Quan Âm in vietnamita e Kannon in giapponese sono tutti appellativi che richiamano i valori della compassione e della misericordia, per cui il bodhisattva viene ricordato e venerato.

Al contrario della figura del Buddha che raggiunge l’illuminazione dopo aver esaurito il ciclo delle sue esistenze terrene, il bodhisattva è colui che sceglie di continuare a reincarnarsi per il bene degli esseri umani, spendendo per loro i propri meriti e aiutandoli a raggiungere il nirvana. Egli sacrifica sé stesso spinto dalla pietà e dall’amore verso gli uomini.

Secondo la tradizione buddhista di Nikāya, solo la sua figura può, per tale motivo, ascendere allo stato di Buddha. Gli uomini suoi discepoli, praticando per loro stessi, possono solo accedere allo stato di arhat, ovvero al nirvana, il fine ultimo della vita e luogo di estinzione di ogni dolore terreno.  Per le dottrine Mahayana, invece, ogni essere senziente è in grado di divenire Buddha, poiché possiede in sé tale natura. Essere bodhisattva, quindi, rappresenta solo un voto necessario, che, insieme alla costante pratica delle pāramitā, le virtù trascendenti, permette di raggiungere il massimo grado di illuminazione.

Nonostante la storia che si cela aldilà di queste due figure sia intrigante e ancora da chiarire, la possibilità di essere conosciuta e per le opere di essere ammirate ha un tempo circoscritto. Il “problema” dei tesori nascosti nei depositi deve ancora essere risolto, ma molte grandi istituzioni museali si stanno muovendo da questo punto di vista, pensando ad esempio a degli open storage, delle teche di vetro o scaffali scorrevoli che permettano al pubblico di fruire ugualmente in maniera più veloce delle opere depositate.

Staremo a vedere cos’altro si inventeranno, nel frattempo, però, vi invitiamo a visitare questa esposizione, la storia ora la conoscete!

 

di Amanda De Luca