L’aikidō: conclusioni
Uno degli aspetti che permettono di assimilare l’aikidō a una pratica religiosa, si può individuare analizzando il rapporto fra l’allievo e il maestro. Per l’allievo è fondamentale la costante presenza del maestro che viene considerato come il depositario e dispensatore di una conoscenza; a lui è dovuta una completa obbedienza e sottomissione. Queste sono le condizioni da rispettare per progredire lungo la strada segnata in primis dal fondatore.
Nella pratica del budō. il periodo di apprendistato è dedicato principalmente all’acquisizione della tecnica, solo quando questa e già perfezionata, nei primi gradi dan si inizia a parlare di via: l’allievo comincia a sperimentare direttamente l’esistenza di un insegnamento di vita che trascende il livello fisico atletico. Il faticoso e lungo cammino ha portato il maestro ad essere molto di più che un semplice tecnico: egli sa che la tecnica e solo un veicolo per comprendere la vera essenza dell’aiki e i discepoli per compiere il medesimo percorso devono abbandonarsi a lui.Leggere di più
Aikidō: le caratteristiche della pratica
L’aikidō si pratica su un tatami, indossando il keikogi, la classica divisa di cotone bianco usata per il jūdō, ma sono accettate anche le divise da karate e da kung fu, purché bianche. Ad eccezione dei bambini, per i quali solitamente si tengono apposite lezioni, i corsi sono aperti a tutti indipendentemente dal sesso o dall’età poiché l’aikidō si prefigge di essere una disciplina praticabile da chiunque. Ai principianti vengono in primo luogo insegnate le tecniche di caduta (in avanti e all’indietro), gli spostamenti e le tecniche di base. Le lezioni iniziano in ginocchio, seduti sui talloni, con un breve momento di concentrazione, seguito dal rituale saluto a un’immagine del Fondatore dell’aikidō e all’insegnante, e continuano con esercizi di respirazione profonda e di concentrazione (kokyū soren, controllo dell’energia totale attraverso il metodo della respirazione). Preparati così mentalmente e spiritualmente, si eseguono velocemente alcuni esercizi di riscaldamento, di allungamento muscolare e le cadute. L’apprendimento avviene principalmente per imitazione.
Come nella realtà non esiste una sola possibilità di attacco, così nell’aikidō (a differenza per esempio dal jūdō) non esistono prese prestabilire al keikogi dei praticanti poiché l’allenamento mira ad abituare mente e corpo a neutralizzare diversi tipi di aggressione (una presa al polso o alla giacca, un pugno allo stomaco, un colpo alla testa, un tentativo di immobilizzazione da tergo, ecc.).Leggere di più
Aikidō: aspetti rituali
La pratica dell’aikidō è fatta di gesti e comportamenti ben codificati. Non esiste l’improvvisazione. Non ci sono professioni di fede o credo da recitare, conoscere i testi non viene richiesto per salire di grado. Tuttavia ci sono delle regole da seguire.
Durante la pratica bisogna stare in silenzio, attenti e rispettosi degli altri. In più ci sono precisi rituali da osservare salendo e scendendo dal tatami, all’inizio e alla fine della lezione. Questo inchino rituale segna una chiara demarcazione tra lo spazio di pratica e quello esterno. Così come il saluto rituale all’inizio e alla fine della lezione,
l’inchino al kamidana del dōjō. Anche gli esercizi preliminari di riscaldamento diventano rituale. Gli speciali esercizi chiamati aiki taisō sono stati mutuati dalla tradizione shintō e sono tradizionali pratiche esoteriche. Per poter osservare le componenti religiose di alcuni comportamenti rituali coinvolti nell’aikidō, saremo guidati dal sistema di osservazione delle azioni rituali descritte nel testo Rethinking Religion di Lawson e McCauley.Leggere di più
Aikidō: Modelli di comportamento
L’aikidō è inevitabilmente una attività sociale in quanto, a qualsiasi grado di abilità è necessario un partner per praticare e un luogo deputato. I praticanti di aikidō condividono una conoscenza “iniziatica” rispetto ai non praticanti. Questa circostanza li rende solidali fra loro e separati a chi è estraneo all’arte. La pratica dell’aikidō comporta un alto grado di intimità fisica e richiede fiducia reciproca tra i praticanti. Ciò aiuta a creare un alto senso di cameratismo fra i membri di un dōjō.
Il senso di cameratismo si sviluppa in diversi modi, fra questi la definizione di turni per il mantenimento del dōjō in maniera comunitaria. Dal pulire il tatami a lavare le docce, imbiancare i locali o aggiustare impianto elettrico o idraulico. Da ogni membro del dōjō ci si aspetta un contributo. Ogni dōjō ha il suo responsabile didattico, ma a chiunque abbia raggiunto shodan può essere richiesto di tenere la lezione occasionalmente.
Tutte queste responsabilità condivise servono a sviluppare un forte senso di appartenenza alla comunità fra i membri del dōjō.
Periodicamente le associazioni nazionali e internazionali organizzano giornate di incontro, stages, che costituiscono un’occasione offerta ai praticanti per allargare la propria conoscenza, entrare in contatto con nuovi maestri e allievi a diversi livelli.
Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato
La dimensione religiosa nell’aikidō
Alla base delle tecniche dell’aikidō sta il valore filosofico dell’armonia: l’aikidō insegna che tutte le cose sono collegate e che, lavorando in armonia con le energie dell’universo e di tutte le cose che lo compongono, ciascuno può raggiungere lo scopo senza conflitti. Lavorare in opposizione ai movimenti armonici dell’universo oltre a essere difficile può provocare gravi danni.
I testi di Ueshiba e dei suoi divulgatori descrivono lo spirito dell’aikidō come una filosofia dell’armonia tra l’individuo e il mondo, che agisce formando la personalità del praticante attraverso l’insegnamento delle sue tecniche. Le lezioni di aikidō intendono insegnare agli studenti a riconoscere la natura armoniosa dell’universo e adattarsi a questa in piena armonia.Leggere di più
Le fasi di evoluzione nella storia dell’aikidō
La filosofia alla base dell’insegnamento e le tecniche di Ueshiba Morihei, il fondatore dell’aikidō, differirono grandemente a seconda delle epoche di evoluzione della sua pratica.
Primo periodo: Era Taishō (1912-1926)
Ueshiba praticò numerose forme di bujutsu e raggiunse la maturazione spirituale attraverso la pratica religiosa. Insegnò Daitoryū aikijūjutsu. In quest’epoca impostò la pratica sui kata.
Fra le scuole di jūjutsu, oltre a quelle che si basavano principalmente sul combattimento corpo a corpo e sul combattimento a terra, ne esistevano anche alcune che avevano tramutato i movimenti e le tecniche di spada in tecniche di lotta corpo a corpo, taijutsu, la scuola di Daitoryu di Aizu fu una delle più rappresentative.
Secondo periodo: I primi diciassette anni dell’epoca Showa (1926-1942)
Dal Daitoryū aikijūjutsu si entra nell’epoca del Ueshibaryū Aikijutsu, successivamente modificato in Aiki bujutsu e in seguito Aiki budō. Ueshiba aggiunse al Daitoryū le sue conoscenze relative alle tecniche di lancia (sojutsu), di cui era un rinomato esperto, creando così il metodo uchikomi, una sorta di “kata che vive” che viene considerato tipico dell’aikidō. Questa fu l’epoca in cui raggiunse un eccezionale livello di maestria e venne consacrato ai vertici del mondo delle arti marziali esercitando la propria autorità. Si racconta che Yamamoto Gonbe (1852-1933, Ammiraglio e Primo Ministro) assistendo a una dimostrazione del Maestro Ueshiba abbia detto “È la prima volta, dopo la Restaurazione Meiji, che vedo una lancia che ‘vive!” e che il Maestro Kanō Jigorō del Kōdōkan abbia affermato: “Questo è il vero budō che ho sempre desiderato praticare!”Leggere di più
Armature - Spada giapponese - Kendo
Sabato 5 febbraio, ore 16.00 - 19.00
Presso Il Ciani
Viale Cattaneo 5
Conferenza sulla spada giapponese: Token Conferenza sulle armature: Yoroi e Tosei Gusoku. Storia ed evoluzione Dimostrazione di Kendo
Conferenza sulle armature: Yoroi e Tosei Gusoku. Storia ed evoluzione
Giuseppe Piva
Per sette secoli il Giappone è stato governato da una casta militare - i bushi ovvero la classe dei samurai – che ha lasciato di fatto all’imperatore una sovranità di tipo sacerdotale. L’abbigliamento da guerra dei samurai è quindi sempre stato considerato, anche in periodo di pace, come un importante segno di comando e di condizione sociale. La necessità di distinzione della casta di potere ha talvolta, a seconda dei periodi storici, prevalso sulla funzione protettiva dell’armatura, portando alla realizzazione di armature dalla bellezza stupefacente, impreziosite da ornamenti di pregevole fattura.
La ô-yoroi (letteralmente “grande armatura”) è l'equipaggiamento del periodo medioevale utilizzato esclusivamente a cavallo: bellissima ed estremamente complessa, rappresenta il modello di eleganza anche per i periodi successivi, quando cadrà in disuso. Con l’arrivo della tosei gusoku, l’armatura “moderna”, non si ha infatti una completa progettazione ex novo delle parti bensì una modifica dei modelli che erano stati concepiti nei secoli precedenti. Più agevole in battaglia, ma anche più resistente e confortevole, questo nuovo equipaggiamento venne sviluppato nel XVI secolo, quando in Giappone vennero introdotte le armi da fuoco, cannoni ed archibugi, ad opera dei portoghesi; non più archi e spade, quindi, ma pallottole di piombo che rivoluzionarono sia il combattimento sul campo di battaglia che le strategie militari di più largo respiro. Concepita per far fronte a una situazione di guerra civile, paradossalmente l’armatura moderna rimase in voga anche per il successivo periodo di pace, diventando un importante simbolo di status sociale e non più un mezzo di difesa. Lo sfarzo di lacche e legature colorate, l’impiego di bordure e ornamenti cesellati e dorati e la continua ricerca di decori insoliti sono la principale caratteristica delle armature tosei gusoku del periodo Edo (1615-1867), con un progressivo riavvicinamento ai motivi decorativi delle o-yoroi medievali.Leggere di più
L’aikidō – terza parte
La via, dō.
Il concetto che i giapponesi esprimono con i termini dō o michi, la via, si basa sul concetto del Dao arrivato in Giappone dalla Cina. Il significato originario cinese, andò modificandosi sia a contatto con le credenze autoctone giapponesi, sia per esigenze sociali e politiche della classe egemone, che sintetizzò dagli elementi cinesi un modello di pensiero compatibile con la società feudale giapponese.
Accanto all’essenza filosofica ed etica del dō, si possono trovare elementi religiosi, sebbene il d. non costituisca di per sé una religione.
Il Dao, come dō fu inteso dai giapponesi come “la via” o “la strada” da seguire nella vita. Questa via e infinita e profonda. È lunga, ripida, e piena di numerose difficoltà. Deve quindi essere percorsa come un mezzo di auto-educazione che porterà alla fine all’auto-perfezione.
Il concetto di dō è versatile. Prende la forma di una gran varietà di discipline pratiche, strettamente associate alla vita giapponese. Tutte queste discipline sono sfide finalizzate al raggiungimento di un migliore modo di vita, e sono basate sulla convinzione che un uomo non sia un essere completo se non ha fatto sufficiente esperienza di dō.Leggere di più
L’aikidō – seconda parte
L’energia, ki
Se armonizziamo i nostri movimenti al flusso dei sensi ottenuto mediante gli esercizi di respirazione, la nostra pratica diventa un metodo avanzato del fluire del ki. Ogni individuo è dotato di una particolare fonte di energia, in giapponese ki, che deve poter scorrere liberamente nel corpo, senza incontrare blocchi muscolari che ne impediscano il flusso. Attraverso la pratica dell’aikidō l’individuo impara a utilizzare correttamente questa energia che gli permette di sciogliere i legami di dipendenza con il mondo esteriore per riavvicinarsi alla propria natura interiore.
Bisogna concentrarsi sul centro in cui si sviluppa tale energia, il ventre (hara).
Tramite la respirazione (koky), l’allievo impara a entrare meglio in contatto con i propri desideri più profondi e con le proprie difficoltà interiori. Quando il corpo sarà libero da blocchi, allora il ki ben sviluppato nell’addome potrà diffondersi in tutto il corpo, permettendo la giusta esecuzione delle tecniche. Nell’aikidō. il ki si armonizzerà con quello dell’avversario.Leggere di più
L’aikidō – prima parte
La struttura essenziale della disciplina marziale e spirituale messa a punto da Ueshiba Morihei attraverso un percorso di elaborazione personale che dura decenni, può essere analizzata a partire dal nome stesso: aikidō che in giapponese è composto dai tre ideogrammi: ai che significa unione, ki energia e dō - la via.
L’armonia, ai
Il fondatore dell’aikidō nei suoi ultimi anni comincio ad associare l’ai di aikidō, armonia, all’ai di amore. Dalla pratica di uno deriva l’altro.
L’enfasi sull’armonia dell’aikidō richiama senz’altro la posizione pacifista di Onisaburō.
L’aspetto più importante e che si venga a creare una totale assimilazione (unione) con il partner, piuttosto che proiettarlo o immobilizzarlo. Dal punto di vista tecnico, ciò implica che occorre trattare con cortesia e attenzione le braccia e il corpo del compagno, come se fossero la propria spada o la propria lancia (similmente a ciò che rappresenta il pennello per un pittore o un calligrafo oppure il proprio strumento per un musicista).
Grazie a questo metodo di pratica, che a prima vista si discosta dai metodi delle altre forme di budō, è possibile sviluppare un tipo di allenamento di base che permette di affinare il principio dell’animo che non si confronta, e di effettuare il controllo dei propri sensi. La seguente citazione tratta dai discorsi di Ueshiba Morihei, chiarisce il punto di vista del fondatore:
L’amore non è lotta.
Ai (amore) non è lotta. Nell’amore non ci sono nemici. Colui che pensa di un altro che sia il nemico, colui che sta sempre lottando con qualcuno, e fin dall’inizio lontanodallo spirito/mente dell’Universo. Le persone che non riescono a raggiungere l’unione con lo spirito/mente universale non potranno mai ottenere l’armonia con i movimenti dell’Universo. Se non fosse cosi, lo sforzo marziale di ogni persona non sarebbe il vero bu, ma piuttosto il bu della distruzione. (continua)
Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato