Il Kyukou come metafora della vita

Ci sono molte stazioni nelle quali il kyukou non passa, tu che nella vita ti sei ritrovato in quelle stazioni te li vedi passare davanti tutti i giorni. Tutti i giorni facce da kyukou ti sfrecciano davanti agli occhi, con le loro mille facce e mille vite da kyukou. Il kyukou ti porta lontano e lo fa nel modo più veloce possibile, e per questo motivo non ferma in tutte le stazioni. Se ci si vuole arrivare bisogna faticare, perché queste stazioni distano parecchio tra loro. Alcune, quelle più vicine, hanno più possibilità di essere raggiunte, ma se sei nato lontano dalle grandi stazioni da kyukou devi faticare più degli altri se vuoi raggiungerle, è così che funziona, é la vita d’altronde, non tutti abbiamo le stesse possibilità.

 Sono in tanti a parlarne e ad invidiare i “tipi” da kyukou ma sono altrettanti quelli che non si buttano, non ci provano e preferiscono restare tutta la vita nella stazione dove sono nati, che conoscono a menadito e che li protegge. I più temerari, e tra questi pochi, arrivano a stabilirsi in una di queste prestigiose stazioni, ma arrivati li dopo tanto lavoro scoprono una brutta verità. Arrivarci non basta. Mantenerla é ancora più dura. La competizione al livello di kyukou è alta e tutti vogliono un posto a sedere.  La folla preme ogni mattina ed ogni sera, e non c’è pietà per i deboli. Schiacciati ogni giorno negli stessi vagoni, si sente il fiato amaro di quelli che come te dormono, leggono, ascoltano, palpano, riflettono, rilassano e fissano il niente pregno di corpi davanti a loro. Le regole di cortesia che questa società impone spariscono al momento di salire su quel treno che anche oggi ci Deve portare al lavoro. Allora arrivano un momento prima che le porte si chiudano, si girano di spalle, fanno un passo nel vagone e attaccandosi come scimmie al bordo più alto spingono con la schiena e il suo fondo fino a sentirsi dentro abbastanza da far chiudere le porte. All’interno nel frattempo la massa non si oppone, forse loro stessi ieri erano davanti a quella porta, e si muove ondeggiante tra gomiti nella schiena e borse da computer pigiate sullo sterno. Si sente un mugolio di dolore ma nessuna lamentela, le porte tra la pressione si chiudono e tu sei di nuovo dentro, tocchi a malapena terra, ma resisti, chiudi gli occhi accendi l’iPod e ti lasci stritolare.

 

Barbara Taddeo