L’arte inizia dai preparativi

A mio parere la bellezza e la profondità insite nell’arte dello Shodō 書道risiedono nel fatto che questa disciplina non si limita a soddisfare delle necessità puramente estetiche, ma essa intinge la propria essenza nelle pratiche di ricerca di sé, della rivelazione di Verità.

L’atto di scrivere non è un’azione fine a se stessa, ma una pratica ricca di significati, che deve permettere a chi si presta di raggiungere uno stato mentale di profondo raccoglimento.

Per questo motivo la preparazione dei materiali, la disposizione dell’occorrente devono essere eseguite dall’artista stesso, in quanto momento fondamentale, durante il quale la mente, il corpo e gli utensili stessi stabiliscono tra di loro un primo contatto. Il maestro stende il mōsen 毛氈, un panno di lana che funge da piano d’appoggio, sopra il quale vengono stesi i fogli di carta. Tutt’intorno vengono poi distribuiti i materiali necessari: pennelli, inchiostri, acqua, tamponi, ecc.

Il maestro inizia a sciogliere la tavoletta d’inchiostro, il sumi 墨. Da questo preciso momento il calligrafo entra in uno stato profondo di concentrazione, essenziale per iniziare a configurare nella sua mente la scritta che desidera realizzare. Egli non pensa alle tecniche o all’ordine dei tratti, questi sono azioni automatiche, completamente naturalizzate e assorbite nei propri movimenti. Nessun pensiero nemmeno su quale qualità di carta e pennelli possa essere la scelta migliore; sono distinzioni che si compiono automaticamente, in quanto i tecnicismi, arrivati ad  un certo livello di esperienza, sono stati ben assorbiti nella mente del calligrafo.

Piuttosto con la mente inizia a stabilire le giuste proporzioni da rispettare, il vigore che si vuole impartire al segno, affinché vi sia una perfetta corrispondenza tra lo stato d’animo del maestro e la potenza del carattere realizzato. Questo per non avere esitazioni durante l’esecuzione, lo shodō non concede ripensamenti, ritocchi, esitazioni: tutto deve essere compiuto in un unico slancio emotivo.

La carta, così assorbente, non permette aggiunte successive, o tentativi di correzioni: essa è viva e crudele, rivela, infatti, ogni minimo errore d’esecuzione, facendoli palesemente emergere, rovinando il risultato complessivo.

È quindi durante questa fase preparatoria che il processo creativo ha inizio, perché la mente prende ora coscienza delle idee, dei passaggi di movimento, riuscendo così successivamente a lasciare spazio all’intuito del momento.

La bellezza e la profondità dello shodō quindi non bisogna ricercarli solo nell’opera compiuta, nella spettacolarità di un ideogramma eseguito a regola d’arte, ma anche nell’iter preparatorio previsto. La grandezza di un bravo maestro calligrafo si riconosce nel modo in cui egli sa estraniarsi e fondersi nel profondo con la sua scrittura, dal primo all’ultimo movimento.

Elena Ravazzi, laureata in lingue e culture dell’Asia Orientale presso Ca’ Foscari di Venezia