Giardini giapponesi: l’arte di migliorare la natura (4)

Contributo del buddismo Zen

Oltre all’influenza della geomanzia cinese, che detta regole e tabù speciali che riguardano il posizionamento delle pietre, degli alberi e dei ruscelli in relazione alle direzioni, l’influenza della tradizione giapponese indigena dello shintoismo ha chiaramente a che fare con i principi di design contenuti nel Sakutei Ki. Il principio fondamentale dello shintoismo è l’attribuzione di qualità spirituali a tutti gli oggetti naturali, rendendo la natura degna del nostro rispetto e apprezzamento. La celebrazione di questo mondo da parte dello shintoismo ha aiutato i giapponesi a coltivare un’acuta sensibilità verso la bellezza. Di conseguenza, il design dei giardini giapponesi è fermamente radicato nell’osservazione della realtà empirica. Ciò dà origine al principio del design del “seguire la richiesta”.

Comunque, di gran lunga la più importante base filosofica che ha sostenuto e ulteriormente sviluppato questo principio di “seguire la richiesta” è stato il buddismo Zen, introdotto in Giappone verso la fine del dodicesimo secolo, un secolo dopo la pubblicazione del Sakutei Ki. L’influenza del buddismo Zen sulla realizzazione dei giardini giapponesi è estesa e profonda. I templi Zen erano sempre accompagnati dai giardini per facilitare la meditazione. Inoltre, anche i giardini non associati ai templi Zen erano costruiti di frequente dai monaci Zen o da quei laici, come i maestri del tè, che avevano ricevuto una formazione nel buddismo Zen. Comunque, l’influsso della filosofia Zen sulla realizzazione dei giardini giapponesi è quello che ci interessa in questa sede.

L’insegnamento del buddismo Zen si basa sulla credenza fondamentale che qualsiasi cosa sia la natura del Buddha, interpretata liberamente come Realtà. Questo punto di vista impegna il buddismo Zen verso una concezione completamente egalitaria  che riguarda il valore degli oggetti, dei fenomeni e delle attività. Nei termini di natura buddista, una roccia comune o una tazza incrinata hanno lo stesso valore di un meraviglioso dipinto o di una costosa tazza di porcellana. Analogamente, le attività considerate generalmente mondane, come mangiare o spazzare per terra, sono altrettanto significative dello studio dei testi buddisti e della meditazione. Ad esempio, un monaco Zen del XIV secolo, che è anche noto per i giardini che ha realizzato, dichiara: “[tutte le cose] che il mondo contiene – l’erba e gli alberi, i mattoni e le tegole, tutte le creature, tutte le azioni e le attività – non sono altro che manifestazioni di questa Legge” (cioè, la natura del Buddha) e che “tutti coloro presenti qui, inclusi i mecenati e gli ufficiali, le stesse grondaie e colonne di questa sala, le lanterne e i pilastri, come tutti gli uomini, gli animali, le piante e i semi nell’infinito oceano dell’esistenza… mantengono in movimento la ruota della Legge.”

Comunque, sperimentare la Natura del Buddha come tutto è difficile perché varie distinzioni e valutazioni sono necessarie per organizzare la nostra vita quotidiana. Secondo il celebre pensatore Zen del XIII secolo, Dōgen, il nostro mondo fenomenico è guidato dal “peso del sé”; cioè, è organizzato dagli interessi personali o antropocentrici. Comunque, la perdita di successo di questo punto di vista sin troppo umano facilita la nostra esperienza diretta e non mediata del tutto, trascendendo le preoccupazioni quotidiane. In un’esperienza del genere di illuminazione, diventa possibile che “le montagne verdi camminino per sempre”, “una donna di pietra dia alla luce un figlio di notte” e “l’acqua non è forte o debole, umida o secca, in movimento o ferma, fredda o calda, non esistente o non esistente, non delusione o illuminazione.”  La realtà ultima è quindi descrivibile soltanto come “essere semplicemente nel modo in cui le cose sono”. Ogni oggetto o fenomeno presenta la propria Natura di Buddha essendo semplicemente e completamente se stesso, esercitando e asserendo il proprio “essere così”.

Inoltre, quando ogni oggetto è semplicemente se stesso presentando il proprio “essere così”, la coesistenza degli oggetti e dei fenomeni è resa possibile dalla reciproca dipendenza. Ad esempio, l’arrivo della primavera e la fioritura dei fiori si sostengono reciprocamente.  L’asserzione dell’”essere così” individuale crea un’ineffabile armonia, un rapporto sensibile fra i vari oggetti e fenomeni. L’armonia qui non è prestabilita; piuttosto, le è data origine spontaneamente dalla coesistenza dei vari fenomeni e dalla coesistenza di vari oggetti, ciascuno dei quali sta semplicemente asserendo il proprio “essere così”.

Molte forme artistiche giapponesi ispirate allo Zen sono pensate per aiutare il pubblico a impegnarsi nell’esperienza diretta di questa concezione del mondo Zen.  Fanno ciò creando un microcosmo in cui al rapporto sensibile creato spontaneamente dall’”essere così” di ciascun oggetto viene data espressione sensuale. Queste forme artistiche includono il chanoyu, i giardini, il teatro noh, gli haiku, il verso collegato, la calligrafia e le arti marziali. Il chanoyu è forse l’esempio più cospicuo del fornire un’ambientazione estetica all’esperienza dell’uomo della strada dell’illuminazione Zen.  Questa forma d’arte celebra il valore estetico di attività altrimenti mondane del lavarsi le mani, di mangiare e di bere il tè, così come gli oggetti comuni come le ceramiche dall’aspetto ordinario come i ramoscelli di fiori. Inoltre, i partecipanti sono incoraggiati ad apprezzare l’armonia di una volta nella vita creata dai vari ingredienti che costituiscono l’occasione, passando da elementi relativamente ovvi come le qualità sensorie del giardino, della capanna e degli utensili del tè a elementi meno evidenti quali le condizioni atmosferiche, il posizionamento degli utensili sul tatami e la conversazione fra il padrone di casa e gli ospiti.

L’obiettivo di molti giardini giapponesi può essere paragonato a certi punti che sottendono la Via del Tè. Nei giardini, l’utilizzo di “oggetti trovati” indica l’impegno di scoprire il valore estetico negli oggetti che sono di solito considerati non ispiratori a livello estetico. Il modo particolare in cui sono disposte le pietre e in cui viene data forma agli alberi rivela che l’armonia generale è generata dall’articolazione reciproca e dal miglioramento delle caratteristiche individuali di ciascun elemento, l’”essere così” di ciascun materiale. L’armonia non è mai preconcetta; piuttosto, scaturisce dai particolari ingredienti disponibili in quel momento. Un commentatore sottolinea che l’influenza del buddismo Zen è evidente nei giardini giapponesi in cui “alla pietra quotidiana e allo stagno comune viene concesso di esprimere la propria natura [e viene concesso] di bisbigliare il proprio significato.”  Comunque, invece di presentare semplicemente l’”essere così” di una pietra quotidiana o di un albero comune che cresce liberamente, l’arte del design giapponese dei giardini crea un microcosmo idealizzato naturale in cui “l’essere così” diventa cristallizzato, dando origine a un’armonia generale.

A tale riguardo, si potrebbero trovare somiglianze, invece che differenze, fra i giardini giapponesi e i giardini formali occidentali. Anche i rigidi modelli geometrici e l’ordine simmetrico dei giardini formali occidentali, assenti nei giardini giapponesi, risultano dalla distillazione dell’essenza della natura, interpretata dal punto di vista classico occidentale. L’eredità aristotelica di vedere l’essenza della natura come ordine, unità e coerenza riceve forse la sua più vivida rappresentazione visiva nei giardini formali occidentali. L’ordine logico e la coerenza considerati presenti, benché nascosti, nella natura si incarnano nel terreno predisposto geometricamente e nelle siepi e nei cespugli azzimati con precisione.

Così, sia i giardini giapponesi che i giardini formali occidentali danno espressione alla natura idealizzata distillando le caratteristiche essenziali della natura. La differenza fra loro risiede nel fatto che la forma idealizzata della natura nel giardino formale occidentale è concepita nell’intelletto senza tener conto della manifestazione empirica della natura, mentre la forma idealizzata della natura nel giardino giapponese è derivata dalle caratteristiche percepite della natura empirica. Entrambi i giardini sono tentativi di dare espressione alla rispettiva concezione di natura idealizzata; comunque, solo il giardino giapponese paga un tributo alla natura per come la sperimentiamo, piuttosto che per come la pensiamo.

Di conseguenza, la misura dell’eccellenza artistica nei giardini giapponesi può essere espressa a parole solo in maniera paradossale: hanno successo nella misura in cui l’artificio umano sembra assente. Cioè, il giardiniere ideale lascia la che la natura sia la guida nel determinare il design particolare, invece di imporre uno schema generale sui singoli materiali e forzarli perché si conformino al piano preconcetto, senza tenere conto delle loro caratteristiche. Dovrebbe essere uno “spazio in cui la stessa arte è così ingenua da essere totalmente non evidente”, che consiste della “bellezza delle piante e delle pietre che appaiono inalterate dalle mani umane.”  Una caratteristica distintiva del successo artistico nelle arti relative allo Zen è la spontaneità, l’ingenuità e la libertà senza pertanto significare l’assenza dell’osservazione delle regole o dell’artificio umano. Il più elevato conseguimento artistico all’interno della tradizione Zen si raggiunge quando l’artista ha raggiunto padronanza e ha integrato la tecnica e le regole del mezzo così interamente che il prodotto finale, che sia una procedura per preparare il tè ad una cerimonia di chanoyu, un’opera di calligrafia o un haiku, appare come se fosse generato spontaneamente e senza sforzo. Nella stessa vena, quando l’arte di discernere e amplificare le caratteristiche essenziali della natura viene così raggiunta, il giardino ha l’aspetto di essere semplicemente “divenuto” piuttosto che essere stato “realizzato”.

Saitō Yuriko

Liberamente tradotto da Mariella Minna da Chanoyu Quaterly N. 83