Il senso della bellezza giapponese e l’architettura sukiya (1)

Nella sua opera Fūdō, il filosofo Watsuji Tetsurō (1889-1960) scrive che “la cultura e il senso estetico di un paese sono radicati nelle sue caratteristiche naturali e nel clima”. Va avanti affermando che il Giappone, situato all’interno della cintura dei monsoni, è un paese umido, caratterizzato da mutamenti stagionali definiti con chiarezza. Di volta in volta, la generosità naturale di umidità rovina sulle persone nella forma di piogge torrenziali, tempeste di vento, inondazioni e addirittura siccità. A fronte della furia della natura, le persone hanno poca scelta se non abbandonare tutte le resistenze e sottomettersi.

La sottomissione e la bellezza

L’idea della sottomissione espressa dalla parola giapponese ninjū è quella di resistere e cedere – un concetto che è stato esaltato dai giapponesi nei waka e nella poesia haiku sin dai tempi antichi come un’estetica romantica. Esprime la generosa resa inerente all’improvviso atto della sottomissione, simbolizzata dal turbine di fioriture di ciliegio che esplodono in fiore soltanto per cadere via qualche giorno dopo. Questa caratteristica naturale della sottomissione, causata dal clima umido del Giappone con i suoi cambiamenti stagionali e uragani inaspettati, non soltanto influenzò la poesia ma diede origine alla cultura giapponese nel suo complesso, formando la sensibilità estetica dei giapponesi. Diede origini ai contratti, contorti e deformati pali delle alcove (tokobashira), caratteristici dello stile architettonico sukiya. In altre parole, questa sottomissione dettata dal clima naturale del Giappone si insinua sullo sfondo di quello che i giapponesi ritengono bello e i giapponesi, a loro volta, avvertono la bellezza nelle cose che nascondono un elemento di sottomissione.

Izue Kan