Il Cinema giapponese e la sua derivazione teatrale

Kenji Mizoguchi- Ugetsu (1953)

Nella cinematografia nipponica sono frequenti le opere basate sulla commistione tra il linguaggio cinematografico e quello teatrale, forse proprio a causa del rapporto di filiazione che lega queste due arti, come si è visto. In occidente non mancano esempi di questo tipo,Dopo la prova (1984) di Bergman,L’ultimo metrò di Truffaut o Vanya sulla 42ª strada (1994) di Malle.

Sono però episodi più sporadici. Il teatro kabuki ha trovato molte espressioni al cinema. Una di queste è La ballata di Narayama (Narayama bushikô, 1958) di Kinoshita Keisuke, tratto dal romanzo di Fukazawa Shichirô, storia di un arcaico villaggio di montagna. Il film palesa la sua struttura teatrale già dalla scena iniziale, con un kurogo che batte un gong. E per le scenografie stilizzate, palesemente. Si può vedere solo in Cinemascope, il formato ideale perché ricalca la scena del kabuki. Dallo stesso romanzo è stata realizzata, nel 1983, una versione molto diversa, naturalistica ed estremamente cruda, a opera di Imamura Shohei. Nel mondo del kabuki è ambientato Storia dell’ultimo crisantemo (Zangiku monogatari, 1939) di Mizoguchi Kenji, incentrato sulla carriera di un onnagata, l’ interprete tradizionale di ruoli femminili. Nel film ci sono tre maestose scene teatrali, che si pongono in un rapporto dialettico con la vicenda narrata. Un simile approccio è anche quello di La vendetta di un attore (Yukinojo henge, 1963), remake di un film del 1935, realizzato da Ichikawa Kon, il regista famoso in occidente per L’arpa birmana. Anche qui è protagonista un onnagata, che vuole uccidere tre uomini per vendetta. Memorabile la prima scena teatrale iniziale, dove i fondali si confondono con paesaggi reali, e in cui vengono enunciati i protagonisti del film, che si trovano tra il pubblico.
Sul teatro bunraku è incentratoDoppio suicidio ad Amijima (Shinjô: Ten no Amijima, 1969) di Shinoda Masahiro, regista che aveva fatto studi universitari sul teatro tradizionale. Tratto dal grande drammaturgo Chikamatsu Monzaemon, il film vede la presenza scenica dei kurogu, che guidano le azioni dei personaggi. Indubbiamente la pellicola più estrema, tra quelle giocate tra teatro e cinema, come evidente dal prologo che vede dei burattinai intenti a realizzare i pupazzi di quelli che saranno i personaggi in carne e ossa. Idea questa ripresa nel bellissimo Dolls (2002) di Takeshi Kitano. Anche il teatro nô ha avuto strascichi al cinema come in un’altra opera di Mizoguchi, I racconti della luna pallida d’agosto (Ugetsu monogatari, 1953). E’ una storia con elementi fantastici che seguono i dettami del nô, quali la struttura tripartita negli elementi jô (inizio), ha (sezione media più complessa), kyû (veloce conclusione), e i ruoli tipici del waki, il viandante, e dello shite, il personaggio che si rivela un fantasma in cerca di vendetta. Quest’ultima figura è una donna, Wakasa, truccata come una maschera nô e vestita come un personaggio nô. Anche Kaidan (1965) di Kobayashi Masaki, racconta storie di spiriti, che si basano sugli stessi archetipi narrativi. Come La ballata di Narayama, anche questo film fa uso di fondali irreali che creano un’atmosfera artificiosa. Per realizzare la sua versione del Macbeth, Trono di sangue (Kumonosu jô, 1957), Akira Kurosawa si basa sulla tecnica del nô. E’evidente nella figura di Asaji, corrispettiva di Lady Macbeth, che è sempre immobile, ieratica, inespressiva proprio come nel nô, dove gli attori comprimono la loro energia, e sono in grado di produrre emozioni molto intense con gesti quasi impercettibili. Lo scrittore Mishima Yukio, che aveva scritto molto per il teatro nô, nel suo unico approccio al cinema da regista, Yûkoku (1966), utilizza lo spazio vuoto e astratto di una scenografia nô, per ambientare la sua storia di seppuku. Da citare infine la rappresentazione di nô all’aperto, nell’elegiaco L’uomo che dorme (Nemuru otoko, 1996) di Oguri Kôhei, che accompagna la dipartita di un personaggio. E’ un teatro che mescola realtà e visione, vita e morte.