Fiabe dal Giappone. C’era una volta… Momotaro

Fiabe dal Giappone. C’era una volta… Momotaro

In assoluto il personaggio popolare più famoso in Giappone, eroe per eccellenza, Momotaro è una figura nota ad ogni giapponese come per noi può esserlo quella di Cenerentola o Cappuccetto Rosso.

Nato magicamente da una pesca, sarà allevato amorevolmente da due anziani genitori e partirà per affrontare i terribili Oni, i demoni che terrorizzano con le loro incursioni gli abitanti del villaggio.

Porterà con sé i regali prepararti per l’occasione dai due vecchi: uno stendardo e dei kibidango, buonissimi gnocchetti dolci di miglio che dividerà con i compagni d’avventura che troverà sul cammino: un cane, una scimmia e un fagiano. Grazie al loro aiuto sconfiggerà i demoni impossessandosi dei loro tesori e tornerà vincitore al villaggio.

Un aspetto interessante della fiaba è che si conclude senza il classico “happy end” : Momotaro non sposa alcuna principessa con la quale vivere felici e contenti.

Il suo ritorno al villaggio “sembra quasi suggerire un ideale di banale normalità”, ma in realtà indica una precisa forma di pensiero del popolo giapponese che affonda le sue radici nel rapporto con la natura e nello shintoismo.

Come scrive magistralmente G. Pasqualotto: “…l’orizzonte di senso che fa da sfondo alla concezione del tempo propria delle grandi civiltà orientali è connotato da una forma circolare che garantisce stabilità pur permettendo innovazione […] il modello è dato dall’attività della natura che si esplica in particolari cicli di tempo che si succedono sempre secondo un ordine fisso, ma – aspetto assai importante – con modalità variabili e – cosa ancor più importante – in modi tali da permettere ai singoli eventi di essere diversi uno dall’altro.[…] Questo riferimento alla natura come modello dell’agire fu centrale […] nella civiltà giapponese, sia grazie all’influsso del Buddhismo mediato attraverso la cultura cinese, sia, soprattutto in base al condizionamento diretto dovuto alla religione autoctona shinto, che può essere considerata una vera e propria religione della natura”.

Nutrito dall’amore dei genitori, Momotaro ha nutrito a sua volta una parte di sé, ricavando la forza e le energie – simboleggiate dagli animali – per affrontare i demoni che albergano nel suo inconscio ed averne ragione. Risparmiandoli dopo averli sconfitti, suggerisce che si può convivere con la nostra parte d’ombra senza farle prendere il sopravvento, anzi sfruttandone positivamente l’energia per ricavare importanti “tesori”.

Nelle fiabe “la vittoria non è sugli altri ma soltanto su se stessi e sulla malvagità, soprattutto la propria, che è proiettata sotto forma dell’antagonista dell’eroe “.

Ovviamente la fiaba si presta a molteplici interpretazioni, e infatti ha stimolato una grande quantità di studi, con approcci diversi che di volta in volta hanno sottolineato aspetti diversi e molto interessanti, come il collegamento ad antichi riti di iniziazione. Anche le figure simboliche degli animali si prestano a più livelli di interpretazioni.

Non è superfluo ricordare che l’efficacia della fiaba, al di là delle infinite analisi a cui si presta, consiste nel rivolgersi adeguatamente al bambino, ovvero tenendo conto del suo livello di comprensione e di maturità psicologica, gettando dei semi che germoglieranno a tempo debito.

Una voce molto autorevole, Bruno Bettelheim, ha analizzato mirabilmente la figura di Momotaro nell’introduzione alla traduzione giapponese del suo famoso saggio “ Il mondo incantato”. Egli scrive: “Il significato racchiuso nella fiaba e che può essere trasmesso sia ai genitori sia ai figli ci dice in sostanza che un bambino realmente amato dai genitori, nel momento in cui affronta il mondo, può avere la fortuna di incontrare buoni amici, può essere in grado di vincere gli innumerevoli pericoli che nascono dall’interno e dall’esterno della sua coscienza e, alla fine, può condurre un’esistenza pienamente realizzata. Cosa simboleggiano dunque i tesori dei demoni ? Sono il simbolo degli infiniti tesori della vita e non devono essere letti solo in termini materiali ”.

E soprattutto ci ricorda che “ la fiaba non potrebbe esercitare il suo impatto psicologico sul bambino se non fosse in primo luogo e soprattutto un’opera d’arte”.

Pino Zema

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