Intervista a Seiko Katagiri

Dopo il successo della mostra “Rispecchia e viene rispecchiata – osmosi tra il colore e il tempo” presso la sede di ArteGiappone, Seiko Katagiri ci racconta la filosofia alla base delle sue opere.

Il titolo della mostra è Rispecchia e viene rispecchiata: il soggetto è dunque il riflesso?

Non il riflesso, ma l’oggetto che rispecchia: acqua, vetro, specchi sono presenti in quasi tutte le opere qui esposte e sono elementi fondamentali per la pianificazione del quadro, il quale viene diviso fra zone in luce e in ombra, zone reali e rispecchiate.

Tuttavia, pur nascendo da un soggetto realistico, il metodo applicato è astratto, al punto che il dipinto non è più un mero ritratto dell’oggetto ma quest’ultimo viene filtrato attraverso la mia prospettiva, fino a diventare ciò che vedo attraverso la mia memoria.

Quindi non è l’oggetto in sè che vuole mostrare, ma ciò che esso rappresenta?

Sì, vorrei mostrare agli altri la felicità che mi provocano questi oggetti, una piccola felicità quotidiana. Con il tempo, i ricordi si accumulano su ciò che ci circonda, che viene irrimediabilmente legato alle memorie più preziose. Queste si sovrappongono al panorama attuale e le due dimensioni diventano tutt’una, deformando e colorando ciò che vediamo, con un effetto che ricorda quello della luna riflessa sull’acqua.

Nelle sue opere prevalgono le immagini domestiche: la cucina, il bagno, il panorama visto dall’interno della casa…A cosa è dovuto ciò?

Molte persone insistono nel voler viaggiare e vedere posti diversi rispetto alla propria routine; io al contrario ho sempre desiderato una casa sul mare perchè fosse il paesaggio a cambiare per me. E’ un punto di vista sulla vita completamente diverso.

Vorrei mostrare a tutti quantà felicità ci sia nella vita quotidiana: alcuni artisti prendono spunto da luoghi ed esperienze insolite, mentre io preferisco approfondire le scene più familiari e renderle uniche attraverso la mia interiorità.

E poi, dipingere paesaggi da una prospettiva interna alla casa ha un altro vantaggio: posso usare porte e finestre come cornici nel quadro, con un effetto che sottolinea meglio il panorama.

Non si sente restia a mostrare la propria interiorità?

Al contrario, voglio aver modo di esprimere queste piccole gioie semplici senza ostacoli, che siano la rappresentazione diretta della mia interiorità senza nemmeno l’oggettività che il realismo comporta: un oggetto realistico è neutro, quindi non rispecchia per nulla ciò che una persona vede in esso.

Inoltre, provengo da una cultura che non dispone di muri dietro cui nascondersi; le case erano fatte di pannelli, carta, legno e non di mattoni come quelle occidentali, quindi c’era sempre una reciprocità nel mostrarsi all’interno della comunità, soprattutto durante la mia adolescenza.

Com’è cambiata la sua percezione da allora?

Quando ero ancora nubile, dipingevo la realtà che conoscevo allora, soprattutto donne e gatti. Da sposata, ho iniziato a ritrarre anche altri soggetti, introducendo uomini e bambini nelle mie opere. Sicuramente è rimasto il forte legame fra le mie opere e la mia vita, e il senso di compenetrazione fra passato e realtà attuale.

Si è ispirata a qualche forma pittorica del passato?

Per quanto riguarda la tradizione italiana, sono affascinata dai pittori anonimi del XIII/XIV secolo, quando nell’arte figurativa era ancora forte il senso religioso e la pittura era principalmente bidimensionale; mi ricordano alcuni stili più tipicamente orientali, come la tecnica Rinpa o gli Emakimono, i rotoli di narrazione che alternavano pittura e testo. Mi piace quel tipo di prospettiva dall’alto e la molteplicità di punti di vista che queste opere racchiudono.

D’altra parte, amo molto anche autori noti come Giotto con le sue innumerevoli tonalità di bianco e sono davvero affascinata dalle opere di Piero della Francesca.

Fra le sue opere esposte qui, presso ArteGiappone, qual’è la sua preferita?

Penso che quelle più interessanti siano Morning e Night, che ritraggono lo stesso luogo in due orari differenti. In particolare, Night è il risultato di una tecnica diversa, che ho adottato per la prima volta: in precedenza costruivo il quadro con il presupposto che dove c’è luce dev’esserci necessariamente anche l’ombra. Invece questa immagine nasce dal mio tentativo di liberarmi dalla legge della natura che obbliga i due elementi a coesistere e penso che in futuro continuerò a sperimentare in questa direzione.