Washoku kentei – A tu per tu con chi l’ha voluto portare in Italia

In Italia, la cucina giapponese è sicuramente una delle più apprezzate e popolari. E, nonostante tutto, anche una delle meno conosciute. Nell’opinione comune, infatti, è facile che la ricchissima tradizione gastronomica del Paese del Sol Levante sia appiattita al solo sushi, magari anche mangiato in uno di quei ristoranti “all you can eat” che abbondano nelle nostre città e che di giapponese non hanno quasi nulla. Per correggere questa innocente inconsapevolezza e diffondere una vera conoscenza della tradizione alimentare giapponese – chiamata anche washoku (il carattere “wa “ significa armonia, e si usa normalmente per indicare il Giappone; “shoku” è il carattere che indica “mangiare”) – Fumiaki Tamada ha deciso di portare in Italia il corso Washoku culture. Il corso, la cui prima lezione si è tenuta lo scorso sabato 25 febbraio presso i locali della scuola di lingue Eurasia Academy, continuerà fino a maggio e offrirà una ricca panoramica sulla cultura alimentare giapponese. Ma di cosa si tratta esattamente? Lo abbiamo chiesto direttamente al signor Tamada.

“Il corso washoku culture si prefigge lo scopo di diffondere la conoscenza della reale cultura alimentare giapponese, cercando di aumentare la consapevolezza verso questa tradizione gastronomica. La cucina giapponese infatti non è solo un insieme di tecniche e ricette, ma ha radici profondamente ancorate alla storia e alla cultura del nostro Paese, che oggi si tendono a ignorare. Ma senza conoscere queste basi non è possibile comprenderla fino in fondo e si rischia di dimenticare il motivo per cui certi piatti si preparino o si consumino in un certo modo.”

Il pubblico accorso alla prima lezione, in realtà, non era proprio numerosissimo. “Temo che molte persone non abbiano capito esattamente in cosa consiste il corso” ci spiega Tamada. “Noi non vogliamo insegnare le tecniche della cucina, ma la cultura della cucina, che sta dietro quelle tecniche. Alla fine del corso, dopo il superamento di un esame, si ottiene il certificato washoku kentei (kentei significa certificazione), che attesta la conoscenza della cultura alimentare giapponese.” Un corso molto sui generis, quindi, ma nel cui successo Tamada crede fermamente, senza farsi scoraggiare dai numeri iniziali. “Pensavamo fosse un momento ideale per proporre questo corso in Italia, dal momento che moltissimi giovani sono interessati alla cucina giapponese e, conseguentemente, alla cultura giapponese trasmessa attraverso la cucina. Alla fine, è la nostra prima volta, e anche una delle prime che viene proposto fuori dal Giappone, da quando la certificazione è stata istituita nel 2011. La prima impressione è molto positiva. Durante la lezione, c’è stata una bella atmosfera, molto familiare. I partecipanti hanno creato subito un rapporto diretto con la maestra, cosa che ha favorito anche le domande e gli interventi. E’ stato anche un esempio della squisita ospitalità giapponese.”

Ma a chi è rivolto esattamente un corso così particolare? Anche su questo, Tamada ha le idee ben chiare. “Il nostro corso è indirizzato sia ai semplici appassionati di cucina giapponese, che ai professionisti operanti nel settore della ristorazione. Non voglio criticare nessuno, ma oggi c’è davvero poca consapevolezza circa la vera tradizione gastronomica giapponese, anche da parte degli addetti ai lavori. Grazie alla collaborazione dell’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi e del suo presidente Minoru Hirazawa – o, come è più conosciuto, Shiro-san di Poporoya – ho già raccolto numerosi contatti di professionisti interessati. Per ora c’è un unico corso base, ma pensiamo di crearne in seguito uno esclusivamente dedicato agli addetti ai lavori. Per i semplici appassionati, invece, c’è anche la possibilità di frequentare solamente una singola lezione, un’ottima soluzione per chi non ha la possibilità di essere sempre presente nei tre mesi di corso”

Dopo averci parlato entusiasticamente della sua creatura, Tamada inizia a raccontarci la sua storia, e delle circostanze che lo hanno spinto a proporre il washoku kentei agli Italiani. “Sono arrivato in Italia nel 1979, alle dipendenze di un calzaturificio giapponese che collaborava con vari brand italiani. In seguito mi sono messo in proprio, spostandomi da Roma a Milano. Sono più di 30 anni che la mia società opera nel trading nel settore tessile. Negli ultimi anni, una flessione degli affari mi ha spinto a cercare nuove strade da percorrere. Grazie ad alcuni amici giapponesi, ho conosciuto la realtà del washoku kentei, che in quel momento stava cercando proprio alcuni collaboratori all’estero per poter diffondere i loro corsi anche fuori dal Giappone. Conoscendo la grande passione degli Italiani per il cibo e la cucina giapponese, ho deciso di tentare la sfida”.
Una vicinanza forse scomoda quella di due tradizioni alimentari così importanti, entrambe, non a caso, inserite nel novero dei Patrimoni Culturali Immateriali dell’Unesco. Tamada, tuttavia, non reputa che le due culture culinarie siano così distanti.”Senza dubbio non ci sono delle vere e proprie somiglianze, visto che le due tradizioni sono frutto di due culture differenti, e il rapporto che esiste tra queste è molto profondo. È dalla cultura che nascono i piatti. Ci possono però essere in futuro vari punti di contatto, o delle reciproche influenze. Basti vedere come oggi chef e cuochi italiani si ispirino sempre più alle tecniche di lavorazione o agli ingredienti della cucina giapponese. È una cosa che fa capire come sia ricercata e richiesta la vera tradizione alimentare giapponese. Credo molto in uno scambio di questo tipo, di materiali, di tecniche e di idee, anche per poter avviare dei progetti insieme.”

Federico Moia