GLI AINU DEL GIAPPONE – VII. A SPASSO TRA I VILLAGGI RICOSTRUITI

Nel corso del tempo, gli Ainu hanno assistito ad un passaggio di grande interesse, fondato su un meccanismo iniziale che considerava loro “ultimi”, fino ad un invito al folklore. I centri turistici, in questo modo, hanno acquisito un valore aggiunto divenendo le principali porte d’accesso verso un universo ancora pervaso dal mistero. In realtà, la presenza degli Ainu sull’isola rimane circoscritta ai villaggi ricostruiti, consacrati interamente al turismo. La politica di assimilazione forzata degli Ainu nella società giapponese, dopo la Restaurazione Meiji, vide il divieto delle tradizionali pratiche indigene come i tatuaggi femminili, le barbe e gli ornamenti maschili e addirittura parlare la propria lingua, operando una conversione alla politica agricola. In questo contesto, la riappropriazione e il controllo della propria immagine è risultata alquanto necessaria e l’etno-turismo a tal proposito si è rivelato un supporto significativo.

Secondo gli antropologi il ruolo dell’etno-turismo si rivela essenziale, poichè passa attraverso la conservazione e lo sviluppo delle espressioni culturali contemporanee. La potenza generatrice che esso possiede stimola la ricerca attenta dei rituali e degli oggetti tradizionali, cooperando in tal modo la rivitalizzazione degli antichi saperi e supportando la formulazione delle rivendicazioni identitarie. La qualità delle loro prestazioni in aggiunta alla ricerca di autenticità culturale è accompagnata da un investimento formativo costante. Si tratta della creazione di una reale riappropriazione dell’identità. Gli sforzi dunque verso l’etno-turismo, possono essere percepiti ora come una seria possibilità di riconoscimento. Attualmente tre sono i villaggi ricostruiti attivi: il Poroto Kotan; il Nibutani Kotan e l’Akan Kotan.

 

Il Poroto Kotan (“grande villaggio lacustre”), originariamente sorgeva nel distretto urbano di Shiraoi, nel 1965 venne dislocato sulle rive del Lago di Poroto, andando a formare un museo all’aperto il cui fine era la conservazione e la diffusione della tradizione culturale Ainu. Nonostante il sito sia attualmente chiuso per i lavori di riqualifica dell’area e per il complesso progetto di museo e parco, ho voluto comunque ricordare come è stato fino ad ora, inserendone una breve descrizione. L’ingresso del villaggio era custodito da una grande statua, alta 16 m, nota come Kotankorkur (“la statua del capo”.  La struttura comprendeva cinque Chise («casa in paglia»), un fienile, una sala per gli spettacoli di danza e di musica,  un giardino botanico, uno zoo in miniatura con l’orso, un canile per cani da caccia Ainu, un centro espositivo molto fornito la cui documentazione è bilingue (giapponese e inglese), un museo e numerosi negozi di souvenirs. Il giardino botanico, accoglieva circa 50 tipi di piante utilizzate dagli Ainu sia come rimedi naturali che in cucina. L’operazione del villaggio di Shiraoi è stata assolutamente unica, il principale beneficiario degli sforzi di conservazione e di rivitalizzazione della cultura Ainu. Quando l’ho visitato nel mese di agosto 2019, esso appariva come un enorme cantiere a cielo aperto. La riapertura era prevista per il 24 Aprile 2020, poi a causa del virus COVID-19, è stata posticipata al 29 Maggio 2020, mentre i Giochi Olimpici di Tokyō sono stati spostati per l’anno 2021. 

Statua del capo “Kotankorkur”, presso il “Poroto Kotan”, Shiraoi. Fonte: https://hokkaido-labo.com/en/shiraoi-poroto-kotan-11471

Il secondo villaggio è il Nibutani Kotan (Niputai, in lingua ainu sta per “il luogo dove gli alberi crescono in abbondanza”. Nibutani di fatto, è un quartiere nella città di Biratori in Hokkaidō. Si tratta di una foresta ove, la ricca bellezza delle stagioni, che si caratterizza di una primavera scintillante, di un’estate dai colori vivaci e ancora degli scenari dai toni caldi che contraddistinguono l’autunno fino al bianco candore dell’inverno, si riflettono nelle acque del fiume Saru. Il villaggio accoglie il “Museo della Cultura Ainu”, che dispone di una vasta collezione di oggetti della tradizione Ainu, assieme a una più modesta collezione, esposta in maniera permanente, nel Museo di Kayano Shigeru, fondato nel 1972. Caratterizzato da oltre 10.000 manufatti, oggetti da lui stesso messi insieme nel corso del tempo. All’esterno dei musei, sono stati realizzati diversi Chise, nei quali si alternano rappresentazioni come i riti e le danze tradizionali. Al loro interno, ogni Chise prevede un focolare impiegato sia per il riscaldamento che per la cucina, ma soprattutto per la venerazione di Fuchi Kamuy, la divinità del fuoco, la quale veglia sulle famiglie residenti. Il focolare, si presenta con una rastrelliera di legno fissata al soffitto, per consentire al pesce o alla carne l’affumicatura tipica. Accanto al “Museo della Cultura Ainu”, si erge il “Museo Storico del fiume Saru”, fondato nel 2010, considerato un archivio estremamente interessante. Esso custodisce al suo interno, un modello in scala del territorio circostante prima che la diga fosse stata costruita, con gli spazi culturali chiaramente condannati, posti in evidenza. Tra gli oggetti che fanno parte della collezione, spade di ferro, ciotole e aghi, accumulati nel corso dei secoli, dal commercio con i giapponesi. Simile ad un ufficio turistico, completa l’istituzione precedente offrendo molte informazioni sulle pratiche socioculturali aborigene.

Nibutani non è paragonabile ai centri turistici, poiché la regione è l’unico distretto in Giappone ove tra 500 persone che vi abitano, la maggioranza (più dell’80% della popolazione) è Ainu. Un crescente interesse per la loro cultura porta un numero maggiore di turisti, così a partire dal 2011, si assiste ad una interessante iniziativa che vede protagonisti gli artigiani. Il progetto prende il nome di (Takumi no michi, 匠 の 道), che sta per “la via degli Artigiani”. Gli accurati lavori artigianali presto hanno ottenuto lo status ufficiale di “mestiere tradizionale”, rilasciato dal Ministero dell’Economia nel 2013. Ma il Nibutani continua, ad ogni modo, a prendere le distanze dai villaggi turistici. Durante la mia visita nel mese di agosto del 2019, ho constatato che l’aria che si respira non è quella di un villaggio turistico, ma di un’area in cui artigianato/arte Ainu la fanno da padrona, tra collezioni museali e botteghe impolverate dei diversi artigiani/artisti.  

Il villaggio “Nibutani Kotan”, a Biratori. Foto dell’autrice.

 

Infine vi è l’Akan Kotan. Il villaggio sorge sulle rive del lago Akan, all’interno del Parco Nazionale, dove vivono circa 200 Ainu. Esso è l’unico ad offrire prestazioni per tutto l’anno e rappresentazioni socio-culturali della vita Ainu. Caratterizzato di un’arteria principale, contraddistinta da negozi di souvenirs (artigianato Ainu), ristoranti ove è possibile degustare piatti tipici, caffè e altro ancora, la quale conduce al centro del villaggio ove un teatro detto “ikor” offre agli ospiti la possibilità di assistere a spettacoli di danza, di ascoltare la musica tradizionale e seguire con attenzione i racconti dall’ekashi e dalla fuchi, in grado di trasmettere l’autentico spirito d’armonia tra Ainu e natura, si può visitare anche una Pon-Chise, cioè una piccola casa tradizionale e il Museo della Memoria cha ha la funzione di preservare e diffondere la cultura Ainu. Molte sono le attività svolte durante l’anno come le lezioni di ricamo, di intarsio del legno, di musica tradizionale, di storia.

Il villaggio “Akan Kotan”, Kushiro. Foto dell’autrice.

La sensazione che mi ha accompagnato durante la mia visita al villaggio, nell’agosto del 2019, è stata di industria turistica. Negozi, supermercati, ristoranti, workshops, spettacoli, era tutto un richiamo alla cultura indigena. L’Ainu Kotan stesso, può dunque essere definito un marchingegno di sopravvivenza fortemente collegato all’economia del turismo. Queste attività, sono di vitale importanza per gli Ainu ma, allo stesso tempo, hanno suscitato numerosi dibattiti poiché il turismo può assumere una connotazione negativa, quando l’immagine delle tradizioni sacre è alterata, facendo apparire tutto artificioso, o addirittura risultare prive di qualsiasi veridicità storica, rimandando l’immagine di una vita che non esiste più.

Tuttavia, se l’etno-turismo si fonda su condizioni sane, può anche tradursi in un formidabile supporto socio-economico. L’impulso delle economie locali, può in effetti migliorare la qualità della vita degli interessati, e impedirne la semplice estinzione, creando una fitta rete di impieghi. Gli aborigeni in questo modo, partecipano attivamente all’economia rivelandosi un valido esempio di collaborazione tra comunità con mutuo interesse.

 

 

                                                                                                                                 Sabrina Battipaglia