Aikidō: aspetti rituali
La pratica dell’aikidō è fatta di gesti e comportamenti ben codificati. Non esiste l’improvvisazione. Non ci sono professioni di fede o credo da recitare, conoscere i testi non viene richiesto per salire di grado. Tuttavia ci sono delle regole da seguire.
Durante la pratica bisogna stare in silenzio, attenti e rispettosi degli altri. In più ci sono precisi rituali da osservare salendo e scendendo dal tatami, all’inizio e alla fine della lezione. Questo inchino rituale segna una chiara demarcazione tra lo spazio di pratica e quello esterno. Così come il saluto rituale all’inizio e alla fine della lezione,
l’inchino al kamidana del dōjō. Anche gli esercizi preliminari di riscaldamento diventano rituale. Gli speciali esercizi chiamati aiki taisō sono stati mutuati dalla tradizione shintō e sono tradizionali pratiche esoteriche. Per poter osservare le componenti religiose di alcuni comportamenti rituali coinvolti nell’aikidō, saremo guidati dal sistema di osservazione delle azioni rituali descritte nel testo Rethinking Religion di Lawson e McCauley.
La teoria di Lawson e McCauley ignora il dibattito sulle pretese di verità della religione e si focalizza sull’analisi di specifiche credenze e atti rituali propri di religioni particolari. Questo metodo mette da parte problematiche tipicamente teologiche.
La teoria di Lawson e McCauley sull’analisi rituale enuncia che all’interno dei rituali di un dato sistema ci sono grandi quantità di conoscenze sul sistema stesso.
Questa conoscenza può essere osservata esaminando le componenti necessarie del rituale. Un esempio è il rituale cattolico di farsi il segno della croce con l’acqua santa entrando in chiesa. Analizzando questo rituale si è in grado di rintracciare l’origine del gesto che risale a quando Cristo ha fondato la Chiesa. Essi osservano che l’acqua santa non ha poteri in sé, è solo grazie all’atto del prete di benedire acqua normale che essa diventa santa. Il prete può benedire l’acqua perché ne ha ricevuto il potere da tre vescovi. I vescovi a sua volta hanno avuto l’autorità dalla chiesa. La Chiesa esiste perché è stata istituita da Cristo sulla terra. Alla fine né il parrocchiano né l’acqua santa possono benedire. Bensì il potere di Cristo. Tutte queste conoscenze sono annidate nel rituale del parrocchiano che si benedice facendosi il segno della croce all’ingresso della chiesa. La teoria di Lawson e McCauley offre una schema per scoprire le componenti necessarie per decodificare il linguaggio del rito e il suo ruolo nella religione.
La teoria di Lawson e McCauley ci permette una chiara analisi dell’azione rituale e permette ai ricercatori di determinare il ruolo di entità del divino nella struttura del rito, e di capire il ruolo di tali entità all’interno della cosmologia dei credenti.
Ogni rito viene analizzato per individuarne le componenti e le sedimentazioni storiche e come vengono vissuti dai credenti.
Gli aspetti rituali presenti nella pratica dell’aikidō possono essere analizzati e individuali attraverso la descrizione della pratica di questa disciplina. Il luogo della pratica, dōjō non può essere uno spazio qualsiasi ma deve essere identificato da alcuni elementi che gli danno una “sacralità”, la dignità di tempio. Qualsiasi sia la forma e la dimensione del dōjō, lo spazio ha un orientamento definito: il punto di riferimento è la parte frontale del dōjō, chiamata shōmen, dove viene collocata l’immagine del fondatore. Di solito si tratta di una fotografia in bianco e nero adeguatamente incorniciata che ritrae Ueshiba nei suoi ultimi anni, raffigurato come saggio patriarca con una lunga barba bianca e un’espressione serena .
A volte può essere affiancata da una calligrafia con la scritta aikidō o qualche detto di Ueshiba, il sostegno per le spade (bokken) e i pugnali (tantō), una composizione floreale o un piccolo altare con le campanelle.
Anche il pavimento del dōjō ha la una sua identità ben definita, funzionale alla pratica ma anche necessaria a delimitare l’ambiente in cui si svolge.
Il praticante prima di accedere al tatami si inchina.
La fase iniziale e finale di ogni lezione prevedono un rituale di saluto ben strutturato; all’inizio il maestro seduto in seiza (sui talloni, ritto sulla schiena)davanti al kamidana si inchina pronununciando la parola rei (inchino) verso l’immagine di Ueshiba, così gli allievi allineati di fronte a lui, a loro volta in posizione seiza; quindi il maestro si rivolge agli allievi e si inchina ancora come segno di riconoscimento del loro rispetto, a loro volta gli allievi si inchinano al maestro in segno di ringraziamento per il suo insegnamento. Anche all’inizio e alla fine di ogni esercizio si saluta e ringrazia il compagno di pratica.
La pratica segue il modello tradizionale giapponese. Il maestro dimostra la tecnica oggetto della lezione, esprime qualche commento. Quindi gli allievi sono invitati a imitare quello che il maestro ha fatto cercando di scoprire da sé i principi della tecnica. L’imitazione del maestro per arrivare alla percezione della tecnica è il metodo d’apprendimento usato tutt’oggi in Giappone per qualsiasi materia.
Gli elementi che assimilano l’aikidō a una religione si possono determinare osservando i rituali e analizzandoli secondo la teoria di Lawson e Mc Cauley.
La pratica dell’aikidō richiede necessariamente la presenza del maestro la cui autorità permette lo svolgersi del rituale, oltre che del riconoscimento dei gradi di apprendimento.
L’autorità del maestro è stata a sua volta certificata da un diretto studente di Ueshiba se non da Ueshiba stesso. Il fondatore a sua volta non rivendicava a sé la concezione dell’aikidō ma si diceva ispirato direttamente da un’entità soprannaturale.
Grazie alla guida di un kami che gli rivelava le leggi fondamentali dell’universo, Ueshiba era stato scelto come strumento per propagare l’aikidō sulla terra.
Secondo le parole di Ueshiba stesso confermate da Onisaburō Deguchi, l’aikidō diventa un mezzo per avvicinarsi al divino.
La natura religiosa del rituale dell’aikidō traspare per il fatto che si rende necessaria la presenza di un maestro che più o meno direttamente è riconducibile al fondatore stesso, e quindi al kami che lo ha ispirato. Il fatto di rispettare questi rituali rende il praticante partecipe di questa attività indipendentemente da quale sia il suo credo religioso.
Anche l’aikidō ha il suo piccolo luogo di culto nella cittadina di Iwama, prefettura di Ibaraki. Si tratta dell’Aiki Jinja, un santuario shintoista edificato da Ueshiba nel 1960 a simboleggiare il suo credo nell’aikidō come disciplina spirituale. Ogni anno il 29 aprile si tiene una cerimonia presieduta da un sacerdote Ōmoto. La data coincide con il compleanno dell’ultimo imperatore Shōwa, festa nazionale, anche in commemorazione della morte del fondatore il 26 aprile 1969.
La parte piú antica costruita nel 1943 non è più in uso ma rimane ancora accanto alla struttura attuale. Il Maestro Saitō Morihiro è stato guardiano del tempio dal 1969 fino alla morte nel 2002. Attualmente il titolo è passato al dōshu Ueshiba Moriteru.
Chiara Bottelli, nipponista, si occupa di turismo responsabile e artigianato