La cucina casalinga di Keiko torna con due nuovi libri

L’avevamo conosciuta così Keiko Irimajiri, grazie e attraverso i corsi di cucina giapponese della K’ kitchen, passati anche presso la nostra associazione e che ora, per forza di cose, si tengono interamente online.

Oggi ritorniamo a parlare di lei perché, in questo momento difficile, ha trovato un modo per entrare nelle case di tutti coloro che la seguono con passione: con due nuovi libri di cucina della fortunata serie “Le ricette di Keiko”.

La sua carriera inizia come graphic designer per Toraya, un noto marchio di wagashi (dolci tradizionali giapponesi), ma riesce pian piano a fare della propria passione per la cucina una professione, iniziando da lì a poco a insegnare presso la scuola culinaria “ABC Cooking studio”, dove diventa direttrice della sezione “ABC Kids”.  Si avvicina alla cultura italiana nel periodo in cui è assistente presso la scuola culinaria “La Tavola di Tata” della signora Kikuko Panzetta, ricercatrice di cucina casalinga napoletana. In seguito, lavora per il ristorante “Olivo” di Tōkyō che importa olio d’oliva italiano.

Nel 2012 crea K’s Kitchen a Tōkyō, New York e anche a Milano. Si tratta di laboratori di cucina dove insegna la cucina casalinga giapponese agli italiani e quella italiana o internazionale ai giapponesi. Lo scopo dei suoi corsi è quello di abbattere gli stereotipi sulle culture culinarie, soprattutto quella giapponese, e mostrare la ricchezza e la varietà di piatti possibili.

“Quando parliamo di cucina giapponese sicuramente vengono in mente pietanze come il sushi, il sashimi e il ramen che stanno diventando sempre più popolari anche in Italia. Sono buonissimi e anche a me piacciono molto. Tuttavia, vorrei far capire che queste ricette non sono altro che una piccola parte della cucina giapponese. Il mio desiderio è di mostrare e far conoscere a tutti gli italiani la cucina casalinga giapponese, proprio come la preparavo a casa mia in Giappone.”

La sua cucina, quindi, non è di certo ricercata, ma semplice e preparata con il cuore, un valore fondamentale insieme alla scelta accurata degli ingredienti e l’omotenashi (ospitalità).

Nell’agosto del 2020 pubblica il suo libro di cucina “Le ricette di Keiko – Deliziosi Bentō Giapponesi“, il primo di una lunga serie che oggi vediamo proseguire con “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Sushi Casalinghi” e “Le Ricette di Keiko - Deliziosi Dolci Giapponesi”.

Tutti i libri includono illustrazioni e foto per ciascun procedimento e le ricette all’interno sono create usando ingredienti che si possono trovare anche in Italia.

Potrebbe essere un regalo di natale perfetto per gli amanti del Giappone e della sua cultura culinaria!

Mentre ci pensate, vi lasciamo i link dove poterli acquistare.

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Amanda De Luca


La cucina Yōshoku

Mi chiamo Keiko Irimajiri e sono un'insegnante di cucina casalinga giapponese.
Oggi vorrei introdurvi la cucina Yōshoku (洋食), un genere di cucina giapponese diversa rispetto a quelle tradizionali come Sushi, Sashimi o Kaiseki-ryōri, ma molto popolare in Giappone.

I piatti Yōshoku (洋食) sono ricette in stile occidentale inventati o rielaborati in Giappone.

 (洋) significa "occidentale" e shoku (食) "mangiare" o "piatto"). 

Molte varietà di cibi, ingredienti e metodi di cucina sono stati estrapolati da culture straniere, come quella inglese, indiana, portoghese e italiana.
Per esempio, per quanto riguarda il riso al curry, esso è storicamente originario dell'India, ma è stato introdotto nella cultura culinaria giapponese come pietanza inglese.

Dopo aver sperimentato con la cucina occidentale durante il periodo Meiji, molti cuochi decisero di innovare la cucina giapponese. Pur ispirandosi al mondo occidentale, i cuochi non seguivano la ricetta originale, ma la adattavano alle preferenze di gusto dei consumatori giapponesi, creando, di fatto, sapori del tutto nuovi .

Tra questi ricordiamo: il riso al curry (カレーライス), l'insalata di patate (ポテトサラダ), l'omurice (オムライス), il korokke (コロッケ), l'hamburger (ハンバーグ), i gamberetti fritti (海老フライ), il katsudon (かつ丼) e gli spaghetti Napolitan (スパゲッティナポリタン).
Quando noi Giapponesi mangiamo Yōshoku (洋食), usiamo forchetta, coltello e cucchiaio, non solo le bacchette. Amiamo ogni genere di incontro tra culture lontane.

D'ora in poi, nelle mie lezioni di cucina casalinga giapponese preparerò anche i piatti Yōshoku (洋食), non solo quelli tradizionali. 

Spero che molti italiani vogliano imparare i segreti di questo tipo di cucina, in modo da poter replicare i piatti a casa.
Non vedo l'ora di conoscervi, vi aspetto alle mie lezioni!

Keiko Irimajiri


Il Tofu

La comune definizione “formaggio di soia” usata in Occidente può essere fuorviante perché il to¯fu, al contrario del vero e proprio formaggio, ha origine esclusivamente vegetale. Si produce con il latte ricavato dai fagioli di soia che, con l’aiuto di un coagulante (cloruro di magnesio o solfato di calcio) viene fatto rapprendere versandolo in forme rettangolari, indi tagliato in panetti di circa300 grammiche saranno poi venduti in vaschette contenenti acqua fredda. Di colore bianco e quasi insapore, ha la consistenza di un compatto formaggio magro oppure di un solido budino.

Tra le qualità del tofu, oltre al fatto che per millenni ha costituito la maggior fonte proteica per le popolazioni estremo-orientali, è necessario mettere in evidenza che:

  • ha un basso valore calorico (meno di 100 calorie per100 grammi) e un alto valore proteico
  • del tutto privo di colesterolo, contiene potassio, 80% di grassi insaturi (come l’acido linoleico) e un minimo di grassi saturi
  • non contiene tossine chimiche
  • è molto digeribile, quindi adatto a bambini e anziani.

In Giappone il tofu viene venduto fresco di giornata, in Italia lo si trova in piccoli contenitori di cartone (brik) simili a quelli del latte ed è pronto da consumare, oppure lo si può acquistare fresco in qualche ristorante take-away; esiste anche quello istantaneo da preparare utilizzando la polvere contenuta in scatolette di cartone.

Il tofu fresco si conserva in frigorifero, in un recipiente pieno d’acqua fredda cambiata quotidianamente, per alcuni giorni. Può essere cucinato in moltissimi modi perché assorbe il sapore dei condimenti o degli ingredienti con cui viene cotto. Eccone ad esempio alcuni:

  • agedashido¯fu: tagliato a dadini, passati nella fecola e fritti, serviti in una leggera salsa preparata con brodo dashi, salsa di soia, zucchero, sake e insaporita con daikon grattugiato e peperoncino;
  • ganmodoki: sbriciolato, mescolato con carote, alghe kijiki, funghi e altro, ridotto a polpette che vengono poi fritte;
  • hiyayakko: al naturale, freddo, condito con salsa di soia e zenzero o rafano o limone o altro;
  • niyakko: al naturale, in un brodo caldo con zenzero, sake e salsa di soia;
  • yudofu: cotto in brodo di alga konbu, in una casseruola di terracotta, e poi condito con salsa di soia, zenzero grattugiato e/o daikon grattugiato con peperoncino.

Graziana Canova Tura, tratto da Pagine Zen numero 16


L'arte della Cucina Giapponese

"Mangiare e bere sono il nutrimento della vita. Mangia cibo semplice. La carne dovrebbe essere consumata in piccole quantità. Scegli alimenti che nutrano il corpo.

Smetti di mangiare prima che il tuo appetito sia del tutto soddisfatto.


Cinque cose da tenere a mente quando ci si nutre:

  1. 1.       pensa a chi ti dà il cibo
  2. 2.       pensa alle fatiche di chi l’ha prodotto
  3. 3.       ricorda che sei fortunato a godere di un buon pasto senza avere fatto nulla per meritarlo
  4. 4.       ricorda che ci sono tanti esseri umani ben più poveri di te
  5. 5.       pensa ai tempi antichi in cui gli uomini mangiavano frutta, radici e semi senza conoscere la cottura.

Astieniti dal mangiare troppo. Sii moderato nel cibo e nelle bevande.

 

Così prescriveva nel 1713 lo Yojokun, un trattato in cui venivano formulate regole di vita per una buona salute fisica e spirituale.
L’arte della cucina è da secoli tenuta in grande considerazione in Giappone e ha collegamenti anche inattesi con molti aspetti della vita dei suoi abitanti.
Chiunque sia stato in Giappone avrà apprezzato l’estrema eleganza e la squisita delicatezza dei piatti anche più semplici. La cucina giapponese è la più “spirituale” del mondo: regola vuole che gli ingredienti mantengano la propria natura, il colore, la consistenza, che i colori del vasellame armonizzino con il cibo e con la stagione del momento, che i sapori siano leggeri ma non insipidi, che non vi sia ostentazione ma che ogni cosa sia perfetta nella sua austera, raffinata semplicità.
L’estetica dell’ospitalità giapponese è essenzialmente rappresentata dalla cucina kaiseki, che di solito viene servita prima della cerimonia del tè e nella quale si raggiungono vette di delicata, “povera” eleganza. Essa ha origine dall’elaborato pasto formale delle classi dominanti e dal cibo vegetariano dei monasteri Zen. Takeno Joo, un grande maestro del tè, nel 1500 raccomandava che durante il kaiseki non si servisse più di una zuppa e tre piatti (ichiju sansai) e questa regola fondamentale ha improntato l’arte della cucina fino ai nostri giorni. L’abbondanza è bandita: lo scopo del pranzo non è quello di riempirsi, ma di godere insieme agli ospiti del piacere della reciproca compagnia, in armoniosa pace e tranquillità.
L’influenza dello Zen è impalpabile ma forte: aeree composizioni vegetali ornano rustici piatti di ceramica e leggere ciotole di legno laccato, poste su bassi tavolini, creano sottili contrasti di rosso e di nero; i freschi colori dei vegetali armonizzano con il contenitore in cui sono deposti, il tavolino-vassoio si presenta come un quadro.

Graziana Canova Tura, tratto da Pagine Zen numero 10


La cultura del cibo in Giappone

La cultura del cibo ha un’antichissima tradizione in Giappone, ed è legata in modo particolare alle stagioni e a una natura che rende questo Paese così affascinante, ma lo colpisce anche in modo incredibilmente devastante.

Il popolo del Sol Levante ha sin dall’antichità usufruito di tutti i beni che la natura offre: vegetali, pesci e altri animali. I precetti della religione buddhista hanno però nei secoli limitato il consumo di carne. L’uso quotidiano di vegetali d’ogni tipo, foglie, fiori, radice, erbe selvatiche, alghe e prodotti di origine non animale ha quindi permesso ai giapponesi di sviluppare una straordinaria varietà di piatti legati ai prodotti locali e al momento della vita della terra durante le tradizionali 24 stagioni (nijūshiki) di 15 giorni che dividevano l’antico anno agricolo secondo il calendario lunare. L’estetica della disposizione sul piatto è considerata fondamentale per l’apprezzamento dei cibi e, poiché la secolare tradizione di sobrietà fa utilizzare tutto ciò che è commestibile, persino l’alimento più povero viene trattato come prezioso e servito nel modo più elegante possibile.

I piatti, le ciotole e i contenitori del cibo vengono scelti con accurata attenzione perché si armonizzino con esso, ma creino nel contempo un piacevole contrasto di colore e di forma. Le regole estetiche sono tante, ma basterà assorbirne alcune per poter dare un tocco in più alla nostra cucina quotidiana.

Molti grandi scrittori, nipponici e stranieri, hanno descritto le sensazioni uniche provocate dall’arte gastronomica giapponese ai cinque sensi dell’essere umano: vista, tatto, gusto, odorato e perfino udito. Nella bibliografia che segue ho indicato alcuni libri in cui gli autori hanno, colpi di fulmine espresso la fascinazione subita all’incontro con la cultura del cibo in Giappone, a volte amori a prima vista, colpi di fulmine che si sono poi evoluti in amori di tutta una vita.

Graziana Canova Tura

 

Bibliografia:

Fondamentale per chi voglia conoscere il Giappone in tutti i suoi aspetti:

  • MARAINI Fosco, Ore giapponesi, Milano, Corbaccio, 2000, pp. 524 (1° ed. 1956).

Poi

  • BARTHES Roland, L’impero dei segni, Torino, Einaudi, 1984, pp. 135.
  • CALZA Gian Carlo, Stile Giappone, Torino, Einaudi, 2002, pp. 213.
  • MARCHESI Gualtiero e VERCELLONI Luca, La tavola imbandita. Storia estetica della cucina, Bari, Laterza, 2001, pp. 226.
  • PARISE Goffredo, L’eleganza è frigida, Milano, Adelphi, 2008, pp. 169 (1° ed. 1982).
  • PASQUALOTTO Giangiorgio, Yohaku, Padova, Esedra, 2001, pp. 157.
  • RICHIE Donald, A Taste of  Japan, Tokyo, Kodansha, 1985, pp. 112.
  • TANIZAKI Jun’ichirō, Libro d’ombra, Milano, Bompiani, 1982, pp. IX-117.
  • TSUCHIYA Yoshio, A Feast for the Eyes. The Japanese Art of Food Arrangement, Tōkyō, Kodansha, 1985, pp. 166.
  • Cucina zen
  • DŌGEN – Uchiyama Rōshi, Istruzioni a un cuoco zen, Roma, Ubaldini, 1986, pp. 133.
  • EIHEI DŌGEN, La cucina scuola della Via, trad. e a cura di Jisō Forzani e p. Luciano Mazzocchi, Bologna, Ed. Devoniane, 1998, pp. 125.
  • HOOVER Thomas, La cultura zen, Milano, Mondadori, 1981, pp. 252.
  • TSUJI Kaichi, Zen Tastes in Japanese Cooking, Tōkyō, Kodansha, 1972, pp. 207.

* * *

CANOVA TURA Graziana

  • Il Giappone in cucina, Nuova edizione riveduta e aggiornata, Milano, Ponte alle Grazie, 2006, pp. 397 (1° edizione, Mondadori, 1994, pp. 350 – esaurito)
  • La cucina zen, Milano Xenia, 1998, pp. 183.
  • Giappone (collana cucina etnica), Milano, Fabbri, 1999, pp. 120.
  • Sushi, Milano, Fabbro, 2000, pp. 71.

 

 

 


Capodanno Giapponese

L’inverno è il tempo della grande festa di Capodanno: importante come il Natale per gli occidentali, vede le famiglie giapponesi riunirsi, molti tornare al paese natio a godere gli antichi sapori della cucina della mamma (ofukuro no aji). In splendide scatole di legno laccato, quadrate e a più strati, verrà servito osechi, il cibo di Capodanno: sardine, frittate, fagioli neri cotti a lungo in un sugo dolce, nodi di alga, piccole orate, pezzetti di pollo, radici di loto all’aceto, uova di pesce e altre delicatezze. Le verdure di stagione sono gli spinaci e altre foglie verdi. Nelle case si predispongono le classiche decorazioni di Capodanno che comprendono: kaki essiccati (significano salute e successo nella vita), alga konbu (il suo nome ricorda il verbo yorokobu, rallegrarsi, gioire), mochi (anche omochi) è un cibo tipico dell’inverno e tradizionale del periodo di Capodanno. Si prepara con riso glutinoso (mochigome) cotto a vapore, pestato a lungo in un grosso mortaio di legno, finché diviene una pasta molle ma compatta, che va poi modellata in piccole focacce. Il vocabolo mochi, se scritto con un altro ideogramma, può significare “avere, possedere”: equivale quindi a un augurio di ricchezza. La ricetta principale di Capodanno contenente il mochi è la minestra chiamata ozooni, ma il modo più semplice e appetitoso per gustarlo è quello di abbrustolire il boccone di mochi, intingerlo in salsa di soia e avvolgerlo in un pezzetto di alga nori. Due mochi di misura diversa fanno parte obbligatoria delle decorazioni di Capodanno e vengono posti il piccolo sopra al più grande (kagami-mochi), insieme con arance amare e altri elementi, come offerta sull’altare shintoista presente nella casa, oppure in un luogo importante della dimora, o all’ingresso, dove di solito si pongono le decorazioni per il Capodanno. L’aragosta bollita è anch’essa indispensabile (appesa sulle porte o esposta nelle abitazioni). Il vocabolo generico ebi, che indica tutti i tipi di crostacei, dai gamberi all’aragosta, viene scritto con due ideogrammi che significano mare-vecchio, perché l’aragosta ha il corpo piegato come una persona anziana. Tutto ciò è di buon augurio per una lunga vita e anche in considerazione del fatto che in Giappone la vecchiaia è considerata dote apprezzabile, perché porta con sé saggezza ed esperienza.

di Graziana Canova Tura, da Pagine Zen numero 27


Jiro Dreams Of Sushi: arte e cucina si mescolano in un documentario

Jiro Ono, 85 anni, è considerato il più grande cuoco di sushi vivente, per alcuni addirittura un patrimonio nazionale giapponese. Questo anonimo vecchietto, tutti i giorni raggiunge in metro il suo ristorante, il Sukiyabashi Jiro a Tokyo, lodato anche dalla guida Michelin.

Convinto di non aver ancora raggiunto la perfezione - perché, ci dice, “nessuno sa cosa sia il top” - Jiro vive per il suo lavoro. Una vocazione, la sua: quella di essere un visionario del sushi. Ma in Jiro Dreams Of Sushi c’è di più. La trasmissione del mestiere è ancora attuale nella famiglia Ono, ecco perché il figlio di Jiro, Yoshikazu, deve fare di tutto per tenere viva la fiamma accesa dal padre, anche quando quest’ultimo non ci sarà più. Date uno sguardo al trailer del documentario di David Gelb che uscirà negli Stati Uniti nel marzo dell'anno prossimo. Speriamo di poterlo vedere presto anche da noi.

 

 


La cucina giapponese fra Arte e Religione

Arte e religione sono parte integrante della cucina giapponese sì che essa si trova a essere rappresentata negli antichi rotoli dipinti, nelle stampe, nelle opere a inchiostro degli antichi maestri Zen e nella letteratura.
Secondo i precetti buddisti non ci si può cibare di esseri viventi: da ciò la nascita, nei secoli passati, di una cucina vegetariana di tale alta classe da divenire ispiratrice di varianti, antiche e moderne, tra cui la macrobiotica e la nouvelle cuisine. Ma la religione originaria, lo Shintoismo, che cosa ci svela? Amaterasu, la dea del sole, coltivava riso e ancora oggi uno dei compiti cerimoniali dell’imperatore consiste nel trapianto rituale del primo riso dell’anno. Le offerte presentate ai templi shintoisti (dai più sacri, Ise e Izumo, a quelli minori) comprendono sin dai tempi antichi prodotti del mare come pesci, alghe, molluschi essiccati e alcuni fasci di riso del primo raccolto dell’anno.

Nel campo dell’arte si ha soltanto la difficoltà della scelta tra le innumerevoli rappresentazioni dei cibi, della cucina e dell’alimentazione, nei rotoli dipinti (emakimono), nelle pitture zen e nelle silografie. Ad esempio nel tredicesimo rotolo del Kasuga gongen genki e (del 1309) possiamo ammirare l’interno di una cucina dove cuochi e servi preparano un pasto: vi è chi taglia verdure (radice di loto), chi rimesta il cibo in una pentola, chi attizza il fuoco, chi trasporta una capace pignatta chiusa con un coperchio di legno identico a quelli ancor oggi usati, chi pulisce un tavolino laccato e chi infine dispone gli alimenti in piccole ciotole, poste su un altro tavolino fornito di un alto piedestallo centrale. Invece le zenga (pitture zen, di solito monocrome) rappresentano a volte soltanto semplici vegetali oppure, in genere, santi monaci, asceti o personaggi leggendari come Bodhidharma e alcune giungono a dipingere i suddetti venerabili resi un po’ “allegri” dal sake… .
Rape, peperoncini, melanzane e germogli di bambù così come vongole, granchi e gamberi sono addirittura rappresentati nei mon, gli stemmi circolari delle famiglie (nobili o appartenenti all’aristocrazia guerriera) che vengono anche ai nostri giorni apposti sui kimono da cerimonia.

Graziana Canova Tura, da Pagine Zen numero 18


Ennesime inesattezze della stampa sul Giappone

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Sono socia dell’AIRC dal gennaio 1991, codice 2296047P e scrivo a voi perché ho ricevuto e letto il numero di Fondamentale (allegato al Corriere della Sera, Sette, il 10.11.11) dedicato a “I più buoni del mondo - Il meglio della cucina internazionale”.
Sono ogni volta sorpresa (ma ormai dovrei essere preparata) e dispiaciuta per l’imprecisione e l’inesattezza di ciò che si scrive su un argomento che conosco bene: il Giappone. Se questa superficialità è alla base di tutto ciò che troviamo sui giornali, allora non c’è da credere a nulla di ciò che dicono e conviene smettere di leggerli e usare meglio il nostro tempo.
Mi chiedo anche se gli articoli dedicati sul fascicolo a India, Cina  e così via contengano altrettanti errori.
Sarebbe bene che le persone incaricate di scrivere su argomenti a loro poco noti non si fidassero troppo di internet (che offre possibilità di conoscenza, ma anche bufale tremende) e cercassero di documentarsi, oltre che di far controllare a esperti della materia prima di mandare alle stampe. Il lettore in genere crede “come Vangelo” ciò che legge su giornali e riviste e quindi contribuisce al propagarsi di notizie errate.
Si dà il caso che io mi dedichi agli studi giapponesi dal 1966, abbia vissuto in Giappone quasi sei anni, sia laureata in lingua e letteratura giapponese e sia autrice di quattro libri sulla cucina di quel Paese (di cui uno sulla cucina vegetariana zen). Ogni volta che leggo notizie approssimative o inesatte vengo colta da scoramento perché questi scritti vanificano il lavoro di tutti noi amici e studiosi del Giappone, che ci dedichiamo da anni a sfatare leggende metropolitane, idee preconcette, frasi fatte e luoghi comuni sparsi a piene mani sulla carta stampata o in televisione (recentissima: Benedetta Parodi, “scrittrice di cucina” (!) che vende milioni di copie, ha presentato con grande enfasi in una sua trasmissione, un VERO cuoco giapponese, che si è poi rivelato essere un brasiliano di origine cinese!
Non ne possiamo più.Leggere di più

Lettera aperta di Graziana Canova Tura

Cari amici,
per vostra notizia, ho mandato al Corriere questo commento su un pezzo sull'alga KONBU:
La sottoscritta Graziana Canova Tura, autrice di numerosi libri sulla cucina giapponese (e residente in Giappone per diversi anni in passato) vi scrive per ringraziarvi di averle rivelato di essere diventata improvvisamente ricca, grazie a un vostro articoletto (Sette, 27.10.2011, p. 21) sulla cosiddetta “alga dell’imperatore” il cui valore sarebbe corrispondente a quello del caviale.
Ne posseggo una notevole quantità perché la uso d’abitudine nelle mie ricette come d’altronde fanno quotidianamente milioni di giapponesi. Dovrò inoltre ringraziare gli amici e i negozianti che mi forniscono la preziosa alga konbu permettendomi di usufruirne a prezzi veramente popolari. Chissà se lo farebbero ancora se, sempre grazie a voi, venissero a conoscenza del suo reale valore. Non parliamo poi dei pescatori che da secoli la raccolgono e la fanno essiccare all’aperto sulle rive dell’oceano.
Anche per quanto riguarda il raffinato brodino del superstellato chef Troisgros vi assicuro si tratti di una specialità usata ogni giorno nelle comuni cucine giapponesi, così come nella mia.
Ma ora basta ironia, solo un consiglio: se volete scrivere su argomenti esotici e pertanto da voi poco conosciuti cercate prima di informarvi (o controllare le notizie che vi vengono propinate) presso degli esperti evitando così articoli che avranno sicuramente fatto ridere chi conosce in modo approfondito la cucina giapponese.
Così pure siamo rimasti sbalorditi quando, di recente, in una rubrica gastronomica televisiva (Benedetta Parodi, 19.10.2011) è stato presentato come autentico cuoco giapponese uno chef brasiliano di origine cinese!
Sarebbe un sogno se i  giornalisti, della carta stampata o della televisione, cercassero di fornire informazioni meno imprecise e più corrispondenti alla realtà, evitando di cadere in quella “sciatteria” italiana così ben definita da Beppe Severgnini.
Cordiali saluti.
Graziana Canova Tura
Autrice de:
Il Giappone in cucina, 1a edizione, Mondadori, 1994, pp. 350 - ESAURITO
Il Giappone in cucina, Nuova edizione riveduta e aggiornata, Ponte alle Grazie, 2006, pp. 397
La cucina zen, Xenia, 1998, pp. 183
Co-autore HIRAZAWA Minoru, Giappone (collana cucina etnica), Fabbri, 1999, pp. 120
Co-autore HIRAZAWA Minoru, Sushi, Fabbri, 2000, pp. 71

Saluti affettuosi
Graziana