Il tempio Kinkakuji di Kyoto restaurato dopo 18 anni

Se si è in visita all’antica capitale del Giappone, una delle tappe che solitamente non mancano negli itinerari turistici è il tempio detto Kinkakuji, chiamato anche Padiglione d’oro e dichiarato sito UNESCO nel 1994. Questo è stato sicuramente un anno sfortunato per il turismo, in Giappone l’emittente NHK testimonia un calo di più del 60% dei turisti stranieri a partire da Febbraio 2020.

Questa situazione molto particolare si è però conciliata con alcuni lavori di restauro che hanno coinvolto proprio il Padiglione d’oro: si è pensato che, questa assenza di turismo, fosse il momento migliore per intraprendere il rinnovamento di alcune parti della struttura. Dal primo di settembre è cominciato il restauro, il quale è durato più di tre mesi e ha visto il “nuovo” tempio tornare alla luce solo il 29 dicembre. In questo periodo di lavori, se ci si fosse recati a visitare il Kinkakuji lo si sarebbe trovato completamente ricoperto dalle impalcature, e al suo posto si sarebbe però potuto vedere un pannello raffigurante la foto del tempio. Il complesso, comunque, ospita oltre al tempio un giardino visitabile che è rimasto aperto al pubblico.

Il nome ufficiale del Kikakuji è in realtà Rokuonji, che significa tempio del giardino dei cervi, denominazione che fa riferimento al luogo in cui Buddha tenne il suo primo discorso. Il nome “Kinkakuji” gli venne dato in seguito, proprio a ragione della sua copertura dorata. Esso inoltre non nacque come tempio zen, ma fu invece la residenza dello shogun Ashikaga Yoshimitsu. Fu costruito nel 1398, e venne convertito in un tempio solo successivamente, alla morte dello shogun. L’edificio ha una struttura architettonica tutta particolare, e ogni piano si caratterizza per uno stile differente: il primo piano è costruito secondo lo stile dei palazzi aristocratici del periodo Heian e presenta una veranda che si affaccia sul lago; il secondo piano ricorda, nella sua maggiore semplicità, lo stile prevalente tra le abitazioni dei samurai; infine, il terzo e ultimo piano è costruito nello stile dei templi cinesi chan. Il secondo e terzo piano sono, inoltre, ricoperti di foglie d’oro, a parte per i tetti che sono stati mantenuti in legno di cipresso. Sulla cima è presente la statua di una fenice d’orata, simbolo di buon auspicio nella Cina tradizionale.

L’edificio che è possibile vedere oggi è una ricostruzione che risale al 1956, successivamente all’incendio avvenuto nel 1950 di cui Yukio Mishima riporta una versione romanzata nel suo famosissimo libro. Mishima tratteggia attraverso gli occhi del protagonista la particolare bellezza di questo tempio, e nelle pagine del romanzo è possibile incontrare numerose descrizioni della struttura originaria, attraverso il passare del tempo e delle stagioni.

Dopo la ricostruzione, il tempio venne nuovamente restaurato nel 1987 e nel 2002 per l’ultima volta. Si dice che, quando il tempio venne ricostruito negli anni ’50, esso suscitò lo scontento di alcuni abitanti di Kyoto: la nuova struttura eliminava in un certo senso quello spirito antico, quella patina del tempo che nella percezione giapponese è considerata motivo di apprezzamento estetico.

 

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Il Kinkakuji va dunque incontro quest’anno, dopo diciotto anni dall’ultima volta, a nuovi lavori di restauro, e il risultato è niente meno che curioso: ciò che più colpisce lo sguardo è sicuramente il tetto, il cui legno scuro e pregno dei segni del tempo è stato sostituito con del legno nuovo dal colore chiaro e brillante. Le nuove assi installate splendono alla luce del sole, tanto che a chi lo guarda potrebbe quasi sembrare che anch’esso sia rivestito d’oro. Altri lavori sono stati intrapresi in questa sessione di restauro: sono state riparate con foglie d’oro alcune parti della statua a forma di fenice sul tetto, e anche alcune parti delle pareti del tempio. Il nuovo tetto suscita allora curiosità: se alcune persone sono animate da entusiasmo e ammirazione, in altre esso provoca reazioni simili a quelle che emersero dopo la sua ricostruzione negli anni Cinquanta.

Il nuovo tetto splende come il resto dell’edificio, riflette e accoglie la luce del sole come le pareti ricoperte d’oro. La bellezza della struttura si armonizza con il paesaggio: insieme al giardino compone un microcosmo in cui esso rappresenta il polo della luce, del positivo, e nel riflesso del lago si relaziona con la natura che lo circonda. Non è un caso che il nome ufficiale del tempio faccia riferimento proprio a un giardino: tempio e paesaggio si armonizzano, sono un’unica struttura architettonica. La luce, come anche il lago, è uno degli elementi che principalmente mettono in connessione il naturale con il costruito: l’edificio allora non sembra solo un artefatto, un’opera umana, ma incarna esso stesso il senso dell’insegnamento buddhista dell’interdipendenza delle cose. Il riflesso della sua immagine luminosa nello stagno rende, inoltre, quel senso di impermanenza e variabilità tipici delle architetture giapponesi.

Ci sono visitatori che invece meno apprezzano questo cambiamento: forse perché ogni nuovo inizio, ogni sostituzione di materiali, ogni restauro in un certo senso interrompe lo scorrere del tempo. Il restauro infatti non è una pratica scontata in Giappone: oltre a esistere diversi studi e metodi di riparazione del legno (materiale privilegiato nell’architettura tradizionale), è da considerare che parte della bellezza di questi edifici risiede proprio nel modo che essi hanno di inserirsi nello scorrere del tempo, senza avere alcuna pretesa di resistergli. È un sentire estetico che spesso viene descritto attraverso il binomio wabisabi: semplicità ed essenzialità, povertà che non corrisponde a trascuratezza, ma piuttosto alla percezione dell’edificio come avvolto dai segni del tempo, leggibili nella patina che lo ricopre e ne evoca la storia passata e presente. Questo tipo di apprezzamento potrebbe talvolta confliggere con la moderna e necessaria volontà di preservare i siti storici e d’interesse. È forse per questo che, guardando quel tetto così splendente, ad alcuni sembra che il nuovo difficilmente si concili con l’antico?

 

Per il tempio buddhista del Kinkakuji, dunque, la nostra percezione corre da sempre su due linee temporali: l’antico, e il nuovo. Possiamo quindi rimanere meravigliati da questo splendore che coinvolge anche il tetto, che rende l’edificio una struttura che ancor più accoglie la luce naturale, che si protende così verso il paesaggio circostante. Oppure, se questa visione ci appare conflittuale, dovremmo forse pensare a come in queste strutture l’antico accolga il nuovo e lo accompagni in un percorso, nel divenire delle cose che liberamente passano e scorrono.

 

Fonti:

https://www.japantimes.co.jp/news/2020/09/01/national/kinkakuji-golden-pavilion-renovation-coronavirus/

https://www.shokoku-ji.jp/en/kinkakuji/about/

https://mainichi.jp/english/articles/20201230/p2a/00m/0na/009000c 

 

a cura di Susanna Legnani