In questo articolo andiamo alla scoperta di un altro iconico simbolo della cultura giapponese. A chi non è mai capitato di vedere qualche immagine ritraente tal struttura a due colonne sormontata da un grande architrave, magari di un bel rosso vermiglio? Se ancora non la conoscete, vi sarete chiesti cosa sia mai…presto fatto! Proseguite nella lettura per scoprirlo.

I simboli del Giappone: il Torii

Che cos’è dunque e cosa rappresenta questa peculiare struttura così evidentemente caratteristica del Sol Levante? Si tratta del Torii (鳥居) e non è altro che un portale di accesso a un’area sacra. Rappresenta un punto di passaggio simbolico fra sacro e profano, mondo umano e divino, e come tale collocato sul cammino che conduce all’interno dei luoghi sacri. Spesso lo si trova adornato con la shimenawa – corda sacra con appesi gli shide (四手), caratteristiche strisce di carta a zigzag – tipica dello shintoismo.

photo credits: Flavia per Giappone in Italia

Generalmente i Torii vengono associati ai santuari shintoisti (jinja · 神社), tant’è che sulle mappe il simbolino ⛩ designa i santuari shintō mentre la swastica i templi buddhisti. Tuttavia sono presenti anche all’ingresso di tombe e templi buddhisti, come nel caso dei complessi jisha (寺社). In tali complessi ibridi, a un tempio buddhista è annesso almeno un santuario shintoista (chinjusha · 鎮守社) a funzione tutelare del kami (spirito/dio) protettore di quel tempio o area.

Non sempre però questi portali sono posti in corrispondenza di santuari o templi. Possono trovarsi infatti anche ai confini esterni di un’area sacra, ad esempio su una roccia o ai piedi di una montagna (luogo spirituale di per sé, poiché sede dei kami o kami essa stessa). Addirittura – nelle zone di campagna o residenziali in particolare – anche per strada, dove può capitare di imbattersi in mini-Torii, anche solo disegnati, a scopo preventivo anti-vandalico. Infatti, poiché considerati sacri, fungono da dissuasori verso chiunque fosse tentato di deturpare l’area.

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A proposito di sacralità e rispetto, è buona norma donare un Torii in segno di gratitudine verso un determinato kami qualora si riceva una grazia. Non solo a livello individuale, ma anche collettivo. Tipico il caso delle aziende: non è strano che un’azienda si adoperi per donare un Torii al fine di ingraziarsi la divinità degli affari. Sulla via (sandō · 参道) che conduce al luogo sacro può essercene uno solo o anche di più, fino formare vere e proprie gallerie. Come nel caso del famoso Fushimi Inari Taisha di Kyōto.

photo credits: Flavia per Giappone in Italia

Simboli di fortuna, prosperità e benessere, i Torii si presentano nelle più svariate dimensioni e tipologie. Prima di passare in rassegna la loro estetica però, scopriamo un po’ di più sulle loro origini.

Là, dove “stanno gli uccelli”

Partiamo dal nome. Torii (鳥居) è formato dalle parole “uccello” (tori · 鳥) e “essere/stare” (i[ru] · 居). Potremmo tradurlo “il risiedere degli uccelli’.

Cosa c’entrano gli uccelli?

A rispondere a questa domanda interviene un episodio della mitologia giapponese. Secondo la leggenda, la dea principale del pantheon giapponese, Amaterasu, decise di rinchiudersi in una grotta per isolarsi dal mondo in seguito a un grave attacco ai suoi domini a opera del fratello Susanoo. Trattandosi della dea del sole, la sua scomparsa causò un buio permanente nonché un caos generale: fauna e flora risentivano dell’assenza del sole e gli spiriti maligni potevano ora agire indisturbati. Fu così che gli altri dei cominciarono a pensare a un modo per indurla, con l’astuzia, ad uscire fuori dalla grotta. Organizzarono allora una sorta di festa fuori dalla caverna, ma soprattutto si servirono dei galli. Incuriosita dal fatto che i galli cantassero nonostante l’assenza del sole, la dea fu finalmente attirata fuori dalla grotta e fu impeditole di rinchiudervisi nuovamente. Ella comprese infine che il suo posto era dove era sempre stato: riacquistò fiducia in sé stessa e tornò rinnovata di nuova consapevolezza ai suoi doveri. I galli della trappola preparata dagli dei erano stati posizionati su di un enorme trespolo: il primo Torii.

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Miti a parte, fonti riportano dell’esistenza di antichi trespoli sacri e della loro funzione di accogliere i galli a coda lunga. C’è però un altro aspetto di cui tenere conto, sempre per rispondere alla nostra domanda: in Asia gli uccelli vengono associati al mondo ultraterreno. E in Giappone sono da sempre considerati messaggeri degli dei. Non stupirebbe allora se il passo da trespolo a portale sacro si sia effettivamente verificato. Ed è plausibile che, ad un certo punto della storia, la funzione del Torii abbia compiuto tale passo.

Torii, origine e significato

Ciononostante nulla è del tutto certo. Si sa che hanno fatto loro prima comparsa verso la metà del periodo Heian (VIII-XII sec.); che ad oggi il più antico Torii in legno risale al 1535 ed appartiene al santuario shintō Kubō Hachiman (Prefettura di Yamanashi); che invece il più antico fra quelli in pietra mai pervenuto risale al XII secolo e appartiene a un santuario shintō di Hachiman nella Prefettura di Yamagata.

Come e quando di preciso abbiano avuto origine resta però ancora ignoto. Due le principali teorie in proposito: una per cui si tratterebbe di una struttura proveniente dall’Asia continentale rielaborata in Giappone, l’altra che invece sostiene l’idea dell’origine autoctona. La prima tesi si fonda sul fatto che strutture dallo stesso ‘concept’ si ritrovano anche in Cina, Corea e India: Paifang cinese, Hongsal-mun coreano e Torana indiano. Dunque non parrebbe una coincidenza. Ma è l’India in particolare a suscitare i maggiori sospetti, tanto da un punto di vista storico quanto linguistico. Fonti del X secolo riferirebbero infatti che sarebbe stato il monaco Kūkai (fondatore del Buddhismo esoterico Shingon) a importare un secolo prima l’idea del Torana. La parola “torii” tra l’altro fa la sua prima comparsa proprio su queste fonti. Dal punto di vista linguistico, si pensa invece che “torii” possa derivare da “torana” (che in sanscrito significherebbe “palo per uccelli”). Da “torana”, anche certe lingue europee avrebbero tratto dei termini: la parola inglese “door” e le tedesche “Tür” o “Tor” in effetti suonano sospettosamente assonanti. Ma non ci sarebbe da stupirsi, si parla pur sempre di lingue indo-europee.

Per quanto riguarda la lingua giapponese comunque, diverse sono le ipotesi avanzate sulla possibile etimologia di “torii”. Una ad esempio vorrebbe che il termine derivi dal verbo tōri-iru (通り入る) ovvero “passare attraverso ed entrare” o “entrare attraversando”. In ogni caso, certo è che uno degli stili Torii più antichi, lo Shime – ne parleremo a fine articolo –, fa pensare a un’evoluzione dell’usanza di agganciare la corda shimenawa a due alberi o due pali. Lo Shime Torii potrebbe quindi rappresentare un elemento a sostegno della tesi dell’origine autoctona del Torii.

Tutte teorie molto valide e sensate. E se dietro le origini dell’iconico portale si celasse un misto fra tutte queste possibili concause?

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Torii: sacralità e purezza

Il portale Torii, si è detto all’inizio: segna il confine fra dimensione terrena e dimensione sacra, fra la fine dell’una e l’inizio dell’altra. Chi intende accedere al luogo sacro deve necessariamente passare sotto il Torii posto all’ingresso e tale passaggio rappresenta un primo step di purificazione. Dunque il Torii non solo marca un punto di transizione fra due mondi…ma si rende strumento di purificazione per l’anima di coloro che lo attraversano. L’atto purificatorio va poi rinnovato in prossimità del luogo sacro con le c.d. abluzioni rituali, cosicché l’anima giunga al suo interno priva di impurità. Se vi sono più Torii sulla strada sandō, il livello di sacralità cresce di pari passo con il loro progressivo approssimarsi al cuore del luogo sacro.

Lo Shintō attribuisce particolare importanza alla purezza e al concetto di purificazione e ciò si riflette anche nella vita quotidiana dei giapponesi. Tanto per dirne una, e per ricollegarci alle abluzioni: il modo di lavarsi e fare il bagno. Perciò, va da sé che il Torii trova perfetta applicazione nello Shintoismo: quale strumento di purificazione migliore di uno che, sin da che si ha memoria, rappresenta un punto di contatto con il mondo sacro ultraterreno? Per questo, benché non manchi anche in diversi templi buddhisti, esso è ormai assunto a simbolo dell’architettura shintō.

Va detto però che tale associazione può essere stata facilitata anche dall’azione del governo Meiji (1868-1912) che all’epoca impose la presenza dei Torii presso i soli santuari ufficialmente registrati e consacrati allo Shintō di Stato. Prima di allora, verosimilmente, erano associati a diversi tipi di luoghi sacri. Pare anzi venissero abitualmente ornati di placchette recanti sutra buddhisti.

Torii: com’è fatto

Come si può notare dalle immagini, il Torii presenta una struttura molto basica: due colonne sormontate da un architrave. Tradizionalmente per la loro realizzazione si è sempre ricorso a legno e pietra. Oggigiorno però vengono adoperati anche a materiali moderni come acciaio, bronzo, calcestruzzo, ceramica, cemento armato e, in taluni casi, anche plastica.

Per quanto riguarda il colore, quello rosso vermiglio è senz’altro il più iconico (nella cultura giapponese il rosso è associato alla vita, al sole – pensiamo alla bandiera nazionale –, è di buon auspicio e allontana negatività e sfortuna). Ma anche i colori bianco e arancio sono molto gettonati. Inoltre a seconda del materiale di realizzazione possono anche non essere dipinti e quindi mostrarsi nel colore naturale del materiale che li compone. Quando il Torii è rosso, generalmente la parte superiore dell’architrave è in nero. Possono però verificarsi combinazioni inusuali: il Torii in stile Nakayama che vedete nell’immagine sottostante, ne è un esempio interessante!

photo credits: wikipedia.org

Facciamo ora una radiografia del nostro Torii. Esso può comporsi di 13 parti. Partendo dall’alto:

  • Kasagi (笠木): il grande architrave che sormonta le due colonne;
  • Shimaki (島木): seconda trave sotto il Kasagi che, quando presente, rende il Kasagi doppio;
  • Hafu (破風): eventuale timpano collocato sopra il Kasagi;
  • Hashira (柱): la coppia di colonne, di solito cilindriche, che possono presentare o meno una certa inclinazione verso l’interno definita Uchikorobi (内転び);
  • Nuki (貫): la trave collocata fra le colonne Hashira;
  • Shimenawa (注連縄): l’eventuale corda sacra collocata in corrispondenza del Nuki;
  • Kusabi (楔): cunei (2 o 4) che servono a fermare il Nuki, non sempre presenti;
  • Gakuzuka (額束): supporto extra posto fra Kasagi (o anche Shimaki) e Nuki a sostegno del primo. Può recare o meno un’iscrizione;
  • Sasu (叉首): piccolo timpano, alternativa del Gakuzuka;
  • Daiwa (台輪): eventuali capitelli delle Hashira;
  • Chigobashira (稚児柱): pilastri secondari (4 o 8) di supporto alle Hashira presenti più che altro nello stile Torii Ryōbu;
  • Daiishi (台石) o Kamebara (亀腹): eventuali basi per le Hashira;
  • Nemaki (根巻): guaine alla base delle Hashira, alternativa ai Daiishi.

Di tutti questi elementi, solo l’architrave Kasagi, i pilastri Hashira e la trave Nuki sono gli elementi sempre ricorrenti (eccezion fatta per la tipologia Shime che presenta solo la corda shimenawa, invece di trave e architrave). Tutti gli altri possono essere o meno presenti, a seconda dello stile architettonico del portale.

photo credits: wikipedia.orgwikimedia.org

Tipi di Torii

Vi è un’ampia varietà di Torii, ma due sono le principali famiglie: Myōjin (明神系) e Shinmei (神明系). A colpo d’occhio sono distinguibili dall’architrave: la categoria Myōjin ha il kasagi con le punte ricurve verso l’alto, mentre nella seconda le punte sono dritte. Inoltre la tipologia Shinmei presenta delle colonne non inclinate e, almeno nelle sua forma più basica, colonne, nuki e kasagi sono arrotondati.

Sotto queste due grandi famiglie si apre poi un ventaglio di sottocategorie, di cui ci limitiamo qui a elencare le più rappresentative o caratteristiche. La tipologia Myōjin è certamente la più iconica ma la Shinmei avrebbe origini più antiche. Inoltre quest’ultima ha iniziato ad acquisire popolarità nel periodo dello Shintō di Stato, essendo questo stile distintivo dei luoghi imperiali.

Myōjin

  • Inari Torii (稲荷鳥居), tipico dei santuari dedicati ad Inari: si caratterizza per la presenza di un daiwa circolare in cima alle colonne, ove l’architrave poggia. È chiamato infatti anche Daiwa Torii (台輪鳥居). Nella sua variante Nune presenta un timpano in più in corrispondenza dell’architrave.
  • Ryōbu Torii (両部鳥居) ovvero ‘Torii a due parti’: una variante dell’Inari caratterizzata dalla presenza di due rinforzi per colonna. Esempi illustri di questa tipologia sono il Torii del santuario di Itsukushima a Miyajima (Hiroshima) e quello dell’antico Kubō Hachiman già menzionato sopra.
  • Miwa Torii (三輪鳥居), un triplice portale: è formato da 3 Torii frontali ‘concatenati’ in linea orizzontale, di cui i due laterali sono più piccoli e direttamente attaccati alle due colonne del portale centrale. Le colonne qui non sono inclinate.
  • Sannō Torii (山王鳥居) ovvero ‘Torii del re della montagna’: si caratterizza per la presenza di un timpano sopra l’architrave. Esiste una combinazione con il Ryōbu Torii detta Shimohie.
  • Nakayama Torii (中山鳥居) che deve il nome al santuario Nakayama (Prefettura di Okayama): qui l’incurvatura dell’architrave risulta particolarmente accentuata e la trave nuki non attraversa i due pilastri. I cunei kusabi sono assenti.

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Shinmei

  • Shime Torii (注連鳥居) ossia ‘Torii delimitante’: formato dalla corda sacra shimenawa a legare insieme le due colonne hashira. Come anticipato qualche battuta fa, è la forma più elementare di Torii. Possibilmente la più antica: sarebbe all’origine dell’intera famiglia Shinmei.
  • Yasukuni Torii (靖国鳥居), che prende il nome dall’importante santuario Yasukuni di Tōkyō: si distingue dal solito stile Shinmei per la trave nuki a sezione rettangolare.
  • Ise Torii (伊勢鳥居), esclusivamente presso i santuari interno ed esterno di Ise: presenta architrave a sezione pentagonale, trave nuki rettangolare e cunei kusabi; una seconda versione presenta anche la trave secondaria shimaki a sezione rettangolare. È divenuto popolare all’inizio del ‘900, epoca dello Shintō di Stato, allorché l’interesse politico del tempo si concentrò su questi più antichi e prestigiosi santuari.
  • Kuroki Torii (黒木鳥居) ovvero ‘Torii in legno nero’: la sua caratteristica è quella di essere realizzato mantenendo la corteccia dei trochi. Tale tipologia tuttavia non è più così gettonata, vista la necessità di sostituirlo ogni circa 3 anni.
  • Shiromaruta (白丸太鳥居) o Shiroki Torii (白木鳥居), il contrario dei Kuroki: qui la corteccia viene rimossa. Sono prerogativa delle tombe imperiali.
    Torii particolari
  • Kasuga Torii (春日鳥居), originario del santuario Kasuga Taisha di Nara, si colloca fra le due tipologie Shinmei e Myōjin: presenta un architrave dritto ma colonne lievemente inclinate. Sarebbe stato il primo in assoluto ad essere verniciato in rosso. Simile al Kasuga è anche la tipologia Torii dei santuari di Hachiman, nata in epoca Heian.
  • Mihashira Torii (三柱鳥居), peculiare tipo di Shinmei a tre colonne: appare come un complesso di tre Torii intrecciati fra loro! Alcuni vi colgono un rimando alla Trinità cristiana, ma ciò non è mai stato accertato. Sembra però risalgano all’epoca in cui il cristianesimo venne bandito.
  • Hizen Torii (肥前鳥居): concludiamo con questo particolarissimo Torii dai ‘piedi’ grossi, ossia caratterizzato da pilastri che si allargano verso terra. Parrebbero essere diffusi soprattutto nella Prefettura di Saga.

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