Intervista al pianista giapponese Takahiro Yoshikawa

di Cristina Solano

Takahiro Yoshikawa è un bravissimo pianista giapponese che da anni vive e suona in Italia, che oltre a fare molti concerti da camera spesso calca il palco del Teatro alla Scala. Il maestro Yoshikawa è rinomato sia in Italia che in Giappone e molti sono i suoi tour in giro per il mondo. Di recente è uscito il suo nuovo album dedicato a Beethoven con la sua nuova etichetta discografica, la "YPSILON International LTD". Con questa intervista il maestro ci racconterà del suo amore per il pianoforte e della sua scelta nel proseguire i suoi studi e la sua professione in Italia.

Com'è nata la sua passione per la musica e per il pianoforte, e come ha capito di voler fare questo nella vita?

Io sono nato in una famiglia di musicisti. Mio padre ha studiato canto tedesco per Lieder (composizioni per voce solista e pianoforte) poi è diventato insegnante di musica alle scuole superiori, mentre mia madre ha studiato canto lirico. Così i miei genitori hanno iniziato a farmi studiare pianoforte. Quando ero bambino la mia passione non era molto forte e mio padre mi diceva che avrei dovuto continuare finché mi fosse piaciuto. I miei genitori mi hanno sempre lasciato libero di scegliere, infatti se non avessi continuato a studiare musica avrei scelto la facoltà di filosofia, ma con il passare del tempo ho capito che mi piaceva la musica classica e il pianoforte.

Qual'è il compositore che l'ha ispirato maggiormente?

A me piacciono molti compositori. Quando ero piccolo mi piaceva Johann Sebastian Bach, anche se lui ha composto, più che altro, per clavicembalo e organo. Attualmente suono un po' di tutto, ma in questo periodo la mia attenzione va ai compositori del Novecento, in particolare a Claude Debussy.

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Cosa prova quando suona?

La musica trasmette molte sensazioni e suonare è diverso che ascoltare.
Quando suono sono molto concentrato e sul palco raramente mi sento libero. Ma quando riesco a raggiungere questa sensazione di libertà sento che sto raccontando qualcosa.
La musica è anche ritmo. Quando suono sento dentro di me una sensazione di movimento, il ritmo mi trasporta e mi trascina, alla fine è come se ballassi. E' difficile da spiegare!

Come mai ha scelto l'Italia per proseguire la sua passione?

L'Italia è stata una scelta nata un po' per caso.
Dopo aver conseguito il titolo di dottorato in pianoforte presso l'Università Statale di Belle Arti e Musica di Tokyo ho conosciuto la professoressa Anita Porrini (pianista), che è stata allieva di Alfred Cortot e Arturo Benedetti Michelangeli. Così sono venuto con lei, in Italia, a studiare come privatista. Poi lei mi ha consigliato di frequentare l'Accademia Teatro alla Scala di Milano, dove mi sono perfezionato nel repertorio del pianoforte in orchestra e cameristico. All'inizio pensavo di rimanera in Italia il tempo necessario per concludere i miei studi e dopo di ritornare in Giappone per fare il professore, ma poi ho capito che potevo anche andare avanti a suonare rimanendo qua. Ho conosciuto e suonato con molti strumentisti dell'Orchestra della Scala. In particolare con Fabrizio Meloni, primo clarinetto solista dell'Orchestra del Teatro e della Filarmonica della Scala, con il quale spesso suoniamo in duo. Con Fabrizio ho anche registrato un disco insieme, "Vif et Rythmique", sotto l'importante etichetta di musica classica "Deutsche Grammophon". La decisione di venire in Italia è stata anche ponderata dal fatto che io volevo suonare un po' tutto, e la scelta del Paese condiziona il repertorio di un musicista. L'Italia non ha una forte tradizione di compositori per pianoforte, però ha una grande tradizione di concertisti e di cantanti, inoltre mia madre ha studiato canto d'opera italiana, quindi me ne ha trasmesso la passione.

Di recente è uscito il suo nuovo CD dedicato a Beethoven, ce ne vuole parlare?

Si volentieri! Questo CD nasce perchè io oltre a essere un musicista sto portando avanti una strada parallela. Ho aperto una società in Giappone e ho iniziato a creare un'etichetta discografica mia, la "YPSILON International LTD", che verrà distribuita anche in Italia e in America. Il primo CD l'ho dedicato a Beethoven, perché le sue composizioni, per noi pianisti, sono un po' come la Bibbia. I suoi brani vengono studiati molto, e si può dire che tramite lui si vede un po' il pensiero del pianista. Sto già preparando il secondo e il terzo CD che saranno dedicati a Debussy e Schumann. Una percentuale dei ricavati di questo progetto saranno devoluti a Save The Children In Japan che, dopo la tragedia di Fukushima del 2011 e dopo il recente terremoto di Kumamoto, sta aiutando molti bambini in Giappone che si trovano in seria difficoltà.

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Un ringraziamento va alla Casa di Riposo per Musicisti Giuseppe Verdi.

Takahiro Yoshikawa - sito: www.takahiroyoshikawa.com

Foto di Cristina Solano


Kanjuro Kiritake III e il Teatro Bunraku

di Cristina Solano

L'amore di Tokubei il mercante e Ohatsu la cortigiana è più forte di ogni altra cosa, niente e nessuno potrà mai dividerli. Ormai i due giovani hanno preso una decisione, infine la morte e l'unica soluzione al loro amore.
Avvolti dalla fusciacca di Tokubei, il giovane amante pugnala la sua amata, e poi, allo stesso modo la segue nella morte, uniti nello stesso destino. Legati in un abbraccio si lasciano andare l'uno sull'altra e così, uno dei drammi più popolari del teatro Bunraku, il Sonezaki Shinju (Doppio Suicidio d'Amore a Sonezaki), si conclude.
Il Bunraku è uno dei teatri tradizionali più importanti della cultura giapponese, e il suo fascino sta proprio negli attori che calcano la scena. Sì perchè gli attori non sono altro che burattini, ciascuno dei quali manipolato da ben tre burattinai, ognuno con un ruolo ben preciso. Il tutto reso ancora più accattivante dal suono dello shamisen, che crea il sottofondo, e dalla voce del tayu (narratore), che permette ai burattini di parlare.
E' grazie alla cooperazione di tutti questi elementi che i burattini si muovono con una tale naturalezza, quasi avessero vita propria, ed esprimono emozioni, quasi fossero umani.

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L'omuzukai, il burattinaio principale, si occupa del movimento della testa, della faccia e della mano destra, inoltre ha anche ruolo di guida per i suoi compagni. L' hidarizukai manipola il braccio sinistro, mentre il terzo, l' ashizukai, si occupa di gestire le gambe del burattino. Ed è proprio il ruolo dell'ashizukai a essere fondamentale per la comprensione del Bunrako, perchè il Bunraku, in fondo, è uno stile di vita.
Lo sa bene Kanjuro Kiritake III, uno dei maestri di Bunraku più importanti del Giappone, che fin da quando ha iniziato a studiare come burattinaio ha dato anima e corpo al Bunraku.

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Il maestro nasce a Osaka nel 1953, suo padre, Kanjuro Kiritake II, era un omuzukai così il giovane
Kanjuro frequentava spesso il teatro e ciò che lo attraeva di più erano proprio i burattini. Il loro aspetto ben curato, i vestiti e il meccanismo che permetteva loro di muoversi e di cambiare le espressioni lo affascinavano moltissimo. Ma la sua vera vocazione venne fuori un giorno, che suo padre lo portò con sè, sul palco a muovere uno di quei pupazzi tanto affascinanti. Così suo padre decise di mandarlo a studiare sotto la guida del grande maestro Minosuke Yoshida III.
Come apprendista, Kanjuro, iniziò la sua lunga gavetta diventando ashizukai, un ruolo che richiede dieci anni di preparazione per imparare a gestirlo, ed è proprio in quegli anni che capisce cosa significa essere un burattinaio.
Il burattinaio non deve solo saper far muovere il burattino, ma deve saper trasmettere le emozioni, i sentimenti al pupazzo per renderlo vivo. Deve essere in grado di capire qualsiasi ruolo, dal vecchio burbero alla giovane ragazza innamorata, esserne totalmente immerso e consapevole in modo da dare al burattino un'identità. Così il burattinaio apparirà invisibile al pubblico e tutta l'attenzione sarà solo per i veri protagonisti del Bunraku: i Burattini.

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Kanjuro spiega proprio che i primi dieci anni come ashizukai servono a capire questi concetti che non sono così immediati. L'ashizukai è un ruolo complicato, perché è difficile e scomodo, e fare quello giorno dopo giorno molto spesso demoralizza. Lui stesso ci è passato e ne ha sofferto ma gradualmente ne ha compreso l'importanza.
In quegli anni è stato fondamentale il rapporto con il suo maestro, il quale, quando Kanjuro sbagliava, gli mostrava solo il suo fastidio senza dirgli niente, cosa che destabilizzava molto il giovane. Con il tempo Kanjuro capisce che il maestro Minosuke era solito dargli dei consigli indirettamente, quando durante i festeggiamenti post performance il maestro gli raccontava delle storie così a indurlo a riflettere sui suoi errori.
E' grazie al costante impegno e dedizione che Kanjuro Kiritake III è diventato uno dei migliori omuzukai, senza mai perdere il suo amore e la sua passione per il teatro Bunraku, bene intangibile del Giappone e designato dall'Unesco come Patrimonio Immateriale dell'Umanità.


Video: Intervista Esclusiva a Oki Sato - Nendo

In occasione della settimana del Salone del Mobile 2016 l'Associazione Culturale Giappone in Italia ha intervistato uno dei più grandi designer giapponesi: Oki Sato creatore e guida dello studio Nendo. L'intervista avviene in occasione della presentazione delle 30 Manga chairs realizzate da Nendo per la galleria Friedman Benda.

Per vedere l'intervista sottotitolata in italiano cliccare sull'icona CC vicino alla barra di scorrimento del video.

Oki Sato - nendo, interviewed by Giappone in Italia from Giappone in Italia on Vimeo.


Mostra: "Giappone - Kyoto: i giovani e l'artigianato"

Dal 22 al 28 di marzo, la Triennale di Milano presenta, alla Villa Reale di Monza, una splendida mostra dedicata al raffinato artigianato giapponese.

In esposizione 30 oggetti, di manifattura superiore, che mostrano alcune delle migliori tecniche di lavorazione tradizionali giapponesi: lavorazione urushi (lacca giapponese), ceramica, legno, metallo, lavorazione del Buddha e carta.

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I manufatti sono il frutto della passione e della dedizione dei giovani allievi del TASK, il Traditional Arts Super College of Kyoto, la più importante scuola di artigianato in Giappone. I giovani studenti, sotto l’attenta guida dei maestri artigiani giapponesi, si impegnano per diventare creatori esperti e promotori dell'ampliamento del settore artigianale.

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La mostra nasce nell'ambito di un accordo tra TASK e APA Confartigianato, finalizzato all'interscambio socio-culturale e alla preservazione e promozione dell'artigianato di alta qualità. Il risultato è la produzione di oggetti d'eccellenza, riproposti in chiave innovativa, e una mostra dedicata alla salvaguardia delle tradizione millenarie, dei saperi e delle botteghe che vanno protetti dai processi di globalizzazione.

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Tutte le foto sono di Alberto Moro


Teatro Kamishibai

di Cristina Solano

Quando nei villaggi si sentiva risuonare il suono di due bacchette di legno che battevano l'una contro l'altra, immediatamente si creava una folla di bambini raccolti intorno alla figura di un uomo che trasportava sul retro della sua bicicletta un piccolo teatrino. Per i bambini, quello rappresentava un momento di festa perché era finalmente arrivato il Gaito Kamishibaiya, che con le sue hyoshigi annunciava l'inizio di una nuova e fantastica storia.

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Il Teatro Kamishibai (纸 芝 居), letteralmente "dramma di carta", è una forma narrativa ben radicata nella tradizione giapponese. Questo tipo di narrazione ha origine nel XII secolo, quando i monaci buddisti raccontavano stori, d'amore, di battaglia, di concetti religiosi, soprannaturali o popolari, a un pubblico prettamente analfabeta, per dare loro degli insegnamenti morali. Le storie venivano raccontate con l'aiuto di rotoli di carta illustrati orizzontalmente, gli emakimono. Splendide opere dipinte o stampate, che proponevano le azioni dei personaggi in forma narrativa, come se fossero dei fumetti letti da destra verso sinistra, come nel verso in cui si legge la scrittura giapponese: si può dire che rappresentino l'origine del manga.

È tra gli anni venti e cinquanta del '900, tuttavia, che il teatro Kamishibai vede il suo massimo successo e definisce la sua forma tradizionale. L'avvento del cinema sonoro, infatti, determina la scomparsa del narratore Benshi, cioè la figura che dava la voce al cinema muto. Così molti di questi vedevano nel Kamishibai la possibilità di guadagnare piccole somme di denaro.

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Il Gaito kamishibaiya si spostava di villaggio in villaggio, trasportando sulla sua bicicletta una struttura a forma di piccolo teatro, nel quale veniva esposto un set di tavolette di legno illustrate. Quando il pubblico era formato, il Gaito kamishibaiya cominciava a raccontare le storie, stimolando la fantasia dei bambini con l'aiuto delle tavolette illustrate messe in sequenza narrativa.

Il declino del teatro Kamishibai ha inizio con l'arrivo in Giappone della televisione, durante gli anni cinquanta. Anche se il Gaito kamishibaiya e il suo teatro sono ormai scomparsi da molto tempo, dalla quotidianità, il loro ricordo e la loro tradizione continuano a restare vivi, tutelati e tramandati.

 


ANA lancia il Museo Virtuale di Arte Giapponese

La compagnia aerea giapponese ANA (All Nippon Airways) ha lanciato da qualche tempo la piattaforma online "Is Japan Cool?" (ICJ), con l'obiettivo di promuovere il Paese del Sol Levante e offrire ai visitatori la possibilità di approfondire alcuni aspetti della vita e della cultura del Giappone, ancora prima di mettere piede sull'aereo.

Tale piattaforma si arricchisce oggi di una nuova sezione, l'ICJ Museum, una galleria d'arte virtuale che consentirà al visitatore di scoprire il mondo dell'arte contemporanea nipponica, attraverso la raccolta di alcune delle migliori opere di sette dei principali artisti giapponesi contemporanei: Yayoi Kusama, Tenmyouya Hisashi, Nerhol, Tabaimo, Taku Obata, Kohei Nawa e Manabu Ikeda. Le opere esposte includono lavori in tre dimensioni esposti per la prima volta e altre installazioni viste raramente, difficili da ricreare altrove, e ammirabili da una prospettiva completamente nuova e impossibile da avere in un ambiente più tradizionale.

Un'esperienza museale innovativa: sul sito, ogni dettaglio è reso con un altissimo livello di realismo e, grazie alle tecnologie della realtà virtuale, è possibile inoltre visualizzare le installazioni a 360 gradi e camminare tra le opere d’arte. La maggior parte delle opere è ricreata tramite tecnologie di scansione tridimensionale che creano repliche virtuali quasi identiche alle controparti reali.

L'IJC Museum è stato realizzato da ANA in risposta a uno studio condotto dall'Ente pubblico del turismo giapponese sulle tendenze di spesa dei turisti internazionali nell'ultimo anno, al fine di incrementare le visite alle destinazioni artistiche, e il suo progetto è in linea con il concetto di "museum in the cloud", un'idea che coniuga la tecnologia della realtà virtuale con l’esperienza reale di visualizzare le opere all'interno di una galleria.

Qui di seguito, vi proponiamo inoltre una serie di brevi video, sempre realizzati da ANA per la campagna "Is Japan Cool?", dedicati ad alcuni delle località e delle attività per cui il Giappone è famoso al mondo. Buona visione!


Patrimonio Mondiale UNESCO: I documentari di NHK dedicati al Giappone

Dal 2003, una collaborazione tra l'emittente giapponese NHK (Nippon Hōsō Kyōkai) e il Centro per il Patrimonio Mondiale UNESCO ha prodotto una serie di brevi documentari televisivi dedicati ai siti riconosciuti Patrimonio mondiale dell'UNESCO sparsi in tutto il mondo.

Noi abbiamo raccolto in una playlist (qui di seguito) i video dedicati ai siti giapponesi, per offrirvi un tour virtuale tra alcuni dei luoghi più affascinanti del Giappone, carichi di storia e di cultura. Buona visione!


Cent’anni di bellezza in Giappone – 100 Years of Beauty: Japan

Nelle scorse settimane, il sito americano Cut.com ha pubblicato una serie d’interessanti video in cui vengono ripercorsi, in circa un minuto, cento anni di canoni di bellezza femminile di diversi Paesi del mondo, ricreandone i vari look. Tra questi Paesi, ovviamente, non poteva mancare il Giappone, nella cui cultura sono da sempre intrinseche le qualità estetiche di bellezza, raffinatezza ed eleganza.

Il video "100 Years of Beauty: Japan", che vi proponiamo qui sotto, ripercorre quindi cento anni di beauty trend nel Paese del Sol Levante. Dalle pettinature Pompadour e i kimono degli inizi del '900, alle vaporose permanenti degli anni 1980, fino ai più contemporanei e appariscenti stili Harajuku e kawaii, è affascinante vedere come si sono trasformati, nel corso dell’ultimo secolo, i canoni di bellezza femminile in Giappone.

Qui trovate anche un video "dietro le quinte", per scoprire di più sulla storia giapponese e sugli eventi che hanno ispirato questi look.


Igort e le mille sfumature dei “Quaderni giapponesi”

Vi segnaliamo il video riportato da Repubblica sul fumettista Igort (Igor Tuveri) e il suo rapporto con il mondo giapponese, in presentazione della sua graphic novel Quaderni giapponesi. Di seguito, la descrizione che accompagna il video:

Nei "Quaderni giapponesi" (Coconino Press) le illustrazioni che legano Igort al Giappone. E' lui l'unico italiano ad aver collaborato con continuità con Kodansha, il principale editore di manga. L'opera è un viaggio non solo nel Sol Levante, ma anche nei mille stili di Igort: c'è il suo modo "italiano" di interpretare i manga, ma ci sono anche tante ispirazioni, tra cui l'arte del mondo fluttuante

Link al video di RepTv News: video.repubblica.it/rubriche/reptv-news/reptv-news-igort-le-mille-sfumature-dei-quaderni-giapponesi/214956/214139


Intervista a Kunihiro Hagimoto. Di Edoardo Miotti

In occasione dell’uscita della collana monografica “Le ricette di Eataly”, nata dalla collaborazione tra il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport con Eataly, incontriamo uno degli chef coinvolti nel progetto: Kunihiro Hagimoto (Osaka, 1983), chef del ristorante del pesce di Eataly Milano Smeraldo, che per ognuno dei volumi ha ideato una speciale ricetta, una personale interpretazione fusion delle cucine italiana e giapponese. Ogni volume tematico presenta una selezione di ricette gourmet create dai diversi chef della catena, caratterizzate da una particolare attenzione alla stagionalità, alla conoscenza delle diverse varietà dei prodotti, ai loro luoghi di provenienza. Per ognuna, oltre agli ingredienti e alla spiegazione di tutti i passaggi, ci sono consigli, commenti e varianti per la preparazione.

Raccontaci della tua formazione e di come ti sei avvicinato, e appassionato, alla cucina... Ho iniziato ad appassionarmi alla cucina quando avevo circa 13-14 anni. Cucinavo a casa piatti della tradizione giapponese o cinese. Non ero tanto bravo e mi piaceva soltanto far saltare i cibi in padella, come il riso alla cantonese. Poi dopo un po’ ho notato che mi piaceva anche preparare da mangiare per gli altri e mi faceva piacere ricevere complimenti per come cucinavo! Così mi è venuta voglia di imparare meglio, diventare cuoco e farne una professione. Così sono andato alla scuola alberghiera di Osaka, per due anni. Dopodiché mi sono trasferito a Tokyo e ho fatto esperienza in diversi ristoranti rinomati. Il primo anno ho fatto il cameriere e il secondo anno ho iniziato a fare l’assistente cuoco. Preparavo il pane, i dolci, gli antipasti…

Come hai scoperto la cucina italiana? Ho iniziato a lavorare fin da subito in ristoranti italiani a Tokyo. Ho scelto la cucina italiana perché quando andavo alla scuola alberghiera ci insegnavano tutte le cucine del mondo, francese, spagnola, giapponese, cinese, italiana. Quella che preferivo era la cucina italiana. Per essere più preciso, mentre frequentavo la scuola, c’era un programma televisivo che si chiamava “Ryōri no Tetsujin” (in inglese “Iron Chef”) in cui si sfidano due chef che hanno un’ora di tempo per creare una ricetta e cucinare con degli ingredienti che scopriranno solo in quel momento. Guardavo sempre questo programma e mi ha colpito uno chef che cucinava piatti italiani. Così quando sono andato a Tokyo ho scelto subito di lavorare in un ristorante italiano. E dopo, sempre a Tokyo, sono andato a lavorare proprio nel ristorante dello chef che vedevo in TV, che a quei tempi era il ristorante più rinomato del Giappone. Inoltre questa è stata anche la mia prima esperienza di vera alta cucina.

E quando sei arrivato in Italia? Ho cominciato a lavorare a vent’anni e ho sempre lavorato in ristoranti di cucina italiana in Giappone. Un giorno arriva una cliente che mi consiglia un ristorante di Kobe dove andare a mangiare vera cucina italiana tradizionale. Sono quindi andato in quel ristorante dove erano tutti italiani, sia il proprietario che i cuochi. Ho mangiato benissimo e ho scoperto che quella che facevo io era un tipo di cucina italiana ma un po’ rivisitata. Quella era quindi la prima volta che ho davvero mangiato cucina italiana tradizionale. Mi è piaciuta! E mi sono divertito tantissimo anche a passare il tempo insieme ai gestori. In seguito ho lavorato da loro e poi mi è venuta voglia di andare in Italia per approfondire la mia conoscenza della cucina italiana. Quindi ho iniziato a studiare italiano mentre lavoravo e dopo due anni, nel 2009, ho preso il biglietto e sono venuto in Italia. La prima città in cui sono stato è Bologna. Qui sono stato molto fortunato perché ho iniziato a lavorare subito in una trattoria consigliatami da un amico che lavorava con me in Giappone. A me sarebbe andato bene un qualsiasi ristorante, bastava che fosse in Italia, invece mi sono ritrovato Da Amerigo, molto importante sia a livello nazionale che internazionale con tre gamberi del Gambero Rosso e una Stella Michelin. Ho fatto un anno lì come cuoco e mi sono occupato a rotazione di tutto, dagli antipasti, ai primi, dai secondi ai dolci. Ho imparato moltissime cose sia sulla cucina che su come funziona un ristorante. Era davvero tutto curato nel dettaglio, con ingredienti sempre a Km 0 e prodotti della zona. Dopo Bologna, ho deciso di andare in Puglia in un albergo 4 stelle che aveva un ristorante, La Fontanina Relais. Lì, complice la nonna dello chef, ho imparato a fare specialità pugliesi come orecchiette e strascinati. In seguito il livello si è alzato e sono andato da Moreno Cedroni ad Ancona. Da lui ho imparato tante cose nuove, come la cottura del pesce, le temperature, i tempi… All’inizio mi sembrava tutto molto strano, però dopo ho capito quanto sia importante creare un piatto bilanciato, bello. Dopo Ancona ho deciso di prendermi un po’ di tempo per girare l’Italia, non per lavorare. Sono stato a Napoli per cinque mesi, poi a Torino. Sono passato anche da Firenze.

Hai contatti/amicizie con la comunità giapponese a Milano? Sì, poche ma ci sono. La mia hair stylist, un amico designer e un altro che lavora come impiegato presso un’importante azienda giapponese. Siccome mi piace mangiare la cucina giapponese, che mi manca abbastanza da quando sono in Italia, vado spesso nei ristoranti giapponesi. E così ho fatto amicizia con vari ristoratori.

I tuoi posti del cuore a Milano... C’è una gelateria a conduzione familiare che si chiama Rita in via Solferino. Fanno un gelato buonissimo, fresco e fatto proprio da loro. E in più sono molto simpatici. Poi, fra i ristoranti di cucina giapponese dove vado spesso, c’è Sumire, in via Varese. Altri luoghi in città dove amo andare sono il parco Sempione e il parco Indro Montanelli. Trovo molto rilassante andare al parco. Non pensavo di trovare così tanto verde in una città come Milano.

E quelli in Giappone... Sicuramente Osaka, dove sono nato, perché è una città come Napoli, se volessimo fare un parallelo: la gente è molto aperta, c’è casino, i cibi sono molto buoni e anche economici. La gente è molto divertente e allegra. Poi Kobe, dove sono stato per 3/4 anni. Ho molti amici lì, per me è come se fosse la mia seconda città natale. E il manzo di Kobe mi piace tantissimo! E ancora, Tokyo e Kyoto. Se dovessi pensare a dei luoghi del cuore in queste quattro città direi che per quanto riguarda Tokyo le discoteche (ride). Non sono un tipo da discoteca, però quando avevo 22 anni sono andato per la prima volta nella mia vita in discoteca con i miei colleghi. Non ci volevo andare ma i miei colleghi mi ci hanno trascinato e dopo quella volta ci sono andato tutte le sere. Tokyo ha discoteche fantastiche, la musica, le luci: è tutto bellissimo. Di Kyoto invece mi piace molto il mercato perché le verdure lì sono molto buone, si possono mangiare semplicemente sotto aceto o sotto sale. Poi la città è rimasta molto tradizionale, le case… Kyoto da visitare è molto bella. Di Osaka invece mi piace il centro perché ci sono tante cose, negozi, ristoranti, karaoke, c’è un sacco di gente che si diverte... Quando non hai niente da fare vai a Osaka e trovi qualsiasi cosa che voglia fare!

Il tuo piatto preferito e quello che preferisci cucinare (sia giapponese che italiano)? Il mio piatto preferito italiano sono le tagliatelle alla bolognese … La prima volta che le ho mangiate a Bologna ho pensato che fossero la cosa più buona del mondo, mi hanno colpito tantissimo. Invece sono indeciso sul piatto giapponese. È difficile perché in Italia si mangiano solo certi piatti giapponesi, come tempura, sashimi, sushi, che in realtà costituiscono il 20% dei piatti tradizionali giapponesi. Mi piace ovviamente il sushi, ma anche il ramen, il tendon (una ciotola di riso con tempura e uovo cotto). Mi piacciono anche lo yakiniku e lo okonomiyaki (piatto della tradizione di Osaka, una specie di frittata simile nella forma alla pizza). Per quanto riguarda il piatto italiano che preferisco cucinare devo dire che piace cucinare tutto: do la stessa importanza a tutti i piatti. Se proprio devo sceglierne uno, forse perché attualmente lavoro al ristorante del pesce di Eataly, mi piace cucinare i piatti di pesce. Mentre i piatti giapponesi che preferisco preparare sono il riso al curry, lo okonomiyaki e il sushi.

Le tue passioni e interessi nel tempo libero... Nel tempo libero mi piace guardare video e fare ricerche su Youtube perché a casa non ho la televisione (ride). Ad esempio mi piace la break dance e allora guardo i video su Youtube. E ancora ascolto musica, seguo l’hip hop, i video di Michael Jackson, cose così... uso Youtube anche per lo studio della lingua italiana… Faccio tutto su Youtube! Mi piace anche stare con gli amici, e condividere con loro l’esperienza del mangiare bene andando in diversi ristoranti, ma al tempo stesso amo anche prendermi i miei spazi e rilassarmi da solo a casa. Mi piace inoltre anche il nuoto, per questo appena ho un po’ di tempo vado in piscina a farmi delle belle nuotate!

Raccontaci del progetto «Le ricette di Eataly», nato dalla collaborazione tra il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport con Eataly, e che ti vede fra gli chef coinvolti... È un progetto molto bello perché sono tanti gli chef che hanno collaborato e hanno ideato le ricette. Ognuno di loro ha messo il suo tocco personale e la sua esperienza. È molto bello anche come si presenta: sono venti volumi che escono settimanalmente ogni martedì in edicola con il Corriere della Sera o la Gazzetta dello Sport. Ogni volume è tematico, ad esempio il primo volume è dedicato alle verdure primavera-estate, poi ci saranno volumi dedicati ai formaggi, al pesce, alla carne. Non sono dei semplici ricettari, ma vi si trovano anche approfondimenti relativi alle materie prime e agli alimenti. Per quanto riguarda la mia parte, ho ideato una ricetta per ogni volume, in totale venti ricette, basate sul concetto di fusion tra la cucina italiana e quella giapponese.
È stato molto difficile e faticoso creare una ricetta per ogni tema. L’ho fatto in tanti modi, o applicando la tecnica giapponese a ingredienti italiani, oppure usando una ricetta italiana ma con ingredienti giapponesi. O ancora, il piatto all’apparenza sembra italiano ma in realtà all’assaggio i sapori sono quelli della cucina giapponese. Ho provato diverse combinazioni e in più, consapevole del fatto che questi libri sono per chi deve provare a replicare la ricetta a casa e godersi il piatto, ho pensato anche ai gusti che potevano piacere agli italiani e a come combinarli con gusti giapponesi. Anche gli ingredienti sono stati scelti in modo che non sia troppo difficile reperirli. Per esempio, per semplificare invece di usare il mirin, che è il sake dolce utilizzato in Giappone, uso miele italiano. Da gennaio, mese in cui il progetto ha iniziato a prendere vita, ho pensato tutti i giorni, quasi senza dormire, a quali ricette creare. Si tratta di un progetto importante per me, sono le mie ricette e credo alla fine di essere riuscito bene nell’intento. Spero che chi le leggerà le trovi interessanti e abbia voglia di provare a rifarle a casa.

I tuoi progetti futuri? Sono un tipo che fa del suo meglio nell’immediato. Non penso spesso al futuro. A 25 anni volevo avere un mio ristorante e sognavo molto. Ora lo stare in Italia mi fa stare bene, mi fa fare del mio meglio e pensare giorno per giorno. Non ti so quindi dire i miei progetti futuri (ride). So solo che quello che desidero ora, e nel prossimo futuro, è trasmettere i miei sentimenti, a quante più persone possibili, attraverso i miei piatti.

Per concludere, hai una ricetta semplice e veloce da suggerire ai nostri lettori? Sì, il pesce alla griglia alla teriyaki. Si cuoce sulla griglia il pesce (può essere salmone, branzino, orata, ricciola). Nel mentre si prepara una salsa miscelando miele, salsa di soia e un goccio d’acqua da cuocere fino a farla caramellare. Una volta unita la salsa al pesce, si può servire con un po’ di insalata e ci sta molto bene anche la maionese. È un piatto semplice e molto buono. Accompagnato a un riso in bianco per me è perfetto.

Di Edoardo Miotti

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