In giapponese c’è un’espressione da tenere a mente quando si interagisce con la popolazione locale: “Omotenashi”.

Possiamo tradurre “Omotenashi” come “Ospitalità”, ma sarebbe riduttivo. Significa infondere tutte le proprie energie nell’accogliere l’ospite nel miglior modo possibile, prestando attenzione anche ai più piccoli dettagli. “Omotenashi” è il commesso del supermercato che 8 anni fa mi aiutò a trovare la strada che stavo cercando ad Akihabara. Ero arrivata da qualche settimana, quindi le mie conoscenze linguistiche erano ancora scarse, grezze, da modellare e affinare, come un blocco di creta sul quale sono stati tracciati solo i primi tratti di una forma.

Non riuscivo a trovare un negozio che stavo cercando, così entrai in un konbini (un supermercato aperto 24h, ne esistono di diversi tipi in tutto il Giappone). Pioveva forte e lo scroscio d’acqua rendeva le strade di quel quartiere simili alla scenografia di Blade Runner. Luci, negozi, insegne, ristoranti, macchinette gatcha-gatcha: tutto era confuso e ordinato allo stesso tempo. Entrai dentro al negozio e provai a pronunciare una richiesta di indicazioni in un giapponese stentato, cercando di rispettare le formule di cortesia che mi ricordavo.

Avevo una cartina con me e provai a mostrarla al commesso, che a sua volta provò a farmi capire la strada: prima in giapponese, poi in un inglese non proprio chiaro. Purtroppo, le strade in Giappone non hanno la stessa codifica occidentale: non sono codificate in base a un nome come in Europa. Ogni quartiere (Ueno, Akihabara, etc). Ogni quartiere in un indirizzo è preceduto da tre cifre:

4-8-12 Ueno, Taito-ku, Tokyo

Il 4 è il chome, cioé indica la zona di Tokyo, l’8 indica la suddivisione del chome e 12 è il civico. I civici però non sempre sono in ordine lungo la via! Inoltre, non esiste il piano terra: il nostro piano terra è il 1° piano. Così, il negozio che stavo cercando era su qualche piano di un grattacielo ad Akihabara. Alla fine, il commesso uscì da dietro il balcone, mi accompagnò all’uscita, prese l’ombrello e mi guidò sotto la pioggia fino a destinazione.

Photo credits: Zucchelli Valentina

Otto anni dopo durante la mia vacanza a Tokyo, ho vissuto altri esempi di Omotenashi. Il primo fra tutti che mi sovviene è quello di una coppia di anziani volontari che io e la mia Dolce metà abbiamo incontrato una mattina fuori dalla stazione di Ueno, vicino al Panda Bridge (così chiamato perché nel parco adiacente si trova uno zoo che ospita alcuni esemplari di questa specie). Stavamo cercando la strada per raggiungere Yanaka, uno dei quartieri antichi di Tokyo. Ho alzato per un attimo lo sguardo dalla cartina e ho visto avvicinarsi una coppia di anziani signori, un uomo e una donna, che indossavano una pettorina, azzurra come il cielo, ed in mano avevano tante cartelline, volantini e mappe. Sorprendendoci, ci rivolsero la parola in inglese (non è una lingua così diffusa in questo paese) e si offrirono di aiutarci a trovare la strada. Non solo, ci accompagnarono chiacchierando amabilmente attraverso il parco verso il vialetto giusto da percorrere e ci regalarono alcune cartine!

Anche questo per me è Omotenashi: comprendere come ciò che per noi può sembrare naturale per altri risulta difficile così lo semplifichiamo facendo uno sforzo in più affinché l’Altro stia meglio.

Omotenashi è non limitarsi a servire i clienti al ristorante ma scambiare due parole con i clienti, dare suggerimenti spontanei sulle attrazioni turistiche della zona, come ci è successo con una cameriera in un ristorante di fronte alla stazione di Tokyo. Nello stesso edificio poco prima una commessa di un negozio ci aveva aiutati a trovare quel ristorante, spiegandoci le indicazioni con voce tenera e gentile per mostrare rispetto nei nostri confronti, in quanto potenziali clienti. Omotenashi è il cuoco che dall’altra parte del bancone di un locale a Kyoto ha cercato una lavanderia a gettoni più vicina al nostro albergo, perché era dispiaciuto che avessimo dovuto fare tanta strada (20 minuti a piedi) per raggiungere quella vicina al suo ristorante.

La prossima volta che vi chiederanno indicazioni o vedrete qualcuno cercare la strada su una cartina, ricordatevi di Omotenashi.

Photo credits: Zucchelli Valentina

 

 

 

Testo di Valentina Zucchelli, valezu92@gmail.com

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